Tumori colon-retto: nuovo studio potrebbe ampliare uso immunoterapia

Salute e Benessere
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Un team di ricercatori italiani è riuscito a individuare una strategia terapeutica che consentirebbe di trattare con l’immunoterapia i tumori metastatici, con la prospettiva di riuscire a estendere le aspettative di vita dei pazienti e bloccare la progressione tumorale

 

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Una nuova ricerca italiana potrebbe ampliare l'utilizzo dell'immunoterapia contro i tumori metastatici del colon-retto. È il risultato ottenuto dallo studio clinico di fase 2 Arethusa, condotto con un approccio diagnostico-terapeutico inedito da Università degli Studi di Torino, Ifom, Ospedale Niguarda e Università degli Studi di Milano e sostenuto da Fondazione Airc, con il programma speciale "5 per 1000" coordinato da Alberto Bardelli. 

Studio su 47 pazienti

Come descritto sulle pagine della rivista specializzata Cancer Discovery, il team di ricerca, coordinato dal Professor Alberto Bardelli di Ifom e dell'Università degli Studi di Torino, è riuscito a individuare una strategia terapeutica che consentirebbe di trattare con l’immunoterapia i tumori metastatici, con la prospettiva di riuscire a estendere le aspettative di vita dei pazienti e bloccare la progressione tumorale.
Per molti pazienti con diagnosi di tumore con metastasi, l’immunoterapia rappresenta la strategia terapeutica più efficace per prolungare le aspettative di vita. Tuttavia, oltre il 90% dei tumori metastatici del colon-retto sono resistenti all’immunoterapia.
Grazie a un metodo che ha combinato biopsia liquida e biopsia tissutale, per la ricerca sono stati selezionati 80 pazienti che soddisfacevano i requisiti di uno screening molecolare effettuato su 500 tumori. Quindi è stata avviata  una prima sperimentazione terapeutica che ha coinvolto 47 pazienti "affetti da tumore al colon-retto metastatico in cui le normali terapie antitumorali hanno già fallito e per i quali non vi sono altre opzioni terapeutiche", ha spiegato Salvatore Siena, il responsabile clinico del progetto.

La ricerca nel dettaglio

In particolare, lo studio si è concentrato sull'effetto del temozolomide, un farmaco già in uso clinico per la cura di tumori cerebrali molto aggressivi come i glioblastomi, come via terapeutica per incrementare il numero di mutazioni nei tumori al colon-retto, in modo da renderli potenzialmente sensibili a terapie immunologiche che stimolano la risposta immunitaria. “Grazie ai risultati preliminari di laboratorio sui primi 21 pazienti arruolati abbiamo scoperto che esistono geni che, se inattivati possono, più di altri, guidare l’accumulo di mutazioni. Abbiamo anche osservato che tale accumulo di mutazioni non avviene in maniera casuale nel genoma, ma segue delle regole ben precise, riscontrabili nelle cosiddette firme genetiche”, ha spiegato il primo autore dello studio, dottor Giovanni Crisafulli. Ora sarà avviata una seconda fase di test in cui i ricercatori si concentreranno sullo  "studio dell’interazione tra sistema immunitario e tumore e su come e perché il nostro corpo riesca a rispondere selettivamente soltanto contro determinati tipi di tumori e non altri", ha anticipato il team di ricerca.

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