Jesus Christ Superstar, Frankie Hi NRG: "Il mio Erode hip hop"

Spettacolo

Gabriele Lippi

Il rapper in scena, alla sua prima prova in carriera con un musical, nella rock opera di Andrew Lloyd Webber. "Non avrei mai pensato al musical - racconta a Sky TG24 - Erode è una pernacchia che arriva appena prima di un minuto di orrore, felice di poterlo interpretare a modo mio"

C'è un nuovo re in Galilea. O meglio, il re è sempre lo stesso, il solito vecchio Erode, ma adesso ha il volto di Frankie Hi NRG, rapper nato a Torino e cresciuto a Città di Castello, autore di brani culto come Fight the Faida e Quelli che Benpensano e artista eclettico, capace di districarsi tra musica, teatro, cinema, televisione. E ora il musical, pardon, la rock opera, con Jesus Christ Superstar. Nei panni di Erode, appunto, ironico per un artista che di cognome, all'anagrafe, fa Di Gesù.

La nuova edizione italiana curata da Massimo Romeo Piparo dello spettacolo composto da Andrew Lloyd Webber con testi di Tim Rice ha debutatto il 6 aprile al Teatro Sistina di Roma, e nei prossimi mesi toccherà altre città italiane (QUI TUTTE LE DATE). Una versione che si presenta con una certezza: quella di Ted Neeley nel ruolo di Gesù, con una sequenza dedicata all'Ucraina e la compresenza sul palco di un soprano russo e uno ucraino, Anna Koshkina e Sofiia Chaika, che si alternano nel ruolo di Maria Maddalena. Di Jesus Christ Superstar e del suo Erode abbiamo parlato con Frankie Hi NRG.

Dopo le grandi collaborazioni con artisti internazionali, dopo la regia, la poesia, il teatro di prosa, il cinema e il palco di Sanremo, ecco il musical. E che musical.
Tu dici come mai? E io ti dico perché no? Come dico perché no a tutte le robe assurde e incredibili che hai enumerato. Non pensavo minimamente che sarei mai andato al Festival di Sanremo ma nemmeno che avrei lavorato nel mondo dello spettacolo. O comunque credevo sarebbe stato un lavoro dietro le quinte, perché la mia passione è sempre stata sperimentare più che mettermi i riflettori addosso, poi se ce n’è bisogno volentieri, non me ne faccio un grosso problema, ma il primo pensiero è a quello che sta intorno.

Quindi come è nata questa avventura?
Quando Massimo Piparo me l’ha proposto, sono rimasto piacevolmente interdetto. Non mi ero mai posto il problema, non ero un appassionato di musical e ho sempre un po’ escluso l’idea di cantare. In famiglia ci sono diversi cantanti bravi, io mi ero trovato la nicchia del rap.

E ora il musical ti piace?
Parlo spesso con degli amici che hanno lavorato nell’opera e mi raccontano del mal d’opera. Ecco, questa è un’esperienza totalmente immersiva, non è un caso che si chiami rock opera, perché al suo interno c’è ogni ambito dell’espressione umana. Magari mi verrà il mal d’opera.

E si comincia con Erode.
È un ruolo che mi sembra quasi propedeutico a questo mondo. Non chiede particolari doti canore, non una grande estensione vocale. Nel film è l’unico che viene interpretato da un attore e non da un cantante, in passato è stato interpretato da Jack Black. L’ho visto fattibile, mi sono iniziato a documentare, a studiare la parte, a vederne le varie interpretazioni, e devo dire che averlo visto rappresentato in maniera così eterogenea, variegata, esasperata, mi ha rinfrancato e mi ha messo davanti a un terreno sul quale tracciare i confini di una mia proprietà.

Quindi ecco l’Erode rapper?
Il film è uscito una settimana dopo la nascita dell’hip hop, che si dice sia nato l’11 agosto del 1973 a casa di Dj Kool Herc. Ovviamente l’hip hop che avrei dovuto portare non è quello contemporaneo del bling bling, ma quello d’antan, attingere a elementi dell’estetica classica. Dovendo essere caricaturale ho immaginato di potermi trasformare in un muppet di quelli rappresentati nei graffiti. Mi è venuta in mente la fibbia personalizzata col nome, gli anelloni di Radio Raheem in Fa la cosa giusta, solo che a Erode, al posto di Love e Hate, ho fatto scrivere Sodo e Gomo, riferimento standard per una persona infima come è lui. Li ho modellati e stampati in 3d con la mia stampante, dipinti con Chiara del dipartimento scenografie e ho contribuito a costruire anche esteticamente il personaggio per poterlo sentire più mio.

