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Quentin Tarantino presenta Cinema Speculation: "Fai ciò che credi e fregatene degli altri"

Cinema

Gabriele Lippi

©Ansa

Il regista arriva in Italia per lanciare il suo primo libro di critica cinematografica pubblicato da La Nave di Teseo. Una carrellata dei film americani che ha amato e hanno segnato la sua formazione negli anni della gioventù. Un incontro al Teatro Grande di Brescia pieno di ritmo e carisma

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Quando Quentin Tarantino fa il suo ingresso sul palco del Teatro Grande di Brescia il pubblico, che fino a un momento prima manifestava rumorosamente la sua disapprovazione per le limitazioni all’utilizzo di telefoni e altri dispositivi di registrazione volute dallo stesso regista, scoppia in un clamoroso applauso. Il divo ringrazia con un paio di inchini, ammicca in direzione di platea e gallerie, si lascia andare a un sorprendente "Buonasera" che sarà una delle tre parole in italiano che dirà nel corso di una serata interamente in inglese senza alcuna traduzione simultanea.

Carisma e ritmo

Per tutta la durata dello show di presentazione del suo libro Cinema Speculation (La Nave di Teseo, 464 pagine, 20 euro), Tarantino gronda carisma. Ascoltarlo è come assistere a un suo film, è impossibile non venire travolti dal ritmo e dalla genialità dei suoi pensieri, dall’anticonvenzionalità delle sue idee. Dieci giorni fa ha compiuto 60 anni, si avvia verso il decimo e ultimo dei suoi film, coerente con l’idea che non bisogna mai arrivare a raschiare il fondo del barile (dopo aver mostrato una clip di Fuga da Alcatraz, parla di Don Siegel e dice: “Sarebbe stato uno straordinario ultimo film, se solo si fosse fermato lì. Sfortunatamente, come molti altri, ne ha fatti un altro paio dopo…”), e ora si guarda indietro e racconta come tutto è iniziato.

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MALEDETTO BAMBI

Con Antonio Monda, scrittore e docente al Film and Television Department della New York University, dialoga sui contenuti del suo primo saggio di critica cinematografica, una raccolta dei film americani che hanno segnato la sua passione e il suo gusto per il cinema. Racconta come tutto iniziò al Tiffany Theatre, una delle poche sale fuori dal circuito buono di Hollywood, sul Sunset Boulevard, quando la madre e il patrigno lo portavano a sei-sette anni a vedere film decisamente per adulti. La prima volta fu con La guerra del cittadino Joe, “il film più sgradevole che avessi visto all’epoca”, ma se ce n’è uno che lo ha traumatizzato nel profondo, che non è riuscito a sopportare, quello è Bambi: “Non ero minimamente pronto a quello che sarebbe successo nel film, l’incendio, il cacciatore che uccide la madre di Bambi. Il trailer e la trama non ti avvisavano. E penso di essere in buona compagnia, credo che in tanti siamo rimasti traumatizzati da Bambi”.

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I FILM DEL PICCOLO QUIN

La carrellata procede spedita. Monda decide di farla partire con una clip di American Graffiti di George Lucas, scelto come manifesto della New Hollywood cantata da Tarantino, poi iniziano le sequenze dei film preferiti dal regista. Sullo schermo, che durante la conversazione mostra l’immagine di copertina dell’edizione inglese del libro, una foto iconica di Sam Peckinpah e Steve McQueen sul set di Getaway!, scorrono sequenze tratte da Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! (e Tarantino se la ride di gusto quando Monda gli traduce il titolo italiano del film), Organizzazione criminiRolling ThunderFuga da Alcatraz, il cameo di Scorsese in Taxi Driver. Stimolato da Monda, Tarantino dice la sua sul perché Andrew Robinson non abbia fatto carriera (“era stato uno Scorpio troppo buono per potersi ripetere successivamente”) o sul perché John Flynn, che omaggia con ben due film nel suo libro, non abbia goduto della considerazione che meritava (“c’è sempre stato un certo pregiudizio nei confronti del cinema di genere”).

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UN UOMO IN MISSIONE PER CONTO DEL CINEMA DI GENERE

Questo pregiudizio Tarantino non lo ha mai digerito, di fatto è come se avesse dedicato buona parte della sua vita e tutta la sua produzione artistica a smontarlo un pezzo alla volta, elevando il genere a espressione più pura e alta della settima arte. Un uomo in missione per l’exploitation e i grindhouse, per quel mondo fatto di doppi spettacoli, seconde e terze visioni, capace di rileggere e innalzare il noir e l’hard boiled in virtù dell’immenso amore che ha provato per esso fin da bambino. Nel libro, Tarantino se la prende duramente coi critici cinematografici: “Guardavano dall’alto al basso film che davano delle emozioni e registi che, al contrario di loro, capivano che cosa voleva il pubblico (…) Da ragazzo che amava il cinema e pagava il biglietto per vedere cose di qualunque tipo, pensavo che fossero degli spregevoli coglioni. Oggi, più vecchio e più saggio, mi rendo conto quanto dovessero essere tristi. Scrivevano come uno che odia la propria vita, o almeno il proprio lavoro”.

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IL SUO PROSSIMO FILM

Conferma che proprio sulla storia di un critico cinematografico sarà incentrato il suo prossimo film, ma smentisce che possa essere ispirato alla vita vera di Pauline Kael: “Assolutamente no, è una ricostruzione di fantasia di Variety, sono felice di poter rispondere alla domanda”. E quando Monda lo invita a riflettere sulla piega presa da Hollywood, sul politicamente corretto, chiedendogli se oggi sarebbe mai possibile fare film come Cane di paglia o Il mucchio selvaggio, in cui un uomo uccide una donna gridandole “bitch”, lui risponde senza esitare: “Io potrei farlo!”. E poi: “Lo puoi fare. Devi solo fare due cose: la prima è farlo, la seconda è fregartene di quello che dicono e pensano gli altri”.

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UN REGISTA FUORI DAGLI SCHEMI

Prima di mettersi a leggere e recitare alcuni estratti del suo libro, Tarantino conferma che per lui il film più grande di tutti i tempi è Il buono, il brutto, il cattivo, ma la sua devozione per Sergio Leone si incrina leggermente se gli si ricorda la famosa battuta sulle due espressioni di Clint Eastwood, quella con il cappello e quella senza cappello: “Non mi è mai piaciuta quella battuta di Leone, la trovo ingiusta. Clint Eastwood è un grande attore, certo, aveva la sua personalità come John Wayne, ma all’interno di quella gamma di personaggi ha saputo allargare il suo campo interpretativo”. Conferma di aver amato Daisy Miller soprattutto per quel finale dilaniante e confessa di non apprezzare Chinatown perché è troppo lento ("e non perché dovrebbero esserci più scene d'azione"). E forse è proprio per questo, per questa sua capacità fuori degli schemi, che ha saputo riscrivere la storia del cinema a cavallo di due decenni che hanno seguito quelli che per lui sono stati gli orribili anni Ottanta. Non fosse così, semplicemente, non sarebbe Quentin Tarantino.

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