Natale a Kourou, cronache da una base spaziale

Il piccolo bradipo che attraversa la strada sembra uscito dal film Zootropolis. Meglio non avvicinarsi e provare a toccarlo però. A dispetto del muso che sembra sorriderti, è un animale selvatico e pericoloso, spiegano i locali, a partire dalle unghie. Benvenuti nello spazioporto di Kourou, in Guyana francese, dipartimento d’oltremare della Francia in America meridionale, con affaccio sull’Oceano Atlantico, tra il Brasile e il Suriname. La porta dell’Europa per l’accesso allo spazio, dove si torna a lanciare dopo mesi di stop, tra ritardi, incidenti e contraccolpi geopolitici della guerra in Ucraina. Nel centro tecnico si respira l’eccitazione della ripartenza e l’atmosfera del Natale: il tour dei giornalisti prevede la visita alle nuove infrastrutture. Al porto di Pariacabo, approdo per la città di Kourou, c’è ormeggiata la nave cargo che trasporta i pezzi dei razzi Ariane 6 dall’Europa. La traversata transatlantica sulla prima rotta marittima che porta dritta al futuro dura una decina di giorni. “La filosofia di questo battello è quella di riuscire a trasportare per intero un razzo Ariane 6 in un solo viaggio e lo scopo ultimo quello di mettere in piedi una flotta di imbarcazioni per il trasporto sostenibile. Una sorta di rotta marittima decarbonizzata dello spazio - ci spiega Eric Le Nechet, Manager per il Trasporto e la logistica di ArianeGroup, un veterano che ha già compiuto otto traversate a bordo di questa nave “è unica nel suo genere e in mare si comporta con grande fierezza. L’abbiamo battezzata Canopée, che in francese vuol dire chioma, per rendere omaggio alla Guyana e allo spazio. Qui la cosa più importante è la foresta amazzonica e la chioma degli alberi rappresenta la cima della foresta. Oltre c’è solo il cielo, che è lo spazio”. La traversata inaugurale è stata compiuta alla fine del 2022: “Passare l’ultimo dell’anno su questa nave è stato per me allo stesso tempo un grande sollievo, per essere riusciti a portare a termine il progetto in tempi record nonostante la pandemia, e un grande orgoglio personale, essendo uno dei protagonisti di questa avventura - conclude il manager di ArianeGroup. “Di solito si battezza una nave rompendo una bottiglia di champagne sulla sua prua, ma è un rito che abbiamo compiuto solo dopo la prima traversata, che comunque è andata bene lo stesso” aggiunge Victor Marais, il capitano della Canopée. Strutturata su tre livelli, l’imbarcazione può ospitare una ventina di persone, tra tecnici e membri dell’equipaggio. C’è anche la cabina per un ospite. Grazie ad avveniristiche vele e a una combinazione tra vento e motori, si può arrivare a risparmiare fino al 30 per cento di carburante in un anno, ci spiega ancora il capitano: “questa nave è la prima della sua specie e spero che il progetto ibrido a vela assistita faccia da apripista per accelerare la decarbonizzazione marittima”. Una volta sbarcate in Guyana all’interno di speciali container, le varie componenti del razzo Ariane 6 vengono trasportate all’interno del centro spaziale per essere assemblate, testate e poi issate sulla struttura mobile destinata a proteggere il lanciatore fino al suo decollo. Nei dintorni della rampa sembra si aggiri un giaguaro, che rompe i lucchetti per tornare in quello che per lui non è un sistema di lancio, ma il suo territorio. “Questo luogo racconta di un matrimonio perfetto tra la natura e la tecnologia – sottolinea Pier Domenico Resta, Responsabile ingegneria del Sistema di lancio di Ariane 6 dell'Agenzia Spaziale Europea, che qui allo spazioporto ha passato diverse volte le feste di Natale “Siamo ai margini della foresta delle Amazzoni, davanti alla tavola di tiro di un lanciatore di grandi dimensioni come Ariane 6 dove tanti mondi avanzati si incrociano in una vera e propria festa della tecnologia. Per comprendere il senso di un posto come questo bisogna venirci e assistere a una campagna di lancio”. Più tardi, a mensa, ci racconta che a Kourou chi ha un week-end libero va a provare l’emozione di passare almeno una notte nella giungla, che qui presenta tre gradi di difficoltà. “C’è la foresta a bordo strada, poi c’è quella dove si riesce ancora a camminare e infine l’ultima, dove ci si apre la strada a colpi di machete e se torni dopo un po’ sono spariti i segni del tuo passaggio, perché la vegetazione ha già ricoperto tutto” conclude Resta. Un perdersi progressivo in un luogo fatto di giungla e spazio, dove a dominare su tutto è una vegetazione lussureggiante dalla