Parlare di salute mentale sui social è sempre un bene? I rischi del therapy-speak

Salute e Benessere
Federica De Lillis

Federica De Lillis

Nel 2023 lo stigma intorno al benessere psicologico in Italia è diminuito. Sui nostri feed social sono sempre di più i contenuti che informano sul tema ma questo sta anche influenzando il linguaggio e il rapporto che abbiamo con noi stessi 

 

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‘Come far soffrire un narcisista’, ‘5 segni che hai l’ADHD’, ‘Cosa significa avere il bipolarismo’. Sono i titoli di alcuni dei video virali a tema #salutementale su TikTok. Di benessere psicologico si parla spesso, soprattutto tra Millennials e Generazione Z. Uno degli spazi privilegiati per questo dibattito sono i social.

A dimostrazione della capacità delle piattaforme di intercettare e incanalare i temi di maggiore interesse per gli utenti, nel 2022 TikTok ha dedicato tutto il mese di ottobre al benessere mentale, invitando gli utenti a produrre sempre più contenuti al riguardo. 

Cos'è il therapy-speak

Secondo l’edizione 2023 del “Mind Health Report” prodotto da AXA, sempre più persone abbandonano lo stigma sull’argomento, con oltre il 60% degli intervistati che si dice risposto a rivolgersi a medici e specialisti per avere una diagnosi davanti a disagi psicologici. Per la psicanalista Martina Ferrari, conosciuta sui social come ‘instasogno’, “Con l’avvento della pandemia alcuni profili social di psicologi sono proliferati." Un fatto in sé positivo secondo l’esperta, “ hanno aiutato le persone a riconoscersi in alcune dinamiche, relazionali, sintomatologiche, emotive, affettive.” Da qualche tempo Ferrari ha iniziato a seguire la dinamica del therapy-speak, che si lega proprio a questo tipo di contenuti. “È un modo di parlare che si è diffuso ampiamente anche grazie all’avvento dei social. È un insieme di vocaboli che fanno riferimento a tutta la sfera psicologica e delle dinamiche relazionali, nonché ai vari disturbi di personalità e alle varie dinamiche che possono intercorrere tra gli esseri umani, con un linguaggio prettamente psicologico.”

Le origini del therapy-speak

In realtà, il therapy-speak è sempre esistito. “Basti pensare a quando usavamo ‘isteria’ o ‘esaurimento nervoso’, soltanto che lo vedevano o lo leggevamo dai libri, adesso invece il nostro canale principale di informazione sono i social. Di conseguenza le persone si scambiano sempre più [di] frequente informazioni rilevanti per quel tema, il tema delle dinamiche psicologiche.”

I social hanno permesso di creare maggiore consapevolezza, hanno portato nella vita reale un acceso dibattito sul diritto al benessere mentale. In questo modo lo stigma intorno alla salute mentale è diminuito. Dall’altra parte, il linguaggio quotidiano è stato influenzato dalle dinamiche social portando alla “saturazione” di alcune questioni. 

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Il rischio di riassumere un’esperienza emotiva in una sola parola 

Con il termine “saturare", Ferrari fa riferimento al processo che avviene quando qualcuno sperimenta un’emozione troppo forte da descrivere e quindi fa ricorso a un unico termine che sembra in grado di riassumerla. 

“Dire ‘sono stato triggerato’, (da ‘trigger’, letteralmente ‘scatenare qualcosa’ ndr.) può sembrare più facile di dire ‘sono arrabbiato perché mi hai deluso’, che è il reale therapy-speak, cioè la lingua che si parla all’interno della stanza di psicoterapia dove il significato è prezioso perché è soggettivo e non è racchiuso in una sola parola che tra l’altro può significare per me qualcosa e per te qualcosa di diverso.”

‘Gaslighting’ dal cinema ai social, fino ai banchi di scuola 

Tra le parole più usate c’è ‘gaslighting’, il cui hashtag ha raggiunto ben 3,3 miliardi di visualizzazioni su TikTok. Spesso però non ne conosciamo il reale significato. 

“Fa riferimento a un’opera teatrale del 1938, da cui poi è stato tratto un film nel 1944, dove c’era questo marito che cercava di sottrarre dei gioielli alla moglie a sua insaputa, quindi ingannandola.” Il significato letterale di gaslighting è ‘fare luce con il gas’ e, come dinamica psicologica, indica l’atto di appannare la visione di qualcuno rispetto a qualcosa che si sta facendo, quindi confondere le persone sulle proprie reali intenzioni, cercando anche di porre l’altro in una dinamica asimmetrica. "È un termine che viene usato anche a scuola. Per esempio, ‘La professoressa mi ha gaslightato perché mi aveva detto che non mi avrebbe interrogato, non mi avrebbe fatto quella domanda e invece mi ha fatto quella domanda e quindi oggi sono stato gaslightato’.” In realtà, fa notare la psicologa, fare domande inaspettate agli studenti “Fa parte in realtà della realtà della scuola. Non sempre i professori possono rivelarci le domande che ci verranno poste perché altrimenti il senso poi dell’interrogazione, anche quello formativo, esperienziale, affettivo, di crescita e di evoluzione viene meno, non è che i professiori gaslightino.”

 

Locandina originale film Gaslight, 1944

I due disturbi in trend sui social

 

Al centro dei video che circolano di più sui social ci sono due disturbi della personalità. Il primo è il disturbo narcisistico. I contenuti contribuiscono a fornire un’immagine stereotipata dei/delle narcisisti/e presentati/e come persone crudeli da cui è meglio allontanarsi o, addirittura, da fare soffrire. 

“Si parla spesso di ‘abuso narcisistico’ - riporta Ferrari -. Si leggono sui forum oppure sotto i post domande fatte a terapeuti ‘come posso far soffrire un narcisista?’. Io questo lo trovo estremamente grave.

Ogni divulgatore ha una responsabilità, non possiamo dire in tre parole come capire se una persona è narcisista. Non si può fare la diagnosi con un reel di trenta secondi oppure con delle slide, è necessario avvalersi dell’aiuto e del supporto di un professionista.”

Un trend come quello che circonda il disturbo narcisistico della personalità è dannoso per chi davvero ne è affetto. 

“Foraggiamo lo stigma invece di combattere in difesa di queste persone a causa di una narrazione che è in tutti i sensi difensiva, cioè ‘io mi devo difendere dal narcisista o dalla narcisista perché sono persone pericolose’. Non è così.” 

Il disturbo borderline della personalità è un’altra condizione spesso presa di mira sui social. Nella propria esperienza di psicanalista, Ferrari parla anche di persone affette dal disturbo che sono arrivate a tatuare la parola “borderline” sulla pelle. 

“Il rischio è una sovraidentificaizone con i criteri diagnostici che vengono magari diffusi nei contenuti social. Può fare molto molto male a una persona che già sta soffrendo per quanto concerne il senso e il significato del suo essere nel mondo e della sua identità. Soprattutto se si ha  qualche tratto e non il disturbo, può accadere di rendere adesiva la propria rappresentazione e quella che viene proposta dai social network. Questo senza andare a esplorare come ci sentiamo veramente noi nel nostro mondo affettivo.” 

 

Chiedere “Come ti senti davvero?” è la cosa migliore da fare

 

Parlare di benessere mentale, fornire brevi definizioni dei più comuni disturbi può aiutare a dare un nome al proprio dolore.

Il therapy speak non è da demonizzare ma è bene tenere presente qualche accortezza. Quando qualcuno ci parla di sé utilizzando termini che arrivano dal mondo dei social è importante cercare di approfondire, chiedere il significato del termine che ha utilizzato, fare domande come ‘cosa hai provato in quel momento?’, ‘che tipo di esperienza hai fatto?’. “Ognuno di noi tende a dare un significato proprio a un certo termine - conclude la dottoressa Ferrari -.  Questo è anche bello perché ci permette di porci in reciprocità con l’altro e di scambiare con l’altro i significati che noi diamo a una determinata parola.” 

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