In cellule del cuore scoperta proteina che aumenterebbe il rischio di scompenso cardiaco

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A indicarlo uno studio condotto da Raffaele Marfella dell'Università Vanvitelli e da Ciro Maiello dell'Azienda Ospedaliera Monaldi

 

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Scoperta nelle cellule del cuore una proteina che faciliterebbe lo sviluppo dello scompenso cardiaco. Si tratta della proteina SGLT2, che aumenta nei pazienti con diabete. La scoperta è frutto di uno studio congiunto condotto da Raffaele Marfella dell'Università Vanvitelli e da Ciro Maiello dell'Azienda Ospedaliera Monaldi. I risultati della ricerca, pubblicati sulle pagine della rivista specializza Pharmacological Research, potrebbero aprire la strada allo sviluppo di nuove terapie contro lo scompenso cardiaco.

Lo studio nel dettaglio

Per compiere lo studio, il team di ricerca ha analizzato le biopsie cardiache condotte su 67 pazienti sottoposti a trapianto di cuore e ha studiato colture cellulari di cardiomiociti umanizzati. "Recentemente numerosi trials farmacologici avevano dimostrato che gli inibitori di questa proteina (glifozine), oltre a migliorare il compenso metabolico nei diabetici, erano in grado di migliorare le performance cardiache riducendo il rischio di scompenso cardiaco nei pazienti con e senza diabete, ma non era chiaro come questi farmaci agissero a livello cardiaco. Oggi invece abbiamo un quadro più chiaro", ha riferito Raffaele Marfella docente dell'Ateneo Vanvitelli.

I risultati

Oltre a dimostrare la presenza di SGLT2 nelle cellule del cuore, il team di ricerca ha rilevato che la capacità di aumentare l'utilizzo del glucosio, ma non quello dei lipidi, nelle cellule cardiache sembra ridurre l'efficienza energetica e conseguentemente la capacità di contrazione di tali cellule. "L'importanza di questa ricerca permette di capire come le glifozine siano efficaci nella terapia dello scompenso cardiaco nei pazienti non diabetici e diabetici, ma soprattutto di individuare per la prima volta nell'uomo un meccanismo farmacologico specifico cardiaco oltre a quelli extra-cardiaci fino ad ora conosciuti", ha concluso Giuseppe Paolisso, docente della Vanvitelli e coordinatore dello studio.

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