I social possono "causare" un disturbo alimentare?

“Insicura”, “Fallita”, “Inadeguato”, “Mai abbastanza magra”, “Giudicata”, “Una m**da”. Sono alcune delle risposte degli utenti dopo aver chiesto di condividere, sui profili Instagram di Sky tg24 e Animenta, un pensiero sul corpo fatto dopo aver guardato contenuti suggeriti dalle piattaforme. I social, utilizzati da quasi il 64% della popolazione mondiale, hanno un impatto significativo sulla costruzione della nostra immagine corporea, un costrutto psicologico complesso. “Include pensieri, emozioni, sensazioni corporee e significati personali. Può esserci anche una discrepanza tra corpo reale e corpo percepito, che talvolta rimane stabile anche di fronte a dati oggettivi” spiega la dottoressa Valeria Ventura, psicologa clinica e membro dell’équipe di Comestai, centro clinico per il trattamento dei Disturbi Alimentari. Sono le esperienze, il modello familiare e le relazioni con gli altri a definire i contorni dell’immagine corporea e i social possono avere un impatto significativo. “Offrono modelli estetici continuamente disponibili, spesso selezionati o ritoccati. La ripetizione di certi standard rende ciò che vediamo come ‘normale’ o desiderabile. Inoltre, l’algoritmo tende a mostrarci contenuti simili a quelli con cui interagiamo: se una persona inizia a cliccare su video dedicati al corpo o al peso, può ritrovarsi immersa in una bolla tematica che amplifica le pressioni”. Il confronto con modelli ideali e irraggiungibili può creare una spaccatura profonda tra corpo reale e corpo percepito. “L’immagine corporea è un filtro attraverso cui interpretiamo ciò che vediamo allo specchio. Sui social il meccanismo del confronto, attraverso cui valutiamo noi stessi in relazione agli altri, è amplificato perché ci paragoniamo a immagini curate e costruite per apparire perfette. Questo può alimentare insoddisfazione, vergogna e senso di inadeguatezza. A risultare insidioso è anche il confronto tra pari: quando vediamo persone simili a noi ottenere risultati percepiti come irraggiungibili, la discrepanza può diventare ancora più dolorosa. ” spiega Ventura. I social possono “causare” i disturbi alimentari? Uno studio del 2024 condotto su 112 utenti australiani di TikTok, di cui 42 con una diagnosi attuale di disturbo alimentare, ha monitorato per un mese i contenuti suggeriti dall’algoritmo notando come gli utenti con DCA ricevevano molti più video problematici: +146% per l’aspetto, +335% sulla dieta, +142% sull’esercizio fisico, +4343% contenuti tossici relativi alla malattia. Maggiore era la gravità dei sintomi, più l’algoritmo era polarizzato verso questi contenuti. Secondo un altro studio, del 2023, gli effetti negativi non dipenderebbero tanto dal tempo trascorso online ma dalla qualità dei contenuti: chi aveva guardato contenuti legati al dimagrimento presentava un minore apprezzamento del corpo, maggior paura del giudizio e più comportamenti alimentari disfunzionali. “I social non ‘causano’ un disturbo alimentare perché parliamo di condizioni complesse che dipendono da tanti fattori diversi. Tuttavia, possono essere un fattore di rischio e talvolta anche di mantenimento: aumentano la pressione estetica, l’insoddisfazione corporea e l’esposizione a contenuti disfunzionali. Nei percorsi clinici osserviamo spesso come alcuni contenuti online possano rinforzare rituali, rigidità o confronti tossici.” afferma la dottoressa Valeria Ventura. Dai dati Istat emerge che quasi l’85% dei ragazzi tra gli 11 e i 19 anni dispone di un profilo su un social network; percentuale che nella fascia 17-19 anni supera il 97%. “Adolescenti e giovani adulti sono particolarmente esposti, perché stanno costruendo identità e autostima, e i social costituiscono una parte centrale della loro vita sociale. Ma la vulnerabilità non dipende solo dall’età: anche adulti che attraversano momenti di transizione