Oltre ChatGPT: la corsa globale per un'IA "sovrana"

Ci sono termini che portano con sé tutto un carico di sottintesi, ambiguità, visioni del mondo. Nel campo della tecnologia uno di essi potrebbe essere quello della “Sovereign AI”, ovvero la “IA sovrana” di cui discettano, non sempre a proposito, ricercatori, politici, imprenditori. Visto come l’intelligenza artificiale sta rapidamente innestandosi su ogni settore produttivo e il suo impatto sulla società, non solo dal punto di vista commerciale ed istituzionale, ma anche da quello dei rapporti umani, non sorprende che gli Stati vorrebbero mantenere il controllo sul suo sviluppo. Ma è davvero possibile? Se si intende il termine nella sua accezione più larga, ossia il controllo da parte di un governo di tutti gli elementi della filiera che, dai chips e dai data center che servono a fornire potenza di calcolo, giunge fino alle applicazioni concrete della IA , parlare di “sovereign AI” per la maggior parte dei Paesi del mondo vuol dire cullarsi in una pia illusione. I veri sovrani Gli unici che potrebbero vantare il possesso di un’intelligenza artificiale davvero sovrana sono gli Stati Uniti: è da lì che provengono i chip progettati da NVIDIA , i fornitori di connettività e potenza di calcolo nel cloud come Amazon o Microsoft, alcuni dei più brillanti ricercatori al mondo, gli enormi capitali necessari a finanziare lo sviluppo di questa tecnologia e gli imprenditori che traducono le intuizioni in successi commerciali. Subito dietro si colloca la Cina, che è sullo stesso livello degli Usa in molti campi, ma dipende da questi per l’accesso ai chip più avanzati. Un vantaggio che gli americani non esitano a usare, applicando restrizioni all’esportazione per tenere indietro la concorrenza. Colmare questo gap è una delle priorità per le grandi aziende tecnologiche cinesi, così come per il governo stesso. Nel frattempo, come il caso DeepSeek ha dimostrato, gli sviluppatori locali riescono comunque a ottenere grandi prestazioni anche con materiali meno “pregiati”. Staccata c’è la Corea del Sud, che gode comunque delle infrastrutture e del know-how di colossi come Samsung, Hyunday o SK e ha appena lanciato un “Fondo nazionale per la crescita” di 102 miliardi di dollari, da investire in settori tecnologici strategici, intelligenza artificiale compresa. Anche gli Emirati Arabi stanno investendo moltissimo, pur non potendo beneficiare di un settore consolidato come quello coreano. Tutti gli altri sono lontani anni luce. I veri sovrani Gli unici che potrebbero vantare il possesso di un’intelligenza artificiale davvero sovrana sono gli Stati Uniti: è da lì che provengono i chip progettati da NVIDIA , i fornitori di connettività e potenza di calcolo nel cloud come Amazon o Microsoft, alcuni dei più brillanti ricercatori al mondo, gli enormi capitali necessari a finanziare lo sviluppo di questa tecnologia e gli imprenditori che traducono le intuizioni in successi commerciali. Subito dietro si colloca la Cina, che è sullo stesso livello degli Usa in molti campi, ma dipende da questi per l’accesso ai chip più avanzati. Un vantaggio che gli americani non esitano a usare, applicando restrizioni all’esportazione per tenere indietro la concorrenza. Colmare questo gap è una delle priorità per le grandi aziende tecnologiche cinesi, così come per il governo stesso. Nel frattempo, come il caso DeepSeek ha dimostrato, gli sviluppatori locali riescono comunque a ottenere grandi prestazioni anche con materiali meno “pregiati”. Staccata c’è la Corea del Sud, che gode comunque delle infrastrutture e del know-how di colossi come Samsung, Hyunday o SK e ha appena lanciato un “Fondo nazionale per la crescita” di 102 miliardi di dollari, da investire in settori tecnologici strategici, intelligenza artificiale compresa. Anche gli Emirati Arabi stanno investendo moltissimo, pur non potendo beneficiare