Si tratta di una malattia infettiva, conosciuta anche come "tosse dei 100 giorni" perché può durare dieci o più settimane. Si può prevenire con la vaccinazione. Quando si manifesta, la si combatte con gli antibiotici
La pertosse è una malattia infettiva batterica molto contagiosa. È famosa anche come "tosse dei 100 giorni", perché può durare dieci o più settimane. Come spiega il ministero della Salute, a causarla è un batterio, la Bordetella pertussis, che è presente in tutto il mondo, e che si localizza nelle cellule di rivestimento dell’apparato respiratorio e determina una tosse violenta e secca.
Quando è stata scoperta la pertosse
Il batterio che causa la pertosse è stato scoperto nel 1906, da Jules Bordet e Octave Gengou. I due medici sono stati anche i primi a sviluppare il vaccino contro questa malattia che poi, nel corso dei decenni, ha subito evoluzioni.
Come si diffonde e immunità
La pertosse si diffonde per via aerea attraverso tosse e starnuti di una persona infetta. Le persone risultano infettive dall'inizio dei sintomi fino a circa tre settimane dalla fine delle crisi di tosse. La Bordetella pertussis non ha resistenza nell'ambiente esterno, ma trova il suo habitat naturale nella mucosa delle vie respiratorie, laringe e faringe, dove cresce e si moltiplica. La pertosse può colpire individui di tutte le età, ma la sua manifestazione è più frequente tra i bambini che hanno dai 2 agli 8 anni. I più piccoli, contrariamente a quanto succede con altre malattie infettive, sono suscettibili alla pertosse fin dalla nascita. Gli anticorpi materni, anche se presenti, non sembrano in grado di proteggere i neonati dall’infezione. La pertosse, dice il ministero della Salute, "lascia un’immunità, (protezione nei confronti di ulteriori attacchi della malattia) che declina lentamente nel corso del tempo. Persone che hanno avuto la pertosse da bambini possono, in età adulta o avanzata, andare incontro nuovamente alla malattia, anche se in forma più attenuata e/o atipica; inoltre, anche senza presentare alcun sintomo, esse possono trasmettere l’infezione ad altri soggetti suscettibili".
I sintomi
Trascorso il periodo di incubazione, che è di 10-14 giorni, l’andamento della pertosse è caratterizzato da una fase iniziale, detta catarrale, con febbre leggera, starnuti, raucedine e tosse notturna. A questa segue un periodo di 2-3 settimane, chiamato parossistico, di episodi di tosse secca (5-15 colpi violenti e ravvicinati che terminano con un “urlo inspiratorio” e l’eventuale emissione di minima quantità di muco). Infine c'è una fase di graduale recupero. La tosse convulsiva, dovuta alla malattia, può ostacolare sia la respirazione sia l'alimentazione.
Come si previene e come si cura
La pertosse si previene attraverso la vaccinazione. Il vaccino contro questa malattia, in Italia, è stato reso obbligatorio, assieme ad altri 11, per i bambini in età scolastica. La vaccinazione, inoltre, è anche consigliata dall’Organizzazione mondiale della sanità. Prima dell’introduzione dei vaccini antipertosse, dice il ministero della Salute, "almeno l’80 percento delle persone veniva infettato dal batterio prima dell’adolescenza". Quando invece la pertosse si manifesta, il trattamento prevede l’assunzione di antibiotici eritromicina, claritromicina o azitromicina. La maggior parte degli adolescenti e degli adulti, generalmente in salute, recuperano pienamente dopo un episodio di pertosse, ma le persone con patologie pregresse presentano un rischio maggiore di morbilità e mortalità.
Pertosse, gravidanza e vaccino
Vaccinare le mamme contro la pertosse rafforza le difese immunitarie dei neonati contro la malattia in almeno l'85% dei casi, ma nonostante il vaccino antipertosse sia sicuro e gratuito pochissime madri lo scelgono. A sostenerlo è Susanna Esposito, ordinario di Pediatria presso l'Università degli Studi di Perugia e presidente dell'Associazione mondiale per le malattie infettive e disordini immunologici (Wadid). "In quasi un caso su 3 è la mamma che trasmette al bimbo appena nato il batterio della pertosse", dice Esposito. Ma è la stessa mamma che può trasmettergli la protezione per i primi sei mesi di vita, vaccinandosi durante la gravidanza. Questo vaccino, in grado di proteggere dalla malattia tra il 70% e l'85% dei neonati e lattanti, in Italia, "è pressoché sconosciuto da donne in dolce attesa e dagli operatori sanitari".
L’incidenza della pertosse
Ogni anno nel mondo si contano 16 milioni di casi di pertosse e circa 195mila morti. "Nel primo anno di vita questa malattia è caratterizzata da un tasso altissimo di complicanze, come encefaliti e polmoniti e un tasso di ospedalizzazione del 63%", spiega Esposito. Per questo il vaccino antipertosse è obbligatorio per i nuovi nati. Ma sarebbero necessari richiami ogni 10 anni. "Inoltre - precisa Esposito - il richiamo andrebbe fatto a ogni gravidanza, perché gli anticorpi possono attraversare la placenta e proteggere il nascituro nei primi 6 mesi di vita. Ma meno dell'1% delle gravide lo fa. Si va da regioni come la Puglia, che l'hanno implementata negli ultimi anni, a regioni in cui la vaccinazione viene addirittura sconsigliata dal ginecologo". Se "manca la formazione degli operatori" abbondano invece le prove scientifiche dei benefici.
Antipertosse riduce dell'85% i contagi nelle prime 8 settimane di vita
I dati di uno studio sulla rivista Clinical Infectious Diseases su 42mila donne vaccinate in gravidanza mostra che l'antipertosse riduce dell'85% i contagi nelle prime 8 settimane di vita del neonato e del 70% nei 3 mesi, poi la memoria anticorpale va scomparendo. Di qui la decisione di inserire questa vaccinazione come raccomandata e gratuita nel Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-2019 per le donne incinte. "I dati di uno studio apparso sul Bmj su 20mila donne dimostrano che il vaccino è tollerato benissimo e non provoca effetti collaterali sistemici sulla mamma né tanto meno sul feto. Il momento più efficace è somministrarlo è nel terzo trimestre. Come viene fatto in modo sistematico in Usa, Inghilterra, Spagna e Belgio", afferma Esposito.