Chirurgia e anestesia dopo i 70 anni peggiorano funzioni cognitive

Salute e Benessere
Un intervento chirurgico in sala operatoria (ANSA)
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Uno studio americano evidenzia come il cervello di un anziano invecchierebbe più precocemente rispetto a quello di un parietà non sottoposto ad addormentamento artificiale. 

Subire un intervento chirurgico dopo i 70 anni, venendo sottoposti, dunque, a dosi di anestesia di vario genere, può influire negativamente nel mantenimento delle proprie funzioni cognitive e di memoria, con conseguenze peggiorative con il passare del tempo.

Invecchiamento più rapido

E’ quanto rivela uno studio, basato su un’osservazione del campione partecipativo durata ben trent’anni, condotto dall’istituto americano Mayo Clinic Study of Aging: il team di ricercatori ha preso in esame 1819 individui di età compresa tra i 70 e gli 89 anni, valutandone periodicamente le funzioni cognitive. La scoperta, pubblicata sul British Journal of Anaesthesia, rivela come, a parità di anni, il cervello di chi è stato sottoposto ad interventi chirurgici invecchierebbe prima di quello dei coetanei non finiti “sotto i ferri”.

Non è la prima volta che ricerche scientifiche inducono a pensare che l’anestesia possa influire negativamente sulla tenuta cognitiva del cervello umano. “E’ doveroso – afferma Juraj Sprung, leader del team che ha condotto la ricerca – portare il paziente anziano a una valutazione della possibilità di sottoporsi o meno a intervento chirurgico, come pure le loro famiglie: solo una volta percepiti i rischi delle possibili conseguenze sulle funzioni cerebrali, allora la scelta sarà matura”.

Anestesia sotto esame

Trattandosi di equilibri cognitivi, appunto, gli effetti di anestesia e chirurgia possono risultare subdoli e aggiungersi stati lievemente degenerativi, anch’essi, latenti ma non così visibili, come sporadiche perdite di memoria o di lucidità.

Sempre secondo il dottor Sprung “sarebbe importante sottoporsi a un’analisi cognitiva prima dell’intervento” così da monitorare le funzionalità cerebrali del paziente ed eventualmente evincere una forma, più o meno lieve, di calo delle attività già presente.

Ridimensionare l’impiego dell’anestesia in campo medico continua, pertanto, a essere materia di trattazione, non soltanto per concomitanze con problemi patologici già noti nel paziente, come accaduto nei giorni scorsi a Castel Volturno durante l’espianto di una parte di fegato in una donna ottantenne che non poteva essere sottoposta ad anestesia generale.

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