di un settore consolidato come quello coreano. Tutti gli altri sono lontani anni luce. Sovranità limitata Se si àncora invece il concetto di “IA sovrana” a specifiche applicazioni dell’intelligenza artificiale, come i grandi modelli di linguaggio che alimentano i chatbot come ChatGPT, Gemini o Claude, il discorso cambia e il panorama si fa molto più competitivo. Diversi Stati, tramite i loro enti di ricerca o le loro principali aziende, stanno lanciando prodotti tarati per promuovere specificamente gli interessi e la cultura nazionale. Per esempio, il supercomputer danese Gefion viene impiegato dal gigante farmaceutico locale Novo Nordisk, in partnership con NVIDIA, per accelerare la scoperta di nuovi farmaci. Il governo francese, quello tedesco e SAP hanno annunciato una partnership con la startup francese Mistral, una delle poche aziende del Vecchio Continente in grado di rivaleggiare, dal punto di vista tecnico, con i leader americani come OpenAi o Anthropic, per sviluppare un'intelligenza artificiale sovrana per la pubblica amministrazione europea. L'obiettivo è quello creare soluzioni di IA sicure e basate su dati e infrastrutture locali. Sempre la Germania sta lavorando ai propri “Sovereign Open Source Foundational Models for European Intelligence” dei modelli IA open source da mettere a disposizione di aziende e ricercatori per l’utilizzo in settori avanzati come la robotica industriale. In altri casi il lancio di nuovi modelli ha lo scopo di mettere l’accento sulle specificità culturali e linguistiche di un popolo. Così i polacchi si dilettano col loro PLLuM che, promettono, saprà mantenere e trasmettere tutte le nuance della lingua della poetessa Wisława Szymborska, mentre gli svizzeri hanno reso pubblico da poco Apertus, un modello capace di dialogare in millecinquecento lingue, molte delle quali non rappresentate o sotto-rappresentate nei grandi chatbot proprietari. Mantenere e promuovere la diversità è lo scopo dei modelli come Apertus, che infatti, per il 40% viene addestrato su testi non anglofoni. O di Alia, un set di risorse pubbliche per lo sviluppo dell’IA lanciato dal governo di Madrid che, oltre a essere progettate per la lingua ufficiale, il castigliano, “parlano” in catalano, basco, valenziano e galiziano. In Italia, Fastweb ha lanciato l’anno scorso il MIIA , un modello addestrato su un dataset equivalente a 11 milioni di libri in italiano, da mettere a disposizione di aziende, pubblica amministrazione e startup. Va sottolineato che l’intenzione, in questi come in altri casi, va ben oltre la mera preservazione del linguaggio. Se un modello viene addestrato su testi scritti principalmente in un certa lingua, finirà per riflettere i valori e la cultura dei Paesi in cui tale idioma viene adoperato. Valori che non sempre sono condivisi da altri. È noto il caso dei chabot cinesi, che evitano domande scomode o politicamente scorrette, in base ai dettami del partito dominante. Ma che dire degli Emirati Arabi, un’area che, grazie ad accordi con l’amministrazione Usa, sta diventando una delle punte di diamante dell’evoluzione tecnologica legata all’IA e al contempo, fra i territori in cui la censura ai contenuti Internet è più forte? Tutti i cittadini, grazie al governo locale, dovrebbero poter accesso gratuito a ChatGPT Plus; non è chiaro però come questo potrebbe conciliarsi con il rispetto dell’ortodossia dominante. Un modello in arabo lanciato in precedenza, Jais, era stato accuratamente ripulito da materiali considerati inappropriati o offensivi per la sensibilità religiosa e culturale locale. In sintesi, lungi dall’essere un concetto puramente tecnologico, la ricerca dell’”IA sovrana” ha a che fare con il potere, con l’identità, la censura e il controllo. In un mondo sempre più frammentato, qualcosa che fa gola a molti.

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Federico Guerrini