Consente ai pazienti di riprendersi più rapidamente e di ridurre i giorni di ricovero ospedaliero e il rischio di riammissione ospedaliera. A indicarlo una ricerca inglese coordinata dall'University College
La chirurgia robotica rappresenta ormai una realtà diffusa ed affermata nel campo della chirurgia urologica. Un nuovo studio inglese coordinato dall'University College London ha dimostrato che quando applicata per la rimozione e la ricostruzione del cancro alla vescica è correlata a diversi vantaggi clinici rispetto alle tecniche di intervento tradizionali: consente ai pazienti di riprendersi più rapidamente e di ridurre i giorni di ricovero ospedaliero e il rischio di riammissione ospedaliera.
Lo studio nel dettaglio
Per compiere lo studio, pubblicato sulle pagine della rivista Jama,
gli studiosi hanno analizzato le cartelle cliniche di 338 pazienti con
cancro della vescica non metastatico. Nello specifico, la metà dei
partecipanti è stata sottoposta a cistectomia radicale (rimozione della
vescica) assistita da robot con ricostruzione intracorporea, che
consiste nel prelievo di una sezione dell'intestino per creare nuova
vescica; mentre la restante parte ha subito una cistectomia radicale a
cielo aperta. Confrontando il decorso post-operatorio dei pazienti
sono emersi benefici della chirurgia robotica sotto molteplici punti di
vista. L'utilizzo di robot ha infatti ridotto del 20% i giorni di
degenza rispetto alla chirurgia a cielo aperto, e la riammissione in
ospedale entro 90 giorni dall'intervento è risultata più bassa (21%) tra
i pazienti sottoposti a chirurgia robotica rispetto agli altri (32%).
Altri risultati
Confrontando altri 20 esiti secondari valutati a 90 giorni, 6 mesi e 12 mesi dopo l'intervento, tra cui la prevalenza di coaguli di sangue, le complicanze della ferita, la qualità della vita, la disabilità, la resistenza, i livelli di attività e morbilità, sono inoltre emersi risultati migliori nel caso di chirurgia robotica. Per esempio, tra i pazienti trattati con chirurgia robotica la prevalenza di coaguli di sangue (trombi venosi profondi ed emboli polmonari) era del 77% inferiore rispetto al resto del campione.