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Foto Margot De Haide

Il ruolo di Erode potrebbe essere definito secondario, almeno per il tempo in scena. Eppure è diventato iconico. Forse è il personaggio più divertente, ironico, dissacrante di un musical dai toni altrimenti decisamente drammatici. Quanto ti sei divertito nell’interpretarlo?
Quando lo interpreto mi dà la libertà di esprimermi in clownerie. È satira del potere fine a se stesso. È una pernacchia che arriva a un certo punto, nel momento clou, appena prima di un dirupo di orrore, appena prima che Gesù venga torturato e portato al Calvario. Un personaggio talmente cattivo, l’archetipo dell’orco delle fiabe, che 33 anni prima ha sterminato tutti i neonati maschi per la paura di essere spodestato da Gesù. L’unico modo che hai per portare in scena un personaggio del genere è una pernacchia. E io continuo a lavorarci. Poco fa, mentre scolavo gli gnocchi, ho pensato che stasera avrei toccato il naso a Ted. E mi diverte l’idea di poter pensare a come completare il personaggio in maniera da renderla ancora più rotonda, facendolo hip hop e pescando dalla tradizione del teatro italiano.

Cinquantadue anni, eppure Jesus Christ Superstar è ancora uno spettacolo da soldout. Qual è il suo segreto?
Io non sono credente, sono da sempre stato curioso di materia religiosa, soprattutto cristiana cattolica, ma da scettico mi sono sempre andato a documentare. Anche da appassionato d’arte l’ho fatto. E in quest’opera non c’è nulla di soprannaturale se non il quadro di Jesus Christ con lo spirito di Giuda che evidentemente arriva dal Paradiso. Si parla di politica, di amicizia, del dramma di due amici del collettivo di cui uno dei due viene rapito dalla politica e dalla massa. Un musical che ha subito tante influenze nel corso degli anni ma mai quella dell’hip hop. Essere il primo a portarci l’hip hop mi fa sentire ancora più responsabile e orgoglioso.

Sofiia Chaika e Anna Koshkina

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Con te, sul palco, un’icona mondiale come Ted Neeley. Ci sei abituato, hai lavorato con Nas e RZA, hai supportato dal vivo David Bowie, i Run DMC, i Beastie Boys. Hai collaborato con Franca Valeri e Vittorio Gassman. Però te lo devo chiedere, come è duettare con Neeley?
È emozionante anche perché in realtà non è un duetto ma un monologo di cui Ted è vittima e spettatore, ed è divertente guardarlo e vedere nei suoi occhi il trattenere la risata, o la sua voglia di accompagnare con la testa il giro di basso e le mie parti rappate. Ricevere un parere importante da uno che ha lavorato con grandissimi artisti, poi, è uno stimolo. È un’icona, un artista di grande carisma, ma anche un anziano batterista del Texas dolcissimo, che ha sempre una carezza per tutti.

Questa edizione di Jesus Christ Superstar guarda a Est, non alla Palestina, dove è ambientata la storia ma all’Ucraina. Una scelta moderna e attuale ma comunque in continuità col messaggio del musical di Andrew Lloyd Webber. La sofferenza di Cristo è anche in Ucraina?
La vediamo arrivare dall’Ucraina, dallo Yemen, in passato l’abbiamo vista arrivare dalla Siria. Se si guarda al pianeta ci sono almeno cinque o sei posti al mondo, in contemporanea e in ogni epoca, che ricordano il crocifisso umiliato e spezzato. Siamo in un mondo in cui fortunatamente i San Francesco esistono ancora, resistono, siamo anche molto motivati da una serie di ragioni che sono nell’evidenza dei fatti. È significativa anche la scelta di Massimo di coinvolgere Sofia e Anna, dall’Ucraina e dalla Russia, due soprano amiche tra di loro, che cantano e hanno la consapevolezza che la musica non ferma le guerre, sicuramente, ma laddove c’è la musica, intorno ad essa, c’è pace. Un violino che suona e una persona che la ascolta sono una monade di pace, bisogna moltiplicare questi circoli. Le persone che si fermano per la musica portano la pace.

Jesus Christ Superstar Ted Neeley

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