Il rischio di emicrania aumenta per chi ha problemi di peso

Salute e Benessere

Lo indica un’indagine condotta dai ricercatori della Tehran University of Medical Sciences, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Headache: The Journal of Head and Face Pain

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Essere obesi o sottopeso incrementa il rischio di soffrire di emicrania: lo indica un’indagine condotta dai ricercatori della Tehran University of Medical Sciences, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Headache: The Journal of Head and Face Pain.

I rischi associati a un bmi troppo basso o alto

Gli esperti hanno portato avanti una revisione di 41 studi osservazionali, ai quali hanno preso parte, nel complesso, 792.500. È emerso che, rispetto alle persone che avevano un indice di massa corporea (Bmi) normale, quelle che erano sottopeso oppure obese correvano un rischio maggiore di emicrania. Non sono emerse prove rilevanti, invece, per quanto riguarda l’associazione tra Bmi e rischio relativo ad altri sottotipi di disturbi che fanno capo alla cefalea primaria.

 

“I risultati supportano la raccomandazione secondo la quale un indice di massa corporea normale è associato a un minor rischio di emicrania e che la prevenzione di questo disturbo può trarre vantaggio dal controllo del peso”, spiegano gli autori dello studio.

 

Emicrania, risultati incoraggianti dal farmaco fremanezumab

Da un altro studio, chiamato “Pan-European Real World” (Pearl), è emerso che, in un caso su due, l’utilizzo dell’anticorpo monoclonale “fremanezumab”, sviluppato da Teva Pharmaceutical, si è rivelato in grado di indurre una riduzione significativa del numero di giorni mensili con emicrania nell’arco di sei mesi dalla prima somministrazione. 

 

La ricerca, inoltre, ha fatto luce sui dati relativi a un’analisi ad interim, che ha coinvolto 389 pazienti su un totale di 1110 partecipanti alla ricerca (provenienti da 11 Paesi differenti e da circa 100 centri), da cui è stato possibile comprendere come il 54,7% di questi abbia segnalato una riduzione pari o superiore al 50% del numero dei giorni al mese passati con l’emicrania, entro i primi sei mesi dall’inizio del trattamento con “fremanezumab”. Durante lo stesso periodo sono anche stati rilevati dei decisi miglioramenti sul piano della disabilità correlata alla patologia.

 

Per il professor Messoud Ashina, il coordinatore dello studio Pearl, i dati raccolti “forniscono evidenze di come l’impatto dell’emicrania possa essere ridotto dando al paziente la possibilità di accedere al trattamento con anticorpi monoclonali, come il fremanezumab. I neurologi in tutto il mondo stanno già riscontrando questo aspetto nei pazienti che non hanno risposto positivamente a precedenti trattamenti preventivi”.

Bilancia-pixabay

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