Il risultato si deve ad uno studio, coordinato dai ricercatori dell'Istituto di biologia e patologia molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibpm), che potrebbe aprire la strada allo sviluppo di un nuovo approccio farmaceutico per alcune patologie come la distrofia muscolare di Duchenne
Un nuovo studio coordinato dagli esperti dell'Istituto di biologia e patologia molecolari del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Ibpm) è riuscito ad individuare un nuovo meccanismo molecolare contro la degenerazione muscolare. I risultati del lavoro di ricerca, descritti sulle pagine della rivista specializzata “Science Advances”, potrebbero adesso aprire la strada allo sviluppo di un nuovo approccio farmaceutico per alcune patologie, tra cui la distrofia muscolare di Duchenne, una malattia neuromuscolare caratterizzata da atrofia e debolezza muscolare a progressione rapida e da degenerazione dei muscoli scheletrici, lisci e cardiaci. Alla ricerca, hanno collaborato anche gli studiosi dell’Università Sapienza di Roma, dell’Istituto italiano di tecnologia (Iit) di Roma, dell’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) di Milano, della Freie Universitat di Berlino e dell’Irbm di Pomezia.
Lo stop alla generazione di cellule fibrotiche e adipose
Per arrivare a produrre la propria tesi, il team di ricerca guidato da Chiara Mozzetta, si è concentrato sull'analisi delle progenitrici fibro-adipogeniche (FAP), cellule che “rappresentano l’arma a doppio taglio del muscolo scheletrico”. Come spiegato dai ricercatori e come si legge in un comunicato diffuso online dal Cnr, si tratta di cellule che aiutano le cellule staminali muscolari alla rigenerazione del muscolo, ma che nel corso della degenerazione che si verifica nei tessuti affetti da distrofia muscolare di Duchenne invece, “danno origine all’infiltrato adiposo e fibrotico che rimpiazza progressivamente il tessuto muscolare, rendendolo meno funzionale”. Partendo da questa tesi, i ricercatori hanno potuto scoprire così “in che modo è possibile cambiare il destino di queste cellule riuscendo a spingerle a formare nuovo tessuto muscolare e bloccando quindi la loro capacità di generare cellule fibrotiche e adipose”, ha spiegato Mozzetta.
I dettagli dello studio
Nello specifico, i ricercatori hanno scoperto che i geni responsabili dell’acquisizione della capacità di formare nuovo tessuto muscolare si identificano nella periferia del nucleo delle FAP. “La proteina Prdm16 gioca un ruolo cruciale nel bloccare le regioni di Dna codificanti il potenziale muscolare delle FAP alla periferia nucleare, reclutando su di esse gli enzimi G9a e GLP per mantenerle silenti”, ha poi aggiunto la ricercatrice del Cnr. “Abbiamo provato quindi a sbloccare queste regioni utilizzando un approccio farmacologico volto ad inibire G9a/GLP, riuscendo a dimostrare che togliendo questo ‘freno’ molecolare, tali geni possono essere rilocalizzati dalla periferia verso una parte più attiva del nucleo, sbloccando la capacità delle FAP di formare tessuto muscolare”, ha poi commentato ancora l'esperta.