come gravidanza, post-parto, invecchiamento o cambiamenti corporei rilevanti possono essere più sensibili”. I rischi dietro trend all’apparenza innocui Al di là di contenuti con evidenti criticità come quelli che esaltano routine alimentari estreme, corpi eccessivamente muscolosi, sfide legate al peso e alle misure, anche post all’apparenza innocui possono diventare problematici quando diventano rigidi, prescrittivi o non supportati da competenze professionali. Trend come il “Cosa mangio in un giorno” o il “clean eating”, letteralmente “mangiare pulito”, possono innescare pensieri legati alla performance, al controllo e alla restrizione, alimentando comportamenti ossessivi nelle persone più vulnerabili. “Anche contenuti su ricette in versione ‘light’, ‘fit’, ‘zero calorie’ possono sembrare senza rischi, ma spesso veicolano giudizio e sensi di colpa, come se le ricette ‘normali’ fossero sbagliate” afferma Noemi Perosillo, dietista e membro dell’équipe di Comestai. “Non demonizziamo chi condivide ricette e lo fa con le migliori intenzioni. Il problema nasce quando i feed si riempiono solo di questi contenuti: alcune persone finiscono per collezionarli senza cucinarli, un comportamento che può segnalare forme di restrizione alimentare, anche solo mentale. In alcuni casi, qualcuno ha dovuto ‘ripulire’ i social per ritrovare un rapporto più sereno col cibo”. Lo stesso meccanismo colpisce l’attività fisica: narrata come un dovere, soprattutto prima delle feste, tra sfide detox o programmi per “arrivare pronti a Natale”. Questi messaggi possono riattivare insicurezze profonde e innescare comportamenti dannosi, accendendo pensieri già presenti su alimentazione e immagine corporea. Un caso limite è quello dei profili recovery: pagine social su cui i creator-pazienti condividono le tappe del percorso con un disturbo alimentare. Se da una parte normalizzano la richiesta di aiuto e mostrano la possibilità di guarigione; dall’altra, possono attivare confronti, innescare pensieri negativi in chi si trova in una fase acuta della malattia. “Delle volte si crea una specie di gara su quante volte una persona sia stata ricoverata, se ha avuto il sondino nasogastrico, se prende degli integratori: la malattia viene ostentata o addirittura romanticizzata” spiega Perosillo, sottolineando come i profili recovery possano diventare un rischio per i creator stessi, che potrebbero restare fermi sui sintomi e alimentare l’ossessione per il cibo. Come migliorare il modo in cui parliamo di corpi e di cibo “Se ben moderati, però, i social possono diventare spazi di informazione affidabile e di supporto” afferma la dottoressa Valeria Ventura. “È fondamentale evitare linguaggi giudicanti, numeri inutili , classificazioni rigide del cibo come “buono” o “cattivo” e commenti sull’aspetto fisico altrui. Ogni corpo ha una storia complessa e invisibile. È utile anche essere trasparenti sul proprio ruolo: distinguere esperienze personali da consigli professionali. Promuovere diversità, equilibrio, flessibilità e benessere piuttosto che controllo o perfezione è l’approccio più rispettoso e sicuro per tutti”. Parte della responsabilità è anche degli utenti. “L’accesso ai social non è filtrato, tutti si ritrovano a parlare di cibo e di corpo e quando postiamo non sappiamo mai bene a chi arriverà quel contenuto” ricorda Noemi Perosillo. “Postare una foto di una colazione, di un pranzo per immortalare il momento è okay, ma è importante anche ciò che accompagna quello scatto: se insieme alla foto scrivessi ‘Adesso mangiamo, poi dopo si va a smaltire”, diventerebbe problematico per chi scrive e per chi guarda: alla base starei mettendo un giudizio, facendo percepire il pasto come una colpa a cui rimediare. È importante essere consapevoli di quanto quello che postiamo possa influenzare chi ci guarda”.

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Federica De Lillis