Thunderbolts*, emarginati alla riscossa. La recensione del film Marvel con Florence Pugh
CinemaChiude in bellezza la fase Cinque del MCU. Al cinema dal 30 aprile, il lungometraggio è un appassionato addio al passato e un promettente benvenuto ai cinecomic del futuro. Come dice Kierkegaard, citato nella pellicola: “La vita può essere capita solo guardando indietro, ma va vissuta andando avanti”. Tra i protagonisti, oltre alla volitiva Yelena Belova, troviamo Bucky Barnes, Red Guardian, Ghost, Taskmaster, John Walker e la luciferina Valentina Allegra De Fontaine
“Se questo mondo è tutto per i vincitori, che cosa resta ai perdenti? Qualcuno deve pur tenere fermi i cavalli". Così sentenziava L’ultimo buscadero Steve McQueen nel capolavoro firmato da Sam Peckinpah. Ma Thunderbolts* non è ambientato nell’Arizona degli anni Settanta, tra attempati cowboy e sguaiati rodei. Nel trentaseiesimo film del Marvel Cinematic Universe (MCU) e l'ultimo della cosiddetta "Fase Cinque", solo chi cade può risorgere. Perché, come accade in ogni cinecomic che si rispetti, la speranza è l’ultima a morire. E alla più disperata si può sempre chiedere l’aiuto da casa, ovvero al multiverso. Un espediente, che parimenti al friggere nell’arte culinaria, rende tutto più o meno commestibile. Tuttavia, alla pellicola diretta da Jake Schreier non interessa vincere facile. Un’opera che riduce al minimo sindacale l’uso della Computer-generated imagery. Più che gli effetti, sono gli affetti speciali ad abbacinare lo spettatore. Insomma, Marvel opta per un apprezzabile realismo, per quanto possano risultare verosimili le vicende di supereroi e supereroine sovente immuni a qualsivoglia di schiaffazzi e botte da orbi. D’altronde è questo il bello di un genere che grazie a titoli come Daredevil: Rinascita, forse ha trovato la maniera giusta di rialzarsi e tornare a combattere.
Thunderbolts*, l'emarginazione al potere
Thunderbolts* si apre e si chiude sul primo piano di Florence Pugh. E già questo rappresenta un valore aggiunto, perché la talentuosissima attrice ci offre una performance eccellente. Dopo il film Black Widow e la miniserie Hawkeye, Yelena Belova è nel pieno della maturità o meglio del declino. Tant’è che le sue prime parole sono: “C’è qualcosa che non va in me”. Nemmeno più il lutto si addice alla Vedova Nera. L'ex spia addestrata nella mortifera "Stanza Rossa" come la sorella adottiva Natasha Romanoff è ormai una mercenaria dal grilletto facile, nauseata dalla routine e in fissa con la vodka. La sua stella risulta affievolita persino per gli standard dell’Europa dell’Est, come commenta il suo padre adottivo Alexei Shostakov. Ma sono tempi schiodati pure per Red Guardian. La controparte russa di Captain America sbarca il lunario in qualità di autista di limousine con lo scopo di proteggere dalla noia di certi eventi mondani. A completare questo team di disadatti c’è anche John Walker, ossia U.S. Agent, ormai declassato dal ruolo di Captain America dopo aver ucciso un componente dei Flag-Smashers, nella serie tv The Falcon and The Winter Soldier. Siccome i disgraziati al pari delle disgrazie, non vengono mai soli, la squadra vede la presenza di Ava Starr ossia Ghost ( Hannah John-Kamen), criminale con la capacità di passare attraverso gli oggetti, vista in Antman and The Wasp, e la letale Antonia Dreykov, nota come Taskmaster (OlgaKurylenko). Last but not least, ritroviamo pure Il soldato d’inverno interpretato dall’ottimo Sebastian Stan. James "Bucky" Barnes non pare tagliato per la carriera politica. Lo smoking gli va stretto. La diplomazia anche.

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Attenzione alla crudele Contessa Val
Questa sorta di Suicide Squad griffata Marvel, quindi, si ritrova intrappolata tra le grinfie della contessa Valentina Allegra de Fontaine (la deliziosamente perfida Julia Louis-Dreyfus) Si sa, il mefistofelico capo della Cia e della O.X.E. è più crudele del mese di aprile immaginato da Eliot nel poema La terra desolata. E la banda di sbandati sarà costretta ad affrontare missioni impossibili e a confrontarsi con i propri lati più oscuri e soprattutto a fare squadra. Anche se la presenza di Bob (Lewis Pullman), in apparenza innocuo essere umano privo di qualsivoglia potere, potrebbe ribaltare la situazione.

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Noi stessi siamo i nostri demoni
Già dall’asterisco che impreziosisce il titolo si evince che in Thunderbolts* tutto è provvisorio. Precario come l’esistenza umana, minacciata da forze oscure, alieni e cospirazioni globali. Solo che noi stessi siamo i nostri demoni. E tra una fuga spettacolare, una sparatoria, una scazzottata, il film ci offre una riflessione sincera su quanto i nostri traumi, le nostre cicatrici influiscano sulle nostre scelte. Senza boria e senza pretese terapeutiche o salvifiche, con la giusta dose di ironia e di gag, siamo davanti a un cinecomic che riesce a parlare in maniera semplice, ma non scontata, di depressione. Tra una citazione di Søren Kierkegaard, "la vita può essere capita solo guardando indietro”, e un aforisma di Nietzsche, “l'individuo dovrebbe creare i propri valori”, la pellicola miscela con l’adrenalina dell’action con una narrazione profonda e densa di significato. Basta pensare alla visionaria sequenza in cui i nostri antieroi restano intrappolati in quelle perpetue stanze della vergogna. Un dedalo terrificante perché niente è più spaventoso dell’inconscio e dei suoi fantasmi.

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Thunderbolts*, un cinecomic appagante quanto una scatola di cereali
Forte di due scene post-credit godibilissime, Thunderbolts* ci offre dei titoli di coda sorprendenti con le prime pagine dei principali quotidiani statunitensi che commentano le gesta più o meno eroiche di questi (im)probabili Nuovi Avengers. "Siamo perdenti e abbiamo perso", sancisce laconica Florence Pugh. Ma l’importante, Beckett docet, “è fallire ancora, fallire meglio”. Perché niente è peggio del vuoto. E per fortuna questo cinecomic di Casa Marvel è pieno di contenuti. Appetitosi e gratificanti quanto una scatola di cereali "Wheaties".