Riccardo III, il demiurgo cattivo. La recensione dello spettacolo di Luca Ariano
Spettacolo
Tra Shakespeare e Kubrick, tra sangue e luce: la regia di Ariano trasfigura il Plantageneto in un tiranno tragico, accecato dalla volontà di potenza. e porta in scen a’inferno fluorescente del Duca di Gloucester, Un’esperienza immersiva, visionaria e lisergica che brucia, stordisce, acceca. A Milano, fino al 1° giugno, nei "Silva 36 Studios" trasformati in spazio performativo. Con un immenso Pietro Faiella, affiancato da un cast straordinario
«Ora l’inverno del nostro scontento è reso estate gloriosa da questo sole di York».
Al netto dell’epocale incipit — Shakespeare über alles — una radiosa epifania prende forma, grazie al Riccardo III secondo Luca Ariano.
Regista illuminato, maestro gentile e geniale, Ariano restituisce al Bardo tutta la scandalosa forza rivoluzionaria del passato.
Tra Sympathy for the Devil e My Way, l’efferata epopea del sovrano Plantageneto rivive e lotta insieme a noi, in una messa in scena viscerale e insieme astratta. Un trip lisergico tra pannelli scorrevoli e luci cangianti. Paura e deliro nella Torre di Londra
Perché le estati brevi sono spesso primavere precoci.
Perché anche la bestia più feroce conosce un’oncia di pietà.
A una “schidionata” di chilometri dalla Scala del calcio, tra le pareti lattescenti degli Studi Silva — trasfigurati in un’installazione viva e palpitante — Ariano riplasma il capolavoro shakespeariano in un’esperienza immersiva unica:
Riccardo III, mostro abbagliante, affabulatore solitario, si fa architetto di un universo visionario e tragico.
Deforme e difforme, l'indimenticabile Riccardo III interpretato da Pietro Faiella
Un rito ancestrale, un abisso folgorante, un crepuscolare incanto di luci, suoni e inganni, in cui lo spettatore si perde per ritrovarsi dentro un teatro totale, visionario, necessario.
Una pièce in cui i confini sono liquidi, le superfici respirano, mutano, si ribellano. Non c'è palco, non c'è platea: esiste solo un mondo “diventato così malvagio che gli scriccioli riescono a predare persino lì dove le aquile non oserebbero appollaiarsi”.
«La vita è a colori, ma il bianco e nero è più realistico», chiosava il regista Samuel Fuller.
E qui è il tiranno deforme e difforme a tingere tutto. Il delirio divora la realtà.
Dopo aver incantato nel Macbeth, Pietro Faiella interpreta Riccardo III senza concederci un respiro: la sua voce è un colpo di scalpello, la sua presenza brucia come vetro sotto il sole.
Non interpreta Riccardo: lo evoca, lo plasma, lo fa materia viva e mutante.
Non abbandona mai la scena — perché è la scena.
La penetra, la trasforma in un labirinto psichedelico, un regno onirico dove ogni luce è inganno e ogni silenzio è un urlo trattenuto.
E quando infine Riccardo indossa la corona — solo, abbagliante, invincibile e vinto — qualcosa si spezza.
Il vuoto che lo circonda non è assenza: è condanna.
È uno spazio che inghiotte, un trono in fiamme su un altare di ceneri.
Non ci sono applausi facili. Solo silenzio.
Quel silenzio che rimane dopo aver fissato troppo a lungo un sole nero.
Quel silenzio che grida: ho visto il Potere, e il Potere mi ha guardato.
Approfondimento
Riccardo III di Shakespeare, lo spettacolo di Luca Ariano è a Milano
Tra Arancia Meccanica e 2001 Odissea nello spazio: "Dispera e Muori"
L’immaginario visivo accosta Kubrick a Shakespeare: Arancia Meccanica e 2001: Odissea nello spazio danzano intrecciati in questa sorprendente tragedia shakespeariana.
I costumi di Elisa Leclè, tra arcano e futuribile, evocano tanto l’Inghilterra del Quattrocento quanto le lande desertiche di Arrakis.
