Epidemia aviaria in Italia: cosa succede e quali sono i rischi per l’uomo

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Nel nostro Paese, dallo scorso ottobre, sono stati segnalati oltre 300 focolai, specie tra Veneto e Lombardia. “Il rischio di trasmissione del virus aviario all’uomo è considerato basso ma in considerazione del potenziale evolutivo del virus, si ritiene necessario monitorare la situazione al fine di identificare eventuali cambiamenti”: questo l’appello lanciato a dicembre dal ministero della Salute. Ecco, come riportato dal “Corriere della Sera”, a che punto è la situazione in Italia

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Dallo scorso ottobre, nel nostro Paese, si sta verificando una vera e propria epidemia di influenza aviaria, soprattutto negli allevamenti avicoli del Veneto (quasi 250 focolai) e della Lombardia (circa 60 focolai). Sono stati segnalati in tutto 308 focolai in altrettanti allevamenti di tacchini, polli e galline ovaiole, con 15 milioni di capi abbattuti, 1800 aziende coinvolte e 500 milioni di euro di risarcimento richiesti dall’industria di settore. Sono questi i numeri raccolti dal “Corriere della Sera”, in un articolo che ha fatto il punto della situazione sulla questione.

Cos’è l’influenza aviaria

L’influenza aviaria, come spiega il Ministero della Salute, è una “malattia virale che colpisce per lo più gli uccelli selvatici”. Gli stessi “fungono da serbatoio e possono eliminare il virus attraverso le feci”. Di solito, questi uccelli “non si ammalano, ma possono essere molto contagiosi per gli uccelli domestici quali polli, anatre, tacchini e altri animali da cortile”, spiegano gli esperti. E, nel pollame, l’influenza “si può presentare nella forma causata da ceppi a bassa patogenicità (LPAI) e da ceppi ad alta patogenicità (HPAI)”. Il rischio, per l’uomo, è considerato basso ma in considerazione “del potenziale evolutivo del virus”, occorre “attenzione e monitoraggio della situazione al fine di identificare eventuali cambiamenti”, ha sottolineato l’articolo.

La recente epidemia in Italia e l’attività di contrasto

Ma da dove è partita questa epidemia? “Tutto è iniziato il 19 ottobre e purtroppo il primo caso è avvenuto nel cuore della realtà produttiva avicola dell’Italia, la provincia di Verona, in cui ci sono centinaia e centinaia di allevamenti e milioni di animali, che ovviamente hanno costituito un substrato ideale per questo virus”, ha riferito Calogero Terregino, esperto dell’Istituto zooprofilattico delle Venezie, il centro di riferimento nazionale ed europeo per l’influenza aviaria. A novembre, poi, erano alcune decine i focolai riscontrati, mentre a metà gennaio il conteggio ha superato quota 300. Nel contrastare l’epidemia, di solito, si procede con “un abbattimento preventivo”, ha confermato poi Gianmichele Passarini, presidente della Confederazione Italiana Agricoltori del Veneto. “Si cerca di contenere nell’ambito della zona in cui viene individuato e circoscritto il focolaio”, ha detto. E, ha continuato ancora Terregino, si prova a “circoscrivere l’area, creando una zona di protezione di 3 km e una zona di sorveglianza di 10 km”. In sostanza, il primo step è quello degli “abbattimenti preventivi, nel senso che se ci sono degli allevamenti potenzialmente contaminati o fortemente a rischio, ad esempio perché sono nella stessa filiera, vengono abbattuti per evitare che si creino nuovi focolai”, ha confermato l’esperto. “Il concetto è creare un vuoto biologico, depopolare l’area, per evitare che il virus possa trovare terreno fertile e diffondersi e replicare ancora di più”, ha poi aggiunto.

Photo taken in Cilacap, Indonesia

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I potenziali rischi per l’uomo

Nel periodo 2020 – 2021, ha confermato il Ministero della Salute, diversi Paesi europei sono stati colpiti da un’epidemia di Influenza aviaria causata da sottotipi H5N1 e H5N8. “L’ondata epidemica del 2020/2021 è stata una delle più vaste e durature epidemie di HPAI che si siano mai verificate in Europa e ha praticamente interessato la quasi totalità dei paesi europei inclusa l’Italia”, hanno riferito gli esperti. L’attività di contrasto e sorveglianza viene svolta “per individuare la presenza e la prevalenza dei virus influenzali a bassa patogenicità LPAI, nonché di quelli ad alta patogenicità HPAI sia negli avicoli domestici che nei volatili selvatici”. E già da alcuni anni ormai, l’Oms ha avviato un piano per monitorare con scrupolo le periodiche ondate di aviaria, proprio per evitare il rischio che i virus ad alta patogenicità, come quello dell’H5N1 che ha riguardato il nostro Paese, possano mutare diventando una minaccia per la salute dell’uomo oltre che degli animali stessi. “Come centro di referenza europeo abbiamo il compito di monitorare e fare il sequenziamento del virus, come si fa per il Covid, per analizzare le caratteristiche dei virus e capire se hanno quelle mutazioni che possono favorire le trasmissioni verso l’uomo”, ha concluso Terregino. “Attualmente sono ancora dei virus completamente aviari, hanno una componente genetica che li rende in grado di aggredire soltanto gli uccelli in maniera significativa. Ci sono stati solo sporadici casi legati a persone che vivevano a stretto contatto con gli animali”, ha detto. E da noi, lo scorso dicembre, il Ministero della Salute ha segnalato l’allerta, chiedendo massimo riguardo a tutti gli operatori del settore. “Il rischio di trasmissione del virus aviario all’uomo è considerato basso ma in considerazione del potenziale evolutivo del virus, si ritiene necessario monitorare la situazione al fine di identificare eventuali cambiamenti”, aveva riferito il professor Gianni Rezza, direttore generale della Prevenzione presso il Ministero della Salute.

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