Neanderthal, i neonati svezzati come nell’Homo sapiens: lo studio

Scienze

Un team internazionale di ricercatori, coordinati da esperti dell’Università di Bologna, ha analizzato tre denti da latte appartenuti a bambini neandertaliani vissuti tra 70.000 e 45.000 anni fa nell’Italia nord-orientale. Grazie alla spettrometria di massa, si è potuto stabilire che hanno iniziato a mangiare cibo solido tra i cinque e i sei mesi d’età

Un nuovo studio, basato su analisi geochimiche e istologiche di tre denti da latte appartenuti a bambini neandertaliani vissuti tra 70.000 e 45.000 anni fa nell’Italia nord-orientale, ha permesso di poter affermare che il loro ritmo di crescita era molto simile a quello dell’Homo Sapiens. E questa scoperta ha portato ad escludere che uno svezzamento tardo possa essere annoverato tra le cause che hanno contribuito alla scomparsa di questa specie umana. A rivelarlo un lavoro di ricerca pubblicato sulla rivista “Pnas” e con il titolo “Early life of Neanderthals”, coordinato da Stefano Benazzi, professore presso il dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna e membro del progetto di ricerca europeo “Success”, che tra i proprio obiettivi ha quello di capire quando l’uomo moderno sia arrivato nell’Europa meridionale, i processi che ne hanno favorito il suo adattamento e le cause che hanno portato all’estinzione del Neanderthal.

Lo svezzamento intorno al quinto o sesto mese

Nello studio, come si legge in un comunicato diffuso dall’Università di Bologna, hanno partecipato oltre a ricercatori dello stesso ateneo bolognese, anche esperti della University of Kent (Regno Unito), del Goethe University Frankfurt (Germania), dell’Università di Ferrara, dell’Università di Modena e Reggio Emilia, dell’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria (IGAG) – CNR, del Centro Internazionale di Fisica Teorica "Abdus Salam", dell’Università di Firenze, della Sapienza Università di Roma e del Natural History Museum of London (Regno Unito). Ciò che è emerso dall’analisi dei denti da latte è che i Neanderthal facevano cominciare lo svezzamento dei loro neonati intorno al quinto o sesto mese d’età, con tempistiche molto simili a quanto succede per l’uomo moderno. “In modo simile a quanto avviene negli alberi, infatti, il processo di crescita dei denti produce delle ‘linee di accrescimento’ dalle quali è possibile ottenere informazioni attraverso tecniche di analisi istologica”, hanno spiegato i ricercatori. Unendo queste informazioni con i dati sulla composizione chimica ottenuti grazie alla spettrometria di massa, i ricercatori sono riusciti a stabilire che i bambini a cui sono appartenuti i denti analizzati hanno iniziato a mangiare cibo solido proprio tra i cinque e i sei mesi d’età.

La dieta dei neonati

“L’inizio dello svezzamento è collegato alla fisiologia dei neonati più che a fattori culturali”, ha spiegato Alessia Nava, del dipartimento di Scienze Odontostomatologiche e Maxillo Facciali della Sapienza, attualmente ricercatrice presso la Marie Curie della University of Kent (Regno Unito) e tra gli autori dello studio. “Per l’uomo moderno, infatti, a prescindere dal tipo di cultura e di società, l’introduzione nella dieta di cibo solido avviene attorno al sesto mese, quando il bambino inizia ad aver bisogno di un maggior apporto energetico: ora sappiano che la stessa tempistica valeva anche per i Neanderthal”. Secondo Federico Lugli, altro autore della ricerca e ricercatore dell’Università di Bologna, “se facciamo un confronto con altri primati è molto probabile che l’alto livello di risorse energetiche richiesto per il processo di crescita del cervello umano porti alla necessità di una precoce introduzione di cibi solidi nella dieta dei neonati”.

Gli elementi di connessione tra le specie

Tra l’altro, i dati emersi da questo studio hanno consentito anche di ricostruire alcune caratteristiche e comportamenti degli uomini di Neanderthal, facendo escludere che il numero ridotto della loro popolazione potesse essere connesso a tempi di svezzamento più prolungati rispetto all’Homo Sapiens, elemento che avrebbe portato ad una minore fertilità. “I risultati di questo studio mostrano che i Neanderthal e l’Homo Sapiens condividono una richiesta energetica simile nel corso della prima infanzia e un simile ritmo di crescita”, ha sottolineato Stefano Benazzi, professore dell’Università di Bologna, tra i coordinatori dello studio. “Questi elementi suggeriscono che i neonati di Neanderthal dovevano avere un peso simile a quello dei nostri neonati: ciò indicherebbe anche una simile storia gestazionale, un simile processo di sviluppo nelle prime fasi di vita e forse anche un possibile intervallo tra le gravidanze più breve di quanto si è pensato finora”.

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