Sam Mendes compie 60 anni: la regia come arte della visione, tra Shakespeare e Bond
Compie 60 anni Sam Mendes, regista britannico capace di passare da "American Beauty" a "Skyfall", da Shakespeare a Broadway. Un talento elegante e rigoroso, che ha cambiato le regole del cinema d’autore e dello spettacolo contemporaneo.
Ci sono registi che costruiscono universi. Altri che smontano le emozioni, le osservano da vicino e le restituiscono al pubblico come se fossero state lì da sempre, nascoste sotto la superficie delle cose. Sam Mendes appartiene a entrambe le categorie. In sessant’anni di vita ha diretto film che hanno cambiato il cinema americano (American Beauty), reinventato la saga di James Bond (Skyfall), trasformato la guerra in un’esperienza sensoriale (1917) e riportato il teatro classico al centro della scena contemporanea. Nato in Inghilterra il 1 agosto 1965, cresciuto tra Shakespeare e Broadway, Mendes è un autore silenzioso e lucidissimo, capace di raccontare l’intimità e il caos, l’eleganza e il dolore, con la stessa intensità. A 60 anni, continua a reinventarsi, progettando oggi — con la solita calma apparente — una quadrilogia sui Beatles destinata a riscrivere ancora una volta le regole del gioco.
Un’infanzia tra libri e sipari
Figlio di un professore e di una scrittrice, Sam Mendes cresce tra Oxford e Reading, immerso in Shakespeare e nella narrativa. Si laurea a Cambridge, dove si appassiona al teatro e alla regia. Non ha ancora trent’anni quando prende le redini del Donmar Warehouse di Londra, uno dei templi del teatro britannico. Mette in scena Shakespeare, Chekhov, Tennessee Williams, musical e testi contemporanei. È lì che affina il suo metodo: l’ascolto dell’attore, il controllo dello spazio, la precisione del gesto.
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Hollywood lo aspetta, e lui la sorprende
Nel 1999 Mendes debutta al cinema con un colpo secco e irripetibile: American Beauty. È il suo primo film, e vince 5 Oscar tra cui Miglior film e Miglior regia. La storia di Lester Burnham, uomo in crisi esistenziale in una suburbia americana ipocrita e soffocante, è una bomba visiva e narrativa. Mendes non gira per stupire, ma per sottrarre. Ogni movimento di macchina è misurato, ogni dialogo è una fenditura. Quel film è ancora oggi una delle opere più lucide e radicali del cinema a cavallo tra due secoli. Dopo American Beauty, chiunque si sarebbe ripetuto. Mendes no. Sceglie di dirigere Era mio padre (2002), un noir elegante con Tom Hanks e Paul Newman; poi Jarhead (2005), un film di guerra senza battaglie, solo sabbia, attesa e alienazione. Con Revolutionary Road (2008) ritrova l'ex moglie Kate Winslet e Leonardo DiCaprio, stavolta per smontare il sogno americano dal di dentro. Poi arriva Away We Go (2009), una commedia indie on the road. Ogni volta cambia pelle, ma non sguardo.
Bond, James Bond (e la rinascita della saga), 1917: il tempo reale della guerra
Nel 2012 Mendes viene chiamato a rilanciare una delle saghe più iconiche (e in crisi) del cinema: 007. Con Skyfall realizza un action sofisticato, profondo, perfino malinconico. Un Bond vulnerabile, dentro la psiche più che nel mirino. Il film è un successo clamoroso: oltre 1 miliardo di dollari al box office e plauso unanime della critica. Torna anche per Spectre (2015), ma è Skyfall il punto di rottura: grazie a Mendes, James Bond torna ad avere un’anima. Nel 2019 Sam Mendes scrive e dirige 1917, ispirato ai racconti del nonno, soldato nella Prima Guerra Mondiale. Il film è concepito come un unico piano sequenza, per immergere lo spettatore nel tempo reale della missione. È una scommessa tecnica e narrativa: vince 3 Oscar (fotografia, sonoro, effetti visivi), 7 BAFTA, e segna un nuovo standard nel cinema di guerra. Non c’è eroismo, solo urgenza. È cinema come esperienza totale, ed è firmato Mendes fino all’ultimo fotogramma.
Il suo stile è la sua invisibilità
Mendes non ha mai abbandonato il teatro. È tornato più volte a dirigere Shakespeare e ha vinto il Tony Award nel 2019 per The Ferryman, un’opera potente ambientata nell’Irlanda del Nord durante i Troubles. Ha diretto musical innovativi come Charlie and the Chocolate Factory e progetti di grande respiro a Broadway e nel West End. Il palcoscenico, per lui, è ancora il luogo dove la regia è più nuda e dunque più vera. Il prossimo passo è già leggenda: Mendes sta lavorando a quattro film separati, ciascuno dedicato a un membro dei Beatles — John, Paul, George e Ringo. Saranno distribuiti nel 2027, con il benestare delle famiglie e dei membri ancora in vita. Non è un biopic classico, ma un racconto polifonico: la storia dei Fab Four vista da quattro prospettive diverse. È il progetto più ambizioso della sua carriera, e forse anche il più personale: perché parla di memoria, identità, mito. Tutte ossessioni ricorrenti nella sua opera. In un panorama dove la regia spesso grida, Sam Mendes sussurra. Il suo è un cinema che non ti viene incontro, ma ti accompagna. Non si affida mai al virtuosismo per il virtuosismo, ma costruisce ogni scena come un atto di equilibrio tra bellezza e inquietudine. Lavora con i più grandi attori, ma non si fa mai schiacciare dalle star. La sua forza è la coerenza dello sguardo. Non ha bisogno di firmare ogni fotogramma con il proprio ego: il suo stile è la sua invisibilità.