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Il Maestro Giardiniere, tra giardinaggio e colpa. La recensione del film di Schrader

Cinema

Paolo Nizza

Premiato con il Leone d’oro alla carriera, il regista e sceneggiatore americano firma  l’ultimo capitolo di una trilogia iniziata nel 2017 con First Reformed e proseguita nel 2021 con Il Collezionista di Carte. Nel cast Joel Edgerton e Sigourney Weaver. Presentato fuori concorso alla 79.ma edizione della Mostra del CInema, la pellicola è nelle sale dal 14 dicembre

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Il giardinaggio è un atto di fede verso il futuro. Almeno secondo lo scrupolosissimo orticultore Narvel Roth. Con perizia certosina, l’uomo si prende cura dei fiori, degli alberi e delle piante di Gracewoood, una lussureggiante tenuta nella zona della Louisiana, di proprietà di Mrs. Haverhill, ricca e severa vedova. Ma come sempre accade nel cinema scritto o diretto da Paul Schrader, il protagonista di Il Maestro Giardiniere (presentato fuori concorso alla 79.ma edizione della Mostra del Cinema e nelle sale dal 14 dicembre)  nasconde un terribile segreto. E l’ordinato e ricercatissimo giardino dell’Eden, può trasformarsi nella floreale anticamera dell’inferno. Dopo il reverendo di First Reformed, Il gambler di Il Collezionista di carte, il cineasta, premiato con il Leone alla carriera, conclude la sua trilogia dedicata agli antieroi divorati dal senso di colpa, Esseri umani che dietro una maschera di competenza e impassibilità celano un dolore indicibile

Il Maestro della Giardiniere, la trama del film

L’apparentemente serafico protagonista di Il Maestro Giardiniere non attende con ansia, come il Travis Bickle di Taxi Driver, un temporale ripulisca le strade dall’immondizia ammonticchiata. Narvel vorrebbe lavarsi la coscienza. Sogna una pioggia acida che gli cancelli quell’esposizioni di tatuaggi neonazisti che gli ricoprono il petto e la schiena. Un sussidiario illustrato del White Power. Dal numero “88”, tanto caro agli Skinhead hitleriani al motto delle SS: “Il mio onore si chiama fedeltà," il giardiniere deve convivere ogni giorno con questi truci simboli della “Fratellanza ariana”, calligrafici testimoni passato spaventoso che vorrebbe solo dimenticare. L’orticultore ha sostituto il seme della violenza con quello delle piante ornamentali. Ma la vita sa essere assai più imprevedibile della rassicurante geometria di grazioso roseto. 

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Sigourney Weaver, perturbante virago

Meno potente di Il collezionista di carte (che l’anno scorso era in concorso alla 78.ma   Mostra del cinema di Venezia) The Master Gardener  funziona grazie soprattutto al talento di Joe Edgerton. Persino nel vestire i panni di un uomo volutamente dimesso, l’attore buca lo schermo e riesce a incantare pure se racconta il motivo per cui viene utilizzato il latino per la catalogazione floristica. Di contro, Sigourney Weaver incarna un’intransigente, assillante e dispotica   virago del sud degli Stati Uniti, che pare uscita dalle pagine di una pièce di Tennessee Williams. Fossimo stati ai tempi della Golden Age di Hollywood, il personaggio sarebbe stato interpretato da Joan Crawford o da Barbara Stanwyck, A bilanciare tutta questa stizzita prosopopea manifesta dalla datrice di lavoro del compunto giardiniere, c’è Quintessa Swindell (l’Anna della serie capolavoro Euphoria), anche se in origine , Schrader avrebbbe voluto Zendaya. La giovane rappresenta il fiore più prezioso e delicato. Una ragazza borderline, pronipote della vedova Haverhill, capace, tuttavia di riscaldare il cuore in inverno del diligente orticultore. A volte anche le anime, come accade per piante, si possono rigenerare e l’erba cattiva trasformarsi in una meravigliosa orchidea.

 

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