Hiv, diagnosi in rialzo in Italia e oltre la metà sono in ritardo

Meno diagnosi di HIV rispetto alla media europea, ma infezioni in aumento rispetto al passato e casi più gravi: questo è il quadro che emerge dagli ultimi dati diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità rispetto alle diagnosi di HIV e i casi di AIDS in Italia nel 2023. Un aumento che, secondo Giusi Giupponi, presidente nazionale della Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS , si deve in gran parte alla grave mancanza di programmi di prevenzione nazionali, che a sua volta contribuisce ad alimentare stigma e discriminazioni delle persone sieropositive. Ecco i dati. Sopra la media europea Nel 2023, l’Italia ha registrato un'incidenza di nuove diagnosi di HIV inferiore alla media europea, che si attesta a 13,6 casi ogni 100mila residenti. Le regioni dove sono state registrate più diagnosi sono Lazio, Emilia-Romagna e Umbria. Nel 76% dei casi, le persone che hanno scoperto di essere sieropositive nel 2023 sono maschi. L’incidenza più alta è stata osservata nelle persone tra i 30 e i 39 anni : in questa fascia di età l’incidenza nei maschi è 3 volte superiore a quelle delle femmine. Diagnosi in aumento Nel 2023, le nuove diagnosi di HIV sono state 2.349 : un aumento del 24% rispetto al 2022. La maggior parte delle nuove infezioni è attribuibile a rapporti sessuali non protetti: il 47,7% tra persone eterosessuali, il 38,6% tra uomini. Le persone che consumano droghe per via iniettiva invece costituiscono il 3,4% del totale. “La causa di questo aumento è un problema enorme di prevenzione e informazione. Il punto è che le persone, soprattutto quelle eterosessuali e adulte, continuano a pensare che l’HIV riguardi solo inesistenti categorie a rischio. Invece, il rischio riguarda chiunque abbia rapporti sessuali non protetti dal profilattico o dalla PrEP, la profilassi Pre-Esposizione”, commenta Giupponi, sottolineando che le nuove diagnosi sono in rialzo per il terzo anno consecutivo. “Se per il 2021 e 2022 avevamo pensato che l’aumento fosse dovuto a un recupero dei test non fatti negli anni del COVID ora, invece, dobbiamo prendere atto che la discesa delle infezioni in corso dal 2012 si è interrotta”, aggiunge, ricordando che la “diagnosi da HIV non è più una sentenza di morte”. Oggi infatti le terapie antiretrovirali consentono una vita lunga e in buona salute: nella quasi totalità dei casi, inoltre, le persone in terapia non trasmettono il virus per via sessuale. “Però è importante scoprire prima possibile se si è contratto l’HIV anche per evitare di trasmettere, inconsapevolmente, il virus ad altre persone”, precisa. L'impatto delle diagnosi tardive La mancanza di prevenzione segnalata da Giupponi ha conseguenze anche sulla gravità dell’infezione da HIV. In Italia, l’anno scorso, il 60,0% delle persone con una nuova diagnosi è stato diagnosticato con un numero di linfociti inferiore a 350 cell/μL “e, dunque, era già in AIDS o alle soglie di questa grave condizione patologica”, come segnala LILA nel suo comunicato. In questo caso l’Italia fa molto peggio della media degli altri Paesi europei occidentali che, nel 2023, hanno registrato un 46% circa di diagnosi tardive. Nello specifico, il 75% delle diagnosi tardive riguarda persone eterosessuali over 60. Per questo, “servono più risorse per fare prevenzione e per diffondere informazioni scientificamente corrette e mirate verso tutti i target, anche verso anziani e adulti che sono più disinformati dei ragazzi; occorre incentivare l’accesso alla PrEP che sfiora un’efficacia del 100% nel prevenire l’HIV ed è gratuita anche in Italia da un anno e mezzo”, sottolinea la presidente della LILA. Non solo: “Occorrono campagne contro lo stigma e i pregiudizi: un dramma per le persone con l’HIV e un ostacolo per la prevenzione perché tante persone hanno paura di andare a fare il test. Il test va invece incentivato in tutte le modalità abbattendo ogni tipo di barriera: età, richieste di documenti, orari scomodi, paura dello stigma o atteggiamenti stigmatizzanti da parte dei sanitari, mancato rispetto della privacy e dell’anonimato”, aggiunge. L’associazione segnala infatti che negli ultimi quattro anni più di una persona con HIV su tre ha richiesto informazioni o supporto in materia di diritti e di rispetto della privacy. Le violazioni più frequenti riguardano l’ambito lavorativo con la richiesta di test per l’HIV sia in fase di assunzione che durante il rapporto di lavoro. L’altro ambito in cui si verificano più di frequente discriminazioni è quello sanitario: le più comuni riguardano la divulgazione immotivata dello stato di positività di un paziente, il rifiuto di prestare cure a persone con HIV o la pratica di spostare le persone con HIV agli ultimi posti delle liste per interventi chirurgici così da evitare di “contaminare” le sale operatorie. Le discriminazioni di tipo burocratico-amministrativo riguardano principalmente il rifiuto di concedere mutui, aprire polizze assicurative o i problemi con il rilascio o rinnovo della patente, visto l’obbligo di dichiarare quali farmaci si assumono. “Infine, occorre mettere in atto quello che UNAIDS prescrive, ovvero che almeno il 30% dei servizi di testing siano affidati a associazioni e communities, perché sono le realtà più in grado di raggiungere i target meno propensi a rivolgersi ai servizi istituzionali”, aggiunge Giupponi. Aumentano di conseguenza i casi di Aids Dal 1982 a oggi, in Italia sono state segnalate 73.150 nuove diagnosi di AIDS, di cui 532 nel 2023: un aumento del 20% rispetto all’anno precedente. La proporzione di persone che ha scoperto di essere sieropositiva nel semestre precedente la diagnosi di AIDS è aumentata nel tempo e si è stabilizzata intorno all’84% nell’ultimo triennio, nel 2023 questa proporzione è pari all'84,1%. In particolare, come segnala LILA nella sua analisi, “la quota di casi di AIDS per fasce d’età rivela un forte aumento tra le persone dai 50 anni in su che passano dal 16,5% nel 2003 al 40% del 2023. Questo fenomeno è particolarmente accentuato tra le donne; se nel 2003 le over 50% rappresentavano il 9,6% delle nuove diagnosi di AIDS, nel 2023 sfiorano ben il 36%”. Le persone in Italia che vivono con AIDS, secondo gli ultimi dati disponibili, sono circa 25mila. Dati migliori per decisioni migliori Da anni, il sistema di rilevazione dell’Istituto Superiore di Sanità presenta alcune criticità, tra cui l’assenza di dati sul numero complessivo di test eseguiti, la mancanza di comunicazione tra i registri dei casi di HIV e di AIDS e i ritardi di notifica delle segnalazioni. Anche quest’anno, la situazione è rimasta invariata. “Eppure una raccolta dei dati qualitativamente superiore permetterebbe di indirizzare al meglio le politiche socio-sanitarie relative all’HIV. Un modello innovativo di raccolta dati è contenuto in una proposta di legge presentata alla Camera dei Deputati durante la scorsa legislatura il cui obiettivo è aggiornare l'attuale legge 135 del 1990”, segnala Giupponi. Approvato da quasi tutte le forze politiche, il testo è stato presentato di nuovo in Commissione Affari Sociali della Camera. L’iter parlamentare si prevede, però, ancora lungo e complesso. Nel corso del 2023 si sono svolte quattro sedute di discussione, nelle quali la proposta è stata adottata come testo base. Al momento è in corso una valutazione sulle risorse economiche necessarie, anche da parte del Ministero della Salute.

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