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Alzheimer: l’ansia potrebbe accelerare l’insorgenza della malattia. Lo studio

Salute e Benessere

A suggerirlo sono i risultati di un nuovo studio presentato al meeting annuale della Rsna, la Radiological Society of North America, che potrebbero aprire la strada alla sviluppo di nuove terapia per rallentare il declino cognitivo  

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Nella lotta alle demenze, gran parte della battaglia è quella che si compie sul fronte della prevenzione e della diagnosi precoce. Un’opportunità per migliorare lo screening e la gestione dei pazienti con decadimento cognitivo lieve precoce arriva dai risultati di un nuovo studio presentato al meeting annuale della Rsna, la Radiological Society of North America, dal quale è emerso un legame tra i sintomi dell'ansia e una progressione più rapida verso la malattia di Alzheimer. Sebbene, al momento non sia chiaro il ruolo dell’ansia nella progressione della patologia, i risultati del nuovo studio potrebbero aprire la strada alla sviluppo di nuove terapie per rallentare il declino cognitivo, andando a intervenire proprio sui livelli di ansia dei pazienti. 

Lo studio nel dettaglio 

 

Per compiere lo studio, il team di ricerca ha analizzato le risonanze magnetiche effettuate su un campione composto da 339 pazienti con un’età media di 72 anni e diagnosi di base di lieve deterioramento cognitivo. Nel corso del follow up  a 72 partecipanti è stato poi diagnosticato il morbo di Alzheimer. Confrontando i dati emersi dalle risonanze magnetiche, gli esperti hanno rivelato che gli anziani con deterioramento cognitivo che sono progrediti verso la malattia di Alzheimer avevano volumi significativamente inferiori dell'ippocampo e della corteccia entorinale, due aree fondamentali per la formazione dei ricordi, e una maggiore frequenza dell'allele ApoE4, il principale fattore di rischio genetico per la patologia. Dall’analisi è anche emerso un legame tra l’ansia e il declino cognitivo. 

"I pazienti con deficit cognitivo lieve con sintomi di ansia hanno sviluppato il morbo di Alzheimer più velocemente degli individui senza ansia, indipendentemente dal fatto che avessero un fattore di rischio genetico per il morbo di Alzheimer o la perdita di volume del cervello", ha spiegato Jenny L. Ulber, primo autore dello studio.   

"Ora siamo interessati a guardare i cambiamenti nel tempo per vedere se l'ansia ha un effetto in un modo o nell'altro sulla velocità con cui progredisce il danno cerebrale", ha commentato la ricercatrice Maria Vittoria Spampinato. "Daremo anche uno sguardo più da vicino alle differenze di genere nell'associazione tra ansia e declino cognitivo".

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