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Omicidio Desirée Mariottini, l'Appello conferma le sentenze di primo grado dei 4 imputati

Lazio

I giudici della Corte d'assise d'appello di Roma hanno emesso il verdetto dopo quattro ore in camera di consiglio. In primo grado, due imputati sono stati condannati all'ergastolo, un terzo a 27 anni e un quarto imputato a 24 e mezzo. La madre della vittima: "Speravo nella conferma delle condanne. Sono quattro mostri e devono stare dietro le sbarre"

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La Corte d'Appello di Roma ha confermato le condanne ai quattro imputati per l'omicidio di Desirée Mariottini, la 16enne uccisa il 19 ottobre del 2018 in uno stabile abbandonato nel quartiere romano di San Lorenzo. Si tratta di Mamadou Gara, Yousef Salia, Brian Minthe e Alinno Chima. In primo grado, i giudici avevano condannato i primi due all'ergastolo, Chima a 27 anni e Minthe a 24 e mezzo. Il pg aveva chiesto alla Corte la conferma delle condanne. Le condanne, dopo quattro ore di camera di consiglio, è stata confermata.

La sentenza d'Appello

Regge dunque anche in secondo grado l'impianto accusatorio della Procura capitolina che ai quattro contesta, a vario titolo, i reati di omicidio, violenza sessuale e spaccio. Nella requisitoria il pg aveva ricostruito quanto avvenuto a pochi passi dall'università La Sapienza. Gli imputati, sostanzialmente, non fecero nulla, non mossero un dito per cercare di salvare la vita alla ragazza originaria di Cisterna di Latina. "Lo stato di semi incoscienza in cui versava le impedì anche di rivestirsi. Desiree respirava appena e nonostante fosse incosciente - ha detto il rappresentate dell'accusa in aula - gli imputati rimasero indifferenti. Dicevano che si stava riposando pur sapendo che aveva assunto sostanze e si mostrarono minacciosi verso chi tra i presenti voleva chiamare i soccorsi fino a pronunciare la terribile frase: 'Meglio lei morta che noi in galera'". Una volontà definita "cattiva" dal pg legata "al desiderio di mantenere il loro commercio di droga: nessuno doveva sapere cosa succedeva in quella casa" anche se una telefonata al 112 "sarebbe bastata a salvarla".

IL verdetto di primo grado

Ancora più pesante quanto cristallizzato dai giudici di primo grado nelle motivazioni della sentenza del giugno 2021. "Non si trattò solo della cinica e malevola volontà di non salvare la giovane dall'intossicazione - scrive il tribunale - di cui loro stessi erano stati autori e di impedire le indagini delle violenze da lei subite, ma in forma più estesa, di conservare la propria 'casa' e le proprie fonti di 'reddito', oltre ad un tranquillo e sostanzialmente indisturbato luogo di consumo degli stupefacenti, che rendeva eccezionale e noto quel rifugio". Dopo la lettura della sentenza di oggi la madre della giovane è stata abbracciata dalla nonna di Desiree che ha seguito l'intero processo. "Questa sentenza mi dà un solo po' di pace dopo tanto dolore, ma il dolore ci sarà sempre e nessuno mi ridarà mai mia figlia", ha aggiunto Barbara Mariottini prima di lasciare piazzale Clodio.

La madre: "Speravo in conferma condanne, sono quattro mostri"

“Speravo nella conferma delle condanne. Sono quattro mostri e devono stare dietro le sbarre. Il dolore io e la mia famiglia lo porteremo dietro tutta la vita. Questa sentenza mi dà un solo po' di pace dopo tanto dolore, ma il dolore ci sarà sempre e nessuno mi ridarà mai mia figlia". Così Barbara Mariottini, la mamma di Desirée, dopo la sentenza della Corte di Appello della Capitale che ha confermato le condanne nei confronti dei quattro imputati.

L'omicidio della 16enne

Secondo quanto accertato Desiree morì a causa di un mix letale di droghe. La ragazzina, vittima anche di abusi, fu trovata senza vita in un immobile abbandonato nel quartiere San Lorenzo. Una fine tragica in cui fu determinate, secondo l'accusa, il ruolo svolto dai quattro. Dalle carte dell'indagine è emerso che gli imputati avevano fornito alla ragazza, che era in crisi di astinenza, un mix di sostanze composto anche di tranquillanti e pasticche. Ma la miscela, "rivelatasi mortale" era composta da psicotropi che hanno determinato la perdita "della sua capacità di reazione" consentendo agli indagati di violentare la minorenne in uno stabile fatiscente. Nell'ordinanza con cui il gip dispose il carcere si affermava che il gruppo ha agito "con pervicacia, crudeltà e disinvoltura" mostrando una "elevatissima pericolosità e non avendo avuