Bambini, 300 foto online ogni anno. I consigli dei pediatri sullo sharenting

Salute e Benessere

Tra i rischi legati alla condivisioni di immagini di minori sui social c'è anche quello che i contenuti finiscano su siti pedopornografici. "E' importante supportare le mamme e i papà, bilanciando la naturale inclinazione a condividere con orgoglio i progressi dei figli con l'informazione sui rischi connessi alla pratica dello sharenting", afferma la Presidente della Società Italiana di Pediatria Annamaria Staiano

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Per tanti genitori pubblicare sui social le immagini dei figli è un'abitudine consolidata: vengono condivise le foto del primo giorno di scuola, del bimbo che gioca in casa, delle feste di compleanno. A volte corredate da dettagli quali il nome del piccolo, la sua età e dove vive. Secondo uno studio europeo, ogni anno i genitori condividono online una media di 300 foto riguardanti i propri figli e prima dei 5 anni del bambino ne hanno già condivise quasi mille. I social network preferiti sono Facebook (54%), Instagram (16%) e Twitter (12%).

Lo studio

I genitori però sono spesso inconsapevoli dei rischi connessi allo "sharenting", ossia l'abitudine a divulgare online contenuti, come foto, video o altre informazioni, che riguardano i propri bambini. A fare il punto è uno studio in via di pubblicazione sulla

rivista Journal of Pediatrics, dell'European Pediatrics Association, di cui è primo autore il Prof. Pietro Ferrara, responsabile del Gruppo di Studio per i diritti del bambino della Società Italiana di Pediatria (SIP). Nella maggior parte dei casi i genitori, spiegano i pediatri, intendono documentare la crescita dei piccoli, condividere ansie e preoccupazioni in cerca di un supporto emotivo, ricercare informazioni in ambito educativo, pediatrico, scolastico. Le tre tipologie di foto che

vengono maggiormente pubblicate sono di vita quotidiana (mentre il bimbo dorme, gioca, mangia), di viaggi e di momenti speciali (Natale, battesimo, primo giorno di scuola, compleanni).

I rischi

"Non va sottovalutato però che questa pratica può associarsi ad una serie di problematiche che principalmente ricadono sui bambini", spiega Pietro Ferrara. "Spesso, infatti, i genitori non pensano che quanto condiviso sui social media, a

volte anche molto personale e dettagliato, esponga pericolosamente i bimbi ad una serie di rischi, primo fra tutti il furto di identità. Senza contare che informazioni intime e personali, che dovrebbero rimanere private, oltre al rischio di venire impropriamente utilizzate da altri, possono essere causa di imbarazzo per il bambino una volta divenuto adulto (ad esempio in colloqui di lavoro, test di ammissione

all'università). Infine, questo tipo di condivisione da parte dei genitori può inavvertitamente togliere ai bambini il loro diritto a determinare la propria identità". In un'indagine su alcuni bimbi svedesi pubblicata nel 2020 emergeva che,

praticamente all'unanimità, i bambini volevano che venisse chiesto loro il permesso prima di scattare o condividere foto che li ritraevano.

Tra i rischi c'è anche quello che i contenuti finiscano su siti pedopornografici: un'indagine condotta dall'eSafety Commission australiana ha evidenziato come circa il 50% del materiale presente su questi siti provenga dai social media dove era stato precedentemente condiviso da utenti per lo più inconsapevoli di quanto facilmente potesse essere scaricato, non solo da amici, ma anche da estranei.

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La normativa

"Nel nostro ordinamento - rileva ancora Pietro Ferrara - l'immagine della persona è tutelata da diverse norme: la legge sul diritto d'autore che prevede che nessun

ritratto di una persona possa essere esposto senza il consenso di quest'ultima; l'articolo 10 del codice civile, che consente la richiesta di rimozione di un'immagine che leda la dignità di un soggetto con conseguente possibilità di risarcimento danni.

Va, però, anche evidenziata un'ambiguità delle normative che proteggono l'immagine in quanto si parla di 'consenso dell'interessato' che, nel caso di minore, deve essere offerto dal suo rappresentante legale (articolo 316 del Codice Civile), cioè proprio il genitore". 

I consigli dei pediatri

"E' importante supportare le mamme e i papà, bilanciando la naturale inclinazione a condividere con orgoglio i progressi dei figli con l'informazione sui rischi connessi alla pratica dello sharenting", afferma la Presidente SIP Annamaria Staiano. Ecco allora i suggerimenti della Società Italiana di Pediatria:

1. Essere consapevoli che lo sharenting è una pratica sempre più diffusa, ma non per questo bisogna sottovalutarne i potenziali pericoli. Condividere immagini, video e qualsiasi tipo di contenuto che abbia come protagonisti i bambini significa, infatti, costruire il "dossier digitale" di un bambino senza il suo consenso e senza che lui ne sia a conoscenza.

2. La condivisione sui social media di materiali e informazioni riguardanti i propri figli deve prevedere una certa cautela e, in molte occasioni, l'anonimato, perché quanto

condiviso in maniera dettagliata e personale, come la localizzazione o il nome completo, potrebbe esporre pericolosamente i bambini ad una serie di rischi, primo fra tutti il furto di identità.

3. Non condividere immagini dei propri figli in qualsiasi stato di nudità. Queste immagini dovrebbero rimanere sempre private per il rischio potenziale che

possano essere impropriamente utilizzate da altri.

4. Attivare notifiche che avvisino i genitori quando il nome dei loro figli appare nei motori di ricerca.

5. Rispettare il consenso e il diritto alla privacy dei minorenni, quindi familiarizzare con la policy relativa alla privacy dei siti sui quali si condividono

contenuti. L'articolo 31 della Costituzione "protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo" e la Convenzione Internazionale su diritti dell'infanzia e dell'adolescenza sottolinea come debba

necessariamente essere data preminenza agli interessi e alla dignità del minorenne.

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