La regia — coadiuvata da un magistrale adattamento di Natalia Magni — condensa con un gesto, una sinfonia dodecafonica, uno sguardo, tutta la complessità del testo.
La volontà di potenza di Riccardo — straziato nel corpo — si espande come una marea di sangue.
Fedele al Machiavelli del Principe, Riccardo incarna sia la natura umana che quella bestiale.
Barbaro, selvaggio, privo di etica, il futuro Re non conoscerà mai la pace.
Nemmeno la conquista del trono placherà il suo io claudicante, in bilico tra inferiorità e alterità.
Nessun lieto fine per quest’uomo così goffo che “i cani gli latrano contro, quando arranca accanto a loro”.
Il monologo finale — lugubremente scandito da quel me stesso, mutato in lancinante mantra — preannuncia l’epitaffio:
«Cadrò nella disperazione. Non c’è creatura che m’ami, e, se muoio, nessuna anima avrà pietà di me».
E infine resta solo il laconico: «Dispera e muori», pronunciato dai fantasmi delle sue vittime.
Approfondimento
MACBETH, Luca Ariano porta in scena a Milano uno spettacolo sensoriale
Seduzione mortale
Tra le sequenze più sulfuree e potenti: l’incontro con Lady Anna Neville, interpretata da una intensa Lucia Fiocco, già straordinaria Lady Macbeth.
In preda a una tossica, delirante mascolinità, Riccardo tenta la seduzione:
«Poiché le ho ucciso marito e suocero, il modo migliore di fare ammenda sarà diventarne marito e padre».
E così avverrà.
Tronfio, proclama:
«Mai donna corteggiata in tale stato d’animo? Fu mai donna conquistata così? L’ho sorpresa mentre il suo cuore trabocca d’odio… La prenderò, ma non per tenerla a lungo!»
Un cast nel labirinto del potere
Roberto Baldassarri interpreta un complesso trittico di ruoli – Clarence, Hastings e il Sindaco – dando prova di una straordinaria versatilità attoriale. Si muove con inquietante naturalezza tra la vulnerabilità del fratello tradito, la lealtà ingenua e la grottesca maschera del potere politico.
Gilda Deianira Ciao, nel ruolo di Elisabetta, incarna con grazia ferita una madre regina strappata agli affetti. I suoi silenzi pesano quanto le sue parole, rendendo il dolore palpabile, regale e universale.
Luca Di Capua dà volto a Catesby, Sicario I e Cittadino I: una trinità sinistra, fredda, esecutrice. È la maschera del potere cieco, l’ingranaggio disumanizzato in un sistema spietato.
Lorenzo Parrotto, nei panni del Conte Rivers, costruisce un personaggio misurato e profondo. La sua compostezza scenica trasmette il senso di giustizia calpestata e il destino ineluttabile di chi si oppone al tiranno.
Romina Delmonte veste i panni della Regina Margherita come una sibilla dolente. Ogni sua apparizione è un presagio, una ferita aperta che si fa carne profetica. (Dal 27 maggio, Margherita sarà interpretata da Natalia Magni, anche autrice dell’adattamento, della traduzione e assistente alla regia).
Liliana Massari, Duchessa di York, è il cuore antico della tragedia: madre dolente, roccia spezzata, testimone impotente della rovina della propria stirpe. La sua presenza è una memoria viva, che resiste anche nel dolore.
Alessandro Moser, nel duplice ruolo di Buckingham e Sicario II, incarna perfettamente la doppia anima del potere: consigliere lucido e stratega spietato da un lato, sicario brutale dall’altro. Il suo personaggio attraversa l’intero arco della corruzione e della disfatta.
Insieme, questi attori non compongono solo un coro tragico: sono le voci interiori di Riccardo, le sue ombre, specchi, burattini e carnefici.
Nessuno è salvo. Nessuno è estraneo al suo spazio mentale.
Ed è in questa coralità orchestrata con precisione millimetrica che vive l’incubo lucente di Riccardo III: la consapevolezza che tutti, in fondo, siamo parte del suo sogno malato.
Attoniti, turbati, smarriti, nel perpetuo inverno del nostro scontento, tuttavia si ritonna a casa felici e frastornati, mormorando in silenzio: "il mio regno per un cavallo".