Iss: l’utilizzo prolungato dei cellulari non aumenta il rischio tumori
Salute e BenessereÈ quanto emerge dal nuovo Rapporto Istisan 'Esposizione a radiofrequenze e tumori’, diffuso dall’Istituto superiore di sanità
Il nuovo Rapporto Istisan 'Esposizione a radiofrequenze e tumori’, pubblicato sul sito ufficiale dell’Istituto superiore di sanità, chiarisce l’inesistenza di prove scientifiche riguardo il legame tra l’utilizzo prolungato degli smartphone, per un periodo di tempo superiore ai 10 anni, e l’incremento del rischio di sviluppare tumori maligni o benigni nelle aree più esposte alle radiazioni durante le chiamate vocali.
Rapporto a cura di Iss, Arpa Piemonte, Enea e Cnr-Irea
Il documento, realizzato grazie alla cooperazione tra Iss, Arpa Piemonte, Enea e Cnr-Irea, si basa su una meta-analisi di studi effettuati dal 1999 al 2017, e si riferisce alle seguenti tipologie di neoplasie: glioma (maligno), meningioma, neuroma acustico e tumori delle ghiandole salivari.
Come si legge nel rapporto, le informazioni attuali “non consentono valutazioni accurate del rischio dei tumori intracranici e mancano dati sugli effetti a lungo termine dell'uso del cellulare iniziato durante l'infanzia".
Meta-analisi più dettagliata e ricca rispetto alla precedente valutazione della IARC
Il nuovo lavoro di meta-analisi si basa su un maggior numero di informazioni e dati rispetto a quelli presi in esame nella precedente valutazione effettuata dalla IARC, nel 2011. “I notevoli eccessi di rischio osservati in alcuni studi caso-controllo non sono coerenti con l’andamento temporale dei tassi d’incidenza dei tumori cerebrali che, a quasi 30 anni dall’introduzione dei cellulari, non hanno risentito del rapido e notevole aumento della prevalenza di esposizione”, scrivono gli esperti dell’Istituto superiore di sanità. Il documento include una valutazione dell’intensità dei segnali trasmessi dalle sorgenti di radiofrequenze più comuni, quali antenne radiotelevisive, stazioni radio base, Wi-Fi, e cellulari. "Gli impianti per telecomunicazione sono aumentati nel tempo ma l’intensità dei segnali trasmessi è diminuita con il passaggio dai sistemi analogici a quelli digitali. La distanza da sorgenti fisse ambientali non è un buon indicatore del livello di radiofrequenze all’interno di un’abitazione perché molte antenne sono direzionali e le radiofrequenze sono schermate dalla struttura degli edifici e da altri ostacoli naturali”, si legge nel rapporto.