Gli operatori sanitari, un migliaio tra medici ed infermieri, hanno deciso per il ricorso amministrativo. Obiettivo quello di chiedere, come conferma il quotidiano “La Repubblica”, l'annullamento delle sanzioni previste dalle Asl di appartenenza in caso di mancato adempimento dell'obbligo vaccinale
Sono un migliaio, tra medici e infermieri, gli operatori sanitari che hanno deciso di inoltrare un ricorso al Tar della Toscana per chiedere l'annullamento delle sanzioni previste dalle Asl di appartenenza in caso di mancato adempimento dell'obbligo vaccinale. Lo ha comunicato il quotidiano “La Repubblica” e la conferma è arrivata anche dal legale che assiste i sanitari nella causa. “Abbiamo già notificato ed è in corso di deposito il ricorso, con circa 1.000 ricorrenti, ma stiamo raccogliendo altre firme, circa 200, per un altro ricorso uguale”, ha sottolineato l'avvocato Tiziana Vigni che segue i ricorrenti insieme al collega Daniele Granara, docente di diritto costituzionale a Genova e a Urbino.
Chi sono i ricorrenti
Nel gruppo di ricorrenti, sottolinea ancora “La Repubblica, ci sono medici di varie specialità, sia di famiglia e sia ospedalieri, in alcuni casi anche impegnati in incarichi dirigenziali. Tra di loro sono presenti psichiatri, veterinari, psicologi, farmacisti, biologi, e poi infermieri, tecnici di laboratorio, operatori socio-sanitari, o ancora impiegati e contabili. Si tratta di lavoratori della sanità pubblica e anche di strutture private convenzionate che, senza la vaccinazione anti-Covid, rischiano il demansionamento o la sospensione dopo che le Asl Toscana Centro, Sud Ovest e Sud Est hanno notificato loro una lettera di diffida.
Un passaggio del ricorso
Secondo i legali che seguono il ricorso i loro assistititi, accettando di sottoporsi al vaccino, saranno “costretti a sacrificare il proprio diritto alla salute e la propria libertà di autodeterminazione, piegandosi ad un obbligo liberticida ed oppressivo delle opinioni differenti da quelle maggioritarie”. In una delle pagine del ricorso, si legge che “un ordinamento che voglia definirsi libero e democratico non può imporre ai propri consociati trattamenti sanitari dei quali non vi sia certezza in ordine alle garanzie di efficacia e sicurezza, né esporli ad alcun tipo di rischio per la salute che non sia temporaneo e/o di lieve entità”.
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