A sottolinearlo, uno studio internazionale, pubblicato sulla rivista "European Journal of Preventive Cardiology", coordinato da Gian Paolo Rossi, dell’Università di Padova e che ha coinvolto un’ampia popolazione (1.625) di pazienti reclutati in 19 centri di eccellenza per la cura dell’ipertensione arteriosa, dislocati in quattro continenti. Al centro della ricerca, l’eccessiva produzione di aldosterone
L’ipertensione arteriosa, come spiega il portale del gruppo ospedaliero “Humanitas”, è una condizione caratterizzata dall’elevata pressione del sangue nelle arterie, determinata dalla quantità di sangue che viene pompata dal cuore e dalla resistenza delle arterie al flusso del sangue. Interessa circa il 30% della popolazione adulta di entrambi i sessi ma non è una malattia, bensì un fattore di rischio, cioè una condizione che aumenta la probabilità che si verifichino altre malattie cardiovascolari. Per questo motivo è importante individuarla e curarla, oltre che analizzarla. In quest’ottica risulta importante lo studio internazionale pubblicato sulla rivista "European Journal of Preventive Cardiology", coordinato da Gian Paolo Rossi, dell’Università di Padova e che ha coinvolto un’ampia popolazione (1.625) di pazienti reclutati in 19 centri di eccellenza per la cura dell’ipertensione arteriosa dislocati in quattro continenti.
L’aldosteronismo primario
La ricerca, come si legge in un comunicato diffuso sul portale dell’ateneo padovano, “ha mostrato che l'ipertensione resistente al trattamento farmacologico è particolarmente frequente nei pazienti affetti da aldosteronismo primario, una forma di ipertensione arteriosa causata da un’eccessiva produzione di aldosterone da parte delle ghiandole surrenaliche”. Si tratta, hanno spiegato gli esperti, di una forma particolarmente comune che generalmente non viene riconosciuta perché simula l’ipertensione essenziale, ma, a differenza di quest’ultima, può essere guarita in modo definitivo attraverso la rimozione chirurgica del surrene interessato. “Lo studio ha fatto una scoperta ancora più importante: in un’alta percentuale di tali pazienti (34%), l’eliminazione chirurgica del surrene dove si era sviluppato il piccolo tumore (benigno) che produceva troppo aldosterone, e che quindi causava l’aldosteronismo primario, ha portato a risolvere l'ipertensione resistente”, ha riferito Rossi.
Il mancato raggiungimento del target pressorio
I risultati di questo studio, tra l’altro, hanno permesso di comprendere come una quota abbastanza rilevante, variabile tra il 20 e il 40% a seconda dei Paesi, dei pazienti affetti da ipertensione arteriosa non riesca a raggiunge il target pressorio, ovvero valori di pressione minori di 130/80, nonostante l'assunzione di differenti farmaci anti-ipertensivi. Si tratta di pazienti che possono essere ad alto rischio di eventi cardio- e cerebrovascolari, non solo per i valori pressori fuori controllo, ma anche perché hanno già sviluppato un danno agli organi "bersaglio", tra cui rene, cuore, arterie e cervello. “Questi risultati, suggeriscono come per i pazienti con ipertensione resistente ai farmaci sia necessario ricorrere alle cure dei centri specializzati in grado di diagnosticare e trattare l’aldosteronismo primario prima che sia troppo tardi”, ha concluso Rossi.