Babygirl, Nicole Kidman tra sesso e potere. La recensione del film in gara a Venezia 2024

Cinema
Paolo Nizza

Paolo Nizza

Paura e desiderio danzano vertiginosamente nel lungometragggio diretto dalla talentuosa regista Halina Rejin. Le fantasie proibite di tanti thriller erotici degli anni Novanta si trasfigurano in opera che affronta senza ipocrisie e pruderie il tema del piacere femminile. Oltre alla protagonista, notevoli le performance attoriali di Harris Dickinson, Antonio Banderas e Sophie Wilde

“Il sesso deve essere innaffiato di lacrime, di risate, di parole, di promesse, di scenate, di tutte le spezie della paura, di viaggi all'estero, di facce nuove, di romanzi, di racconti, di sogni, di fantasia, di musica, di danza, di oppio, ... di vino.  Sono parole tratte da Il Delta di venere, il celebre romanzo di Anais Nin. E Babygirl con coraggio e stile attraversa quei territori spesso e volentieri inesplorati, dell’eros femminile. In concorso alla Mostra del cinema di Venezia (LA DIRETTA), il film mostra quanto sia potente e innovativo il talento registico di Halina Rejin. Già con Bodies Bodies Bodies (titolo assolutamente da recuperare) aveva trasformato l’anonimo copione di una moltitudine di horror corrivi pensati per la generazione Z, in una sardonica ed efficace riflessione su quanto i pregiudizi alterino la realtà, soprattutto quella digitale. E ora al Lido porta il tema dell’orgasmo femminile, in un’opera che omaggia e al tempo stesso trasfigura lungometraggi come 9 settimane e mezzo di Adrian Lyne a Basic Instinct di Paul Verhoeven e La Pianista di Michael Haneke. L’attrazione dei corpi, il godimento, i sospiri, i baci rubati, i giochi di ruolo sfilano in parata, senza ipocrisie o pruderie tra vizi privati e pubbliche virtù.

Babygirl scoperchia il Vaso di Pandora del desiderio

Ognuno di noi nasconde una scatolina nera colma di pulsioni segrete che non potremmo e non vorremmo confessare mai a nessuno. Ma Babygirl apre il sensualissimo Vaso di Pandora. Perché la dualità è nella natura degli esseri umani. Angeli e demoni giocano a poker nel nostro inconscio. Il super io e l’Es combattono sul ring in una sfida infinita. Ma l’originalità della pellicola è raccontare questa dicotomia con la forza delle immagini con polverosi panegirici o astruse metafore. In fondo la storia è semplice. Romy, amministratrice delegata di un'azienda di successo, autoritaria, felicemente sposata con un fascinoso regista teatrale e madre di due figlie, nell’intimità sogna di essere dominata. Anche perché nonostante ami il coniuge non ha mai avuto un orgasmo. L’incontro con Samuel, stagista spavaldo e sexy spariglia le carte. Solo che la relazione tra i due rischia di trasformarsi in una sciagura per entrambi. Insomma, all’apparenza niente di nuovo sotto il sole. Tuttavia, lo sguardo di Rejin riesce a trasformare una vicenda di corna, dominazioni e sensi di colpa in un viaggio nel desiderio e nella paura. E soprattutto nell’accettazione che il masochismo sessuale non è sinonimo di fragilità o debolezza.

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Nicole Kidman, tra paura e desiderio

Babygirl vince la difficile sfida grazie al cast. Nicole Kidman, ancora una volta dimostra quanto sia capace di rappresentare la sessualità, il piacere e i suoi derivati, dribblando con grazia volgarità e cliché. Basta ricordarsi di Eyes Wide Shut e della sua battuta finale. Poche attrici al mondo riuscirebbero a carponi a bere del latte da un piatto senza risultare ridicole o posticce. Coraggioso anche Antonio Banderas, per una volta nella parte di un uomo affascinante e acuto, ma incapace di dare piacere alla propria moglie. Chiude il triangolo Harry Dickinson che già in Triangle of Sadness, aveva mostrato di essere a proprio agio quando si tratta di sesso. Last But not least, l’australiana Sophie Wilde (straordinaria nell' horror Talk to me) ha tutte le carte in regola per entrare nel firmamento delle star. Per cui ben vengano i film che se infischiano del politicamente corretto e che parlano con schiettezza di quanto sia liberatorio perdere il controllo sotto le lenzuola, abbracciare la propria vulnerabilità. Ça va sans dire in maniera consensuale e con la safe word a portata di voce. Come diceva John Milton “La mente è dimora a se stessa, e in se stessa può fare dell’inferno un paradiso, e di un paradiso un inferno”.

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