Grazie all’analisi di denti fossili appartenuti ad ominidi di Australopithecus africanus, un team di ricercatori internazionali ha potuto ricostruire come le madri di questa specie investissero risorse nelle cure parentali
Le madri di ominidi di Australopithecus africanus, una specie estinta del genere Australopithecus vissuta in Africa tra 3 e 2 milioni di anni fa, allattavano i piccoli per il primo anno di vita e continuavano a farlo anche in seguito, quando c'era carenza di cibo. Lo afferma uno studio pubblicato sulla rivista Nature, la cui ricerca è stata coordinata da Renaud Joannes-Boyau dell'australiana Southern Cross University e a cui hanno partecipato anche gli italiani Stefano Benazzi, paleoantropologo dell'università di Bologna e Luca Fiorenza che lavora in Australia, alla Monash University. Lo studio ha valenza importante dato che ha messo in luce per la prima volta l’evoluzione del ruolo materno e delle cure parentali nelle madri di Australopithecus africanus.
Lo studio partito dall’analisi di denti fossili
Alla conclusione secondo cui le madri di questa specie allattassero i propri piccoli, la ricerca è giunta analizzando alcuni denti fossili. L’Australopithecus africanus, come racconta il portale di UniBo Magazine, è una specie caratterizzata da una combinazione di tratti simili a scimmie e di tratti simili a quelli umani, insediatasi più di due milioni di anni fa durante un periodo di grandi cambiamenti climatici ed ecologici in Sud Africa. I primi fossili di questa specie sono stati trovati quasi un secolo fa, ma fino ad oggi gli scienziati non sono stati capaci di capire come questi antenati dell’uomo allevassero i loro piccoli. Ora, grazie a questo studio, il gruppo di ricerca internazionale ha potuto stabilirlo, utilizzando tecniche di campionamento laser in grado di analizzare gli isotopi stabili contenuti all’interno dei denti. Questi, spiegano i ricercatori, crescono in modo pressoché simile agli alberi: si formano aggiungendo ogni giorno strati di smalto e dentina. Per questo sono particolarmente preziosi per ricostruire gli eventi biologici che si verificano durante il primo periodo di vita di un individuo, perché conservano precisi cambiamenti temporali e registrazioni chimiche di elementi chiave incorporati nel cibo ingerito. Il team che ha lavorato allo studio, quindi, ha potuto sviluppare alcune micro mappe geochimiche, grazie a cui monitorare informazioni preziose sul consumo di alimenti e sulle prime fasi di sviluppo.
Nuove e importanti conoscenze sui nostri antenati
“Per la prima volta, abbiamo acquisito nuove conoscenze sul modo in cui i nostri antenati crescevano i loro piccoli e su come le madri integravano la dieta post svezzamento con latte materno quando le risorse scarseggiavano”, ha detto Renaud Joannes-Boyau. “Dalle analisi delle bande ripetitive che appaiono all’interno del dente possiamo dire che il cibo era ricco di litio: un elemento chimico che probabilmente aiuta a ridurre il deficit proteico durante le prime fasi di crescita”. Grazie ai dati raccolti dalle analisi dei denti fossili, i ricercatori sono infatti riusciti a dimostrare che le madri di Australopithecus africanus investivano molte risorse nelle cure parentali: un’attività considerata tra gli elementi chiave dell’evoluzione umana. I piccoli venivano allattati continuamente fino a circa un anno di età. In seguito, l’allattamento materno proseguiva ciclicamente in funzione dei cambiamenti stagionali dell’ambiente. Ad esempio durante periodi di siccità, momenti nei quali i piccoli australopitechi venivano nutriti con latte materno per compensare la scarsa disponibilità di cibo.
Le ipotesi sull'estinzione
Stefano Benazzi, paleoantropologo dell’ateneo bolognese e protagonista dello studio, ha raccontato che “i risultati ottenuti sono molto importanti alla luce degli eventi evolutivi avvenuti nel periodo in questione. Il forte e prolungato legame tra madri e figli ha infatti probabilmente implicazioni anche sulle dinamiche di gruppo e sulla struttura sociale. Tanto che il prolungamento dell’allattamento materno potrebbe aver influito sul tasso di riproduzione di questa specie, abbassandone la fertilità, con potenziali implicazioni per la sua estinzione”.