quale, se ti distrai un attimo, vieni risucchiato. E a vederla dal cielo, quando si arriva di giorno in aereo, la Guyana francese fa lo stesso effetto: se si buttasse uno spillo dall’alto non riuscirebbe a toccare terra, tanto è fitto e impenetrabile il manto verde che corre sotto i nostri occhi. Lo spazioporto di Kourou è nato a metà degli anni Sessanta per volere dell’allora Presidente Charles de Gaulle. Un luogo in mezzo alla foresta vicino al mare e all’equatore dove poter beneficiare della velocità di rotazione della Terra e condurre attività pericolose senza il rischio di mettere a repentaglio la popolazione, con condizioni meteo stabili, senza picchi di caldo o di freddo e senza il passaggio di uragani. La base spaziale si estende per oltre settecento chilometri quadrati, immersa in una foresta incontaminata diventata un’immensa riserva naturale grande sette volte la città di Parigi, dove i punti di osservazione per il decollo dei razzi hanno nomi che richiamano quelli di uccelli esotici: Colibrì, Tangara del paradiso, Pandora. “Ogni mattina arrivando allo spazioporto si posso incontrare tucani e scimmiette” racconta Massimiliano Costantini, Responsabile del servizio Flight and Safety del Centro spaziale Guyanese, 40 anni, piacentino, arrivato qui dieci anni fa con un volo di sola andata direttamente dal Politecnico di Milano dopo aver inviato il curriculum “la Guyana francese è un posto incredibile, molto diverso dall’Italia: non esistono le stagioni e fa caldo tutto l’anno, sei sempre a contatto con la natura ed è molto piacevole. Passare qui il Natale è diverso rispetto ai canoni ai quali siamo abituati, che prevedono la neve e l’albero, ma l’atmosfera riusciamo a sentirla comunque, ad esempio con i canti natalizi previsti dopo l’ultimo lancio dell’anno. Ci adattiamo all’ambiente, stiamo a mezze maniche e il 25 dicembre di solito andiamo in spiaggia”. Un altro italiano che ha passato qui molto tempo, impegnato nelle campagne di lancio del razzo made in Italy Vega e nella costruzione dello stabilimento Avio Guyana, è Antonio Pizzicaroli “I miei tre Natali al caldo? È una sensazione strana stare in pantaloncini e non riuscire a mangiare i nostri dolci tipici, ma per fortuna c’erano i colleghi, con cui sono riuscito a passare il 25 dicembre non in famiglia ma con una famiglia allargata di amici che stavano assieme e si facevano compagnia. Ci tengo a ricordarne uno in particolare, perché è il primo anno che lanciamo dopo la sua scomparsa. Si tratta di Francesco Depasquale, che ha fatto tantissimo per la costruzione del nostro stabilimento qui in Guyana e per Avio. Una persona eccezionale, alla quale devo tantissimo” conclude Antonio, che si emoziona quando gli citiamo la strada che Avio ha dedicato al collega all’interno dello spazioporto. Rue Francesco Depasquale, la scritta che avevamo notato su un’insegna stradale qualche ora prima passando in pulmino, diretti verso le rampe di lancio. L’ultima volta che eravamo stati a Kourou era la fine del 2019. A distanza di cinque anni la base è cambiata e i russi hanno lasciato lo spazioporto. “Il contesto geopolitico è profondamente mutato e dopo l’invasione dell’Ucraina non è stato più possibile utilizzare il lanciatore Soyuz” ci spiega Simonetta Cheli, Responsabile dei programmi di Osservazione della Terra dell’ESA. Dopo un periodo in cui l’Europa ha dovuto servirsi di lanciatori targati SpaceX e basi americane per lanciare i suoi satelliti, il successo del volo inaugurale del razzo Ariane 6 e il ritorno al volo del lanciatore made in Italy Vega-C segnano per Kourou una nuova ripartenza. Nel frattempo, le palline per l’albero di Natale che avevamo acquistato nel negozio di souvenir del Centro spaziale cinque anni fa sono diventate il cimelio vintage di un’epoca che non esiste più. Il vecchio logo impresso sulla plastica colorata di quegli addobbi per l’albero, infatti, riportava stilizzate le sagome dei tre lanciatori che nel tempo avevano fatto la storia della base: Ariane, Vega, e Soyuz. Oggi che l’Europa torna in rampa di lancio, sugli scaffali dello shop della nuova area espositiva le palline di plastica colorata, che al loro interno custodivano un minuscolo impermeabile per affrontare gli scrosci improvvisi di pioggia tipici della zona, sono scomparse, mentre sulle tazze le sagome dei lanciatori sono stati sostitute da quelle dei bradipi. In fatto di merchandising, avrà pensato qualcuno, meglio andare sul sicuro, puntando su un piccolo mammifero che non rischia di passare di moda.