Mulholland Drive, il cult di David Lynch torna al cinema in versione restaurata 4K

Cinema

Camilla Sernagiotto

La pellicola del 2001 interpretata da Naomi Watts, Laura Harring, Justin Theroux, Ann Miller e Robert Forster è stata restaurata da StudioCanal (che lo aveva prodotto) su richiesta della Cineteca di Bologna e tornerà nelle sale per tre giorni. Oggi, domani e dopodomani (il 15, 16 e 17 novembre) ci si potrà godere sul grande schermo il ritorno di un noir, thriller psicologico e, in generale, Capolavoro con la C maiuscola. Da non perdere, sperando di riuscire a districarne finalmente la trama criptica...

 

Mulholland Drive tornerà nelle sale cinematografiche per una tre giorni speciale che inizia proprio oggi: il film cult diretto nel 2001 da David Lynch sarà disponibile sul grande schermo oggi , domani e dopodomani (il 15, 16 e 17 novembre), in versione restaurata 4k.

La restaurazione è stata effettuata da StudioCanal (che aveva prodotto il film vent'anni or sono) su richiesta della Cineteca di Bologna e oggi finalmente questo noir, thriller psicologico e capolavoro assoluto della settimana arte torna a disposizione dei cinefili che vogliono goderselo in sala.

Un’uscita-evento per un film molto importante, uno dei soli due usciti negli anni Duemila a essere entrato nella lista dei 100 migliori titoli della storia del cinema secondo "Sight & Sound”.

Il bello di Mulholland Drive è il suo fare a pezzi la comfort zone dello spettatore, rivelandosi criptico, ostico e molto sconcertante per chi guarda.

Se ultimamente per i thriller e per i noir la tendenza è quella di prendere per mano il pubblico e accompagnarlo step by step in una narrazione semplice e a prova di tonti, per quanto riguarda quest'opera di David Lynch ci vuole al contrario parecchia abilità cerebrale. E scordatevi proprio che lui vi prenda per mano e vi accompagni passo dopo passo per farvi comprendere cosa accade nel film...

Un mix di realtà, sogno e fantasia

La trama mescola realtà, sogno e fantasia in una maniera così inquietante e al contempo attraente da far precipitare chi guarda in un vortice di assurdità, come se lo spettatore finisse nella tana del bianconiglio e cadesse giù fino ad arrivare in un mondo onirico, in un REM che lo annebbia.

A vent'anni dalla prima al Festival di Cannes, si potrà riavere tutto questo sul formato grande schermo.
E se prima dicevamo che Mulholland Drive frantuma quella che oggi è la conditio sine qua non godersi un prodotto di entertainment, ossia la super citata comfort zone, questa scelta di riportare nelle sale la pellicola sarà ancora più dirompente perché lì, al di fuori dalle nostre pareti domestiche, la zona di comfort in cui sentirsi al sicuro verrà ancor meno.

Si tratta di un'opera cinematografica non per tutti ma per chi ama inoltrarsi nei meandri labirintici molto tortuosi, roba che Cnosso è qualcosa da Settimana Enigmistica (nelle pagine di parole crociate facilitate, si intende).

Per i primi 90 minuti di film la trama si riesce a seguire abbastanza, con quel filo del discorso e di Arianna (per citare ancora Cnosso) che ci fa credere di riuscire a uscire dal labirinto. Ma a partire dal 90º minuto tutto cambia e lo spettatore si ritrova come la povera Arianna di cui sopra, piantata in asso.Con questa espressione ci riferiamo ancora una volta ai “fatti di Cnosso”: il modo di dire “piantare in asso” sembrerebbe derivare infatti dall'isola di Nasso, affondando le radici nella mitologia greca per cui Arianna, dopo aver aiutato con il suo filo l'eroe ateniese Teseo a sconfiggere il Minotauro e a uscire dal labirinto di Cnosso, fuggì con gli ateniesi ma venne poi abbandonata ("piantata") da Teseo sull'isola di Nasso. Ci sono anche interpretazioni etimologiche differenti, ma questa rientra indubbiamente tra quelle più affascinanti.

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Il film criptico per eccellenza

Il film si apre con una sequenza notturna in cui avviene un incidente automobilistico. A causa di questo, Rita (Laura Harring) perde la memoria e si rifugia in un appartamento in cui incontra Betty (Naomi Watts), una giovane attrice arrivata dal Canada che aiuterà la malcapitata a cercare di capire chi è. Oltre alla memoria a breve termine, infatti, Rita non conosce più nemmeno la propria identità.

La grandezza di questo film è quello di essere un concentrato di false apparenze in cui il regista manipola a piacere lo spettatore, un po' come fece Alfred Hitchcock con il suo La donna che visse due volte.

Tuttavia in questo caso l'ambientazione è quella del palcoscenico numero uno delle false apparenze: Mulholland Drive è la strada di Hollywood, quella che costeggia Santa Monica.
La location è dunque l'universo della finzione per eccellenza, l'habitat naturale dell'apparenza (che inganna, sempre).

 

Un'altra differenza rispetto a Hitch, è che ne La donna che visse due volte alla fine la matassa viene districata, permettendo al pubblico di capire finalmente qualcosa poco prima del cartello the end. Lynch invece ci castra totalmente. Ci lincia anzi: ci lyncha.

Non ci offre la catarsi sul finale, spiegandoci di cosa diavolo si tratta ciò che abbiamo appena guardato con tachicardia e respiro affannoso annessi. Macché: Mulholland Drive lascia il pubblico a bocca aperta non per lo stupore del colpo di scena. Qui il fulmen in clausola è proprio il non-sense; il deus ex machina è che non c’è proprio nessun deus ex machina che scenderà dal cielo per risolvere la situazione e dare un senso alla trama.

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Lynch vince sempre sullo spettatore...

Ma il grande talento di David Lynch è quello di non darla mai vinta allo spettatore. Non è che si esce dalla sala dando dello squinternato al regista e non pensandoci più, buona notte. Ma va: si compra un altro biglietto per bissare la visione, nella speranza di capirci qualcosa di più prestando più attenzione. Ma anche con il bis, se ne esce stremati e con be poco in mano/testa.

Tutto questo però non dovrebbe dissuadervi dall’andare oggi stesso (o domani oppure dopodomani, in questa tre giorni) al cinema per guardare Mulholland Drive ma semmai dovrebbe incentivarvi a farlo. È una sfida, un gioco enigmistico per massimi esperti, qualcosa che metterebbe a dura prova perfino Stefano Bartezzaghi (che ci auguriamo che stasera vada a guardarlo, nella speranza che domani ce lo possa spiegare).
Perché nel caso di Mulholland Drive non è tanto il critico cinematografico che può rivelarci l'arcano ma semmai un enigmista. O uno psicanalista, anche…

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Risolvere l’enigma

Astenersi i vade retro sfinge e quelli che saltano a pié pari il Quesito con la Susi, sempre per citare la Settimana Enigmistica. L'invito nostro è quello di andare al cinema per questa tre giorni speciale dedicata a Mulholland Drive e aprire poi un dibattito sui social network, per analizzarlo in maniera corale e, forse, dare finalmente un’interpretazione convincente a questo cult movie.

La rete pullula di spiegazioni varie, variegate e soprattutto variopinte del messaggio che Lynch avrebbe voluto rivolgerci. Molte fanno più ridere delle pagine della Settimana Enigmistica intitolate “Per rinfrescar lo spirito”, quelle delle barzellette insomma.

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Ma il bello è proprio non risolvere l’enigma

Fino a ora abbiamo fatto un po' come lo stesso David Lynch ama fare: abbiamo ingannato il nostro pubblico, attirandolo in una trama che lo avviluppa a mo' di mosca nella ragnatela.
Perché fino a questo momento vi abbiamo titillato la curiosità facendo leva su quella cosa che gli esseri umani non riescono proprio a scrollarsi di dosso: il capire a ogni costo.
In realtà non si potrà mai capire davvero Mulholland Drive perché il senso del film è appunto quello di non essere compreso.

Si tratta di un esperimento psicologico oltre che cinematografico, una prova con cui Lynch ha voluto provare a comunicare con gli spettatori non parlandogli a livello razionale bensì basando tutto sul piano sensoriale ed emozionale. Le sue armi sono la scrittura così come la colonna sonora, di cui il regista ha curato pure il "sound design”. Con quella musica ossessiva, più intrusiva delle ruminazioni che tarlano la mente degli ansiosi, il creatore di Twin Peaks riesce a mettere in scacco chiunque. Scacco matto, perché qui c'è pure un po' da impazzire...

 

Il suo complice in questo colpo grosso è l’amico e collaboratore di sempre, il mitico compositore Angelo Badalamenti. Quest'ultimo recita anche: potete notarlo in un cameo, nella scena in cui sputa un caffè.

Per chi non ne vuole proprio sapere di comunicare con Lynch sul piano emotivo-sensoriale e vuole portarsi a casa la cara vecchia “morale” da noir e thriller (ossia la spiegazione logico-razionale di tutto, il caro vecchio "l'assassino è il maggiordomo" che arriva come l'happy ending delle favole disneyane), può comunque provare a comporre il puzzle.
Il regista ci offre qualche tassello, disseminando la trama di oggetti ricorrenti come una lampada rossa, una tazza di caffè, una chiave blu in due formati differenti, un badge di riconoscimento, il titolo di una pellicola e anche un club di magia chiamato “Silencio”.

Ma, come in quest'ultimo, tutto è apparenza e inganno. E tutto è Lynch, quindi lasciate ogni speranza, o voi ch'entrate.

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