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Beethoven al cinema: le migliori scene con la musica di "Ludovico Van"

Cinema

Giuseppe Pastore

In questi giorni ricorrono i 250 anni dalla nascita del grande compositore tedesco. Il fascino della sua arte è intatto ancora oggi: da Kubrick a Tarantino, ecco le più grandi sequenze della storia che hanno tratto ispirazione dalle sue opere

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Appena quattro note: tre note uguali in levare, una più lunga in battere. Sol-sol-sol-mi... Una specie di Big Bang della musica moderna, di cui per esempio Goethe disse: “È così grandioso che potrebbe crollare la casa”. Con questo prologo Ludwig van Beethoven intendeva esprimere crescente inquietudine per una sordità che continuava a peggiorare, senza però che pregiudicasse – anzi – la purezza del proprio genio. L'attacco della Quinta Sinfonia spiega alla perfezione perché il cinema (e più in generale, il mondo dello spettacolo) continuino a subire il fascino delle creazioni di Beethoven, sia nelle composizioni più cupe che in quelle più dolci e delicate. Ecco una galleria di grandi momenti di cinema – per forza di cose incompleta, tra quelli rimasti fuori citiamo almeno Big Fish e L'attimo fuggente – che non sarebbero stati gli stessi senza l'inestimabile contributo del caro vecchio “Ludovico van”, che oggi compie 250 anni e verrà festeggiato anche da Sky, che alle 21:15 del 16 dicembre trasmetterà su Sky Cinema 2 il biopic Louis Van Beethoven, con Tobias Moretti.

Il discorso del re (Tom Hooper, 2010)

Nella bellissima pellicola di Tom Hooper, premiata con l'Oscar per miglior film, regia, sceneggiatura e attore protagonista (un grande Colin Firth), il secondo movimento della Settima sinfonia di Beethoven fa da sottofondo alla scena madre, quando il re Giorgio VI, tenendo finalmente a freno la propria balbuzie con l'aiuto del suo logopedista (Geoffrey Rush), comunica via radio al suo popolo la drammatica scelta di entrare in guerra contro la Germania. Una melodia solenne e struggente, che aumenta con eleganza e discrezione il pathos di un momento già altamente drammatico. 

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Misery non deve morire (Rob Reiner, 1990)

Non certo un film leggiadro, quello di Rob Reiner tratto da un romanzo di Stephen King che immagina la relazione “tossica” tra uno scrittore di successo (James Caan) e un'infermiera psicopatica che ne diventa carceriera (Kathy Bates). Nella scena più famosa e cruenta, in cui la carnefice lega al letto la sua povera vittima infliggendogli una lunga serie di efferate torture, Reiner sceglie un sottofondo delicato come Al chiaro di luna, ovvero la sonata per pianoforte n.14 in Do diesis minore, uno dei componimenti più pacifici e delicati di Beethoven. Una scelta tipicamente antifrastica, ovvero in aperta contrapposizione con il contenuto della scena, e per questo non priva di ironia.

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Il pianista (Roman Polanski, 2002)

Ascoltiamo ancora Al chiaro di luna in una scena del Pianista di Polanski, che racconta la storia drammatica e in gran parte autobiografica dell'ebreo polacco Wladislaw Szpilman (Adrien Brody), pianista presso la radio di Varsavia e deportato nel ghetto della città dopo l'esplosione della Seconda Guerra Mondiale. Nascosto nella soffitta di una delle poche case ancora rimaste in piedi, smunto e tormentato dalla fame, Wladislaw sente in lontananza le note di Beethoven, che causano nostalgia e struggimento sia a lui che allo spettatore.

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Rosemary's Baby (Roman Polanski, 1968)

Ben altro utilizzo fa Polanski della celeberrima Per Elisa, in uno dei più grandi horror di tutti i tempi: siamo alle battute finali e la paranoia della protagonista (Mia Farrow) è ormai giunta alle estreme conseguenze. Dopo aver perso (?) un bambino concepito in circostanze controverse, Rosemary viene accudita e tenuta d'occhio da un'inquietante infermiera che le porta misteriose pillole bianche, mentre dall'altra parte del muro risuona lontana quella melodia al pianoforte...

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Django Unchained (Quentin Tarantino, 2012)

Per Elisa torna come fonte di inquietudine anche nel western di Tarantino: la suona all'arpa una delle musiciste a casa di Carvin J. Candie (Leonardo DiCaprio), che ha appena acconsentito a vendere al dottor Schultz (Christoph Waltz) la sua schiava Broomhilda (Kerry Washington), compagna di Django (Jamie Foxx). Ma essendo un film di Tarantino, le cose non sono così semplici come sembrano: e infatti, nell'attesa che succeda qualcosa, Per Elisa diventa quasi un componimento alla Morricone, tenuto come sottofondo a un lungo gioco di gesti, sguardi, brutti ricordi, silenzi.

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Equilibrium (Kurt Wimmer, 2002)

In questo film di fantascienza con Christian Bale, ambientato in un futuro distopico in cui i ricordi e le emozioni sono vietati per legge così come tutti gli strumenti che potrebbero generarne (a cominciare dalla musica), l'ascolto su un vecchio giradischi della Nona di Beethoven è un momento catartico all'interno della trama e della vita del poliziotto John Preston (Christian Bale). 

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La febbre del sabato sera (John Badham, 1977)

Come vedete, nessuno resta insensibile a Beethoven: nemmeno un mondo lontanissimo come la disco anni Settanta, che con Walter Murphy e la Big Apple Band si appropriò della Quinta Sinfonia nel modo che possiamo ascoltare in una delle scene più famose del cult che lanciò John Travolta come mito generazionale, quella in cui Tony Manero entra in grande stile nel locale di cui è fondamentalmente il re. I puristi arricceranno certamente il naso, eppure una pietra miliare della discomusic come A Fifth of Beethoven – nel suo essere un'opera singolare, probabilmente anche kitsch - simboleggia il rispetto e della deferenza che tutta la musica contemporanea tributa a Ludwig Van Beethoven (il titolo è un gioco di parole tra la “Quinta” e il fifth, una misura equivalente a un quinto di gallone, usata soprattutto per i liquori più impegnativi).

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Arancia meccanica (Stanley Kubrick, 1971)

Una rassegna delle migliori sequenze beethoveniane non può che concludersi con Arancia Meccanica, e non perdiamo neanche tempo a spiegarvi i motivi. Dopo una serata impegnativa, il secondo movimento della Nona sinfonia è la musica che Alex (Malcolm McDowell) ascolta per rilassarsi: per così dire, visto che l'ascolto gli genera visioni estatiche di ultra-violenza, esplosioni, demolizioni e altre catastrofi assortite. Si noti una cosa: nel film Kubrick non utilizza mai Beethoven come sottofondo a scene di violenza “reali” (si pensi a Singin' in the Rain o alla famosa scena in camera da letto con l'ouverture accelerata del Guglielmo Tell di Rossini), ma solo quando lascia libera l'immaginazione.

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Kubrick attinge ancora dalla nona sinfonia durante la scena della tremenda “cura Ludovico”, in cui Alex viene bombardato da immagini di violenza insostenibile alla cui vista non può sottrarsi, visto che è legato a una sedia con le palpebre spalancate a forza: ma questa volta la scelta cade sul quarto movimento, il famoso Inno alla Gioia, un testo di Friedrich Schiller musicato nel 1808 (che nel film risuona con l'arrangiamento al sintetizzatore di Wendy Carlos) che fin dal titolo sarebbe ben poco appropriato a quello che stiamo per vedere. Grazie all'amico Ludwig, Kubrick riassume in un paio di minuti il fortissimo sarcasmo che permea la scena e tutto il film: il fatto di vedere l'adorato Beethoven sovrapposto agli orrori e alle atrocità naziste provoca ad Alex una nausea insostenibile.

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Chiudiamo il cerchio con una squisitezza kubrickiana. Avevamo citato all'inizio le memorabili quattro note iniziali della Quinta Sinfonia, che nel pensiero dell'autore erano la rappresentazione del “destino che bussava alla porta”. Bene, state a sentire quale “suoneria” Kubrick usa come campanello di casa dello scrittore a cui Alex e i suoi Drughi fanno visita per una delle loro scorribande notturne, in una delle scene più famose e famigerate della storia del cinema.