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Michael J. Fox si racconta nel suo nuovo libro, tra ottimismo e fragilità

Cinema

Barbara Tarricone

Si intitola  “No Time Like the Future: An Optimist Considers Mortality",  il quarto libro autobiografico dell'attore americano. Si tratta di un viaggio personale e intenso tra le incertezze della malattia e la speranza nel futuro 

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Michael J. Fox non può scrivere, carta e penna sono troppo difficili da navigare per i suoi tremori, neanche battere ad una tastiera, dice “ne uscirebbe il codice morse”. Può dettare però, ed è così che ha scritto No time Ike the future: An optimist considers mortality. Il suo quarto libro, ancora non pubblicato in Italia, redatto, grazie ad un’assistente, a cavallo tra il 2019 e il 2020. La sbalorditiva ascesa dell’attore canadese, enfant terrible di una delle sitcom più popolari degli anni ’80, Casa Keaton, ed interprete della indimenticabile trilogia di Ritorno al Futuro era inarrestabile. 1,65, aspetto del bravo ragazzo, atletico, bravo in tutti gli sport, dalla fisicità elastica, veloce di movimenti, coordinato ai confini con l’acrobazia. Dice:“sfidavo la gravità quotidianamente, ora, a 58 anni, deambulo come un novantenne”, “Guardo passare un nonno con un bastone e penso, guarda quel bastardo come fila”. 

A 29 anni a Michael J. Fox è stato diagnosticato il morbo di Parkinson. “Bernard Shaw disse: la giovinezza è sprecata sui giovani. Non per me, semplicemente non sapevo che sarei passato da essere giovane direttamente ad essere vecchio”. Un dato di fatto che non sorprende perché Michael J. Fox ha sfruttato la sua notorietà per creare una fondazione che raccogliesse denaro per la ricerca contro il morbo di Parkinson. In 20 anni 1 miliardo di dollari. Dopo un periodo passato a cercare ruoli che potesse interpretare camuffando i sintomi, nel 1998, 7 anni dopo la diagnosi, decide di renderla nota: d’altronde i segni della malattia sono sempre più forti ed è impossibile nasconderli.  Segue un primo ritiro dalle scene, poi capisce che può dedicarsi a ruoli dove la malattia è parte della storia: in Scrubs è un neurochirurgo con OCD, in Boston Legal un bilionario con un tumore allo stadio finale, in Rescue me è paraplegico, per The Good Wife decidono di dare al suo personaggio, un avvocato, la discinesia tardiva, un’altra malattia degenerativa che ha in comune alcuni sintomi con il morbo di Parkinson

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Michael J, Fox non ci racconta che il morbo di Parkinson sia stato un dono, o che ogni cosa succede per una ragione, ma, come dice nel sottotitolo, cerca di combinare il suo innato ottimismo, quello che gli ha fatto lasciare le superiori incompiute e lo ha portato dal Canada a Los Angeles, convinto che ci avrebbe trovato fortuna e gliela ha fatta trovare, con il realismo della sua condizione. Il suo libro inizia con una caduta rovinosa. Una che non avrebbe dovuto fare. Oltre al morbo di Parkinson infatti, nell’anno che lui chiama il suo hannus horribiilis, il 2018, comprende che una formazione tumorale che ha sulla spina dorsale è cresciuta fino a comprimere le vertebre in modo insopportabile. Le opzioni: o lasciare che deteriori ulteriormente la sua capacità di camminare fino all’immobilità, o tentare un intervento che nemmeno i migliori chirurgi si sentono di fare. Certo, ride il dottore che lo opererà “nessuno vuole essere il dottore che ha paralizzato Michael J Fox”. In qualche modo la battuta rassicura Fox che si sottopone alla chirurgia

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La sua narrazione, acuta e ironica, si sofferma sulla realtà: le procedure mediche, le prognosi, le conversazioni, la riabilitazione. CI si chiede, leggendo il suo libro, punteggiato di piccoli riferimenti cinematografici alla sua seconda carriera, quella iniziata appunto dopo la realizzazione che i sintomi del morbo di Parkinson: tremori, instabilità nella deambulazione, ridotta mimica facciale, lentezza nella parola, erano ineludibli, che grande star sarebbe potuta essere Michael J .Fox  se non avesse avuto limitazione di ruoli; ma non è la domanda che si fa o che si fa più l’attore che anzi annuncia quello che potrebbe essere il definitivo ritiro dalle scene. “Negli ultimi anni ho accettato pochi ruoli, sono gli ultimi che ho fatto e forse gli ultimi in assoluto. Faccio questa considerazione senza tristezza (…) questa seconda carriera mi ha portato in luoghi inaspettati (…) c’è un tempo per tutto e il tempo delle giornate di lavoro di 12 ore e del ricordarsi a memoria 7 pagine di dialogo è alle mie spalle”:      

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 Padre di quattro amatissimi figli, tre dei quali avuti dopo con la diagnosi, sposato da oltre 30 anni con Tracy Pollan, conosciuta sul set di Casa Keaton (erano fidanzati anche nella serie) Fox è un ex alcolista. Ha smesso, con i consueti gruppi, dopo che una mattina, svegliatosi da una sbronza, ha visto lo sguardo di sua moglie: annoiato. Nella sua vita e nel suo lavoro ha sperimentato il potere dell’ottimismo, fino a farne un documentario per la TV che lo spinge fino in Bhutan, notoriamente il posto più felice del mondo. “Va notato” ci racconta,” che ogni casa è adornata da un enorme fallo, a volte più di uno, composti come un bouquet.” Ci immaginiamo il suo sguardo ironico, la sua reazione sbalordita e divertita alla Marty Mc Fly mentre ci racconta queste cose. 

Ma l’ottimismo non è onnipotente “Avevo delle aspettative, convalidate dai risultati del passato, che tutto si sarebbe sistemato. Ma anche nel passato c’erano stati fallimenti ed ora mi rendo conto che non avevo dato ai fallimenti lo stesso peso”. La rovinosa caduta con cui inizia il libro, avvenuta dopo una penosa e lunga riabilitazione dopo l’intervento alla spina dorsale, è la famosa goccia che fa traboccare un vaso già pieno. Nonostante la posizione economica estremamente privilegiata, una famiglia unita e amorevole, amici famosi e solidali, la realtà è oggettivamente provante, le condizioni di salute avverse e debilitanti. “Le cose non sempre vanno bene, a volta vanno di m***a”- dice -  “Devo dire alla gente la verità.“         

Chi segue Michael J Fox un paio di anni fa avrà visto che si è tatuato una tartaruga di mare: il suo post su Instagram con la didascalia "Primo tatuaggio, lunga storia “ è stato commentato con incredulità: ma come un tatuaggio a oltre 50 anni? No time like the future racconta perché: un incontro in mare con una vecchia e stoica tartarugona, una cicatrice in testa, un pezzo di pinna mancante. “Ne aveva ovviamente passate tante, ma si era guadagnata il diritto di andare dove voleva.  Mi ha trasmesso la sua volontà. Certo è più semplice farsi trasportare dalla corrente, ma a volte devi prenderti il rischio di intraprendere un nuovo percorso”,

Dopo un anno di incertezza collettiva sul futuro, le parole di Michael J .Fox, irriducibile ottimista ammaccato come la sua tartaruga dall’oggettività delle batoste della vita, sono un leggero ma realistico antidoto al disfattismo o alla positività insostenibile e prescritta a tutti i costi: un percorso, traballante, ma solare verso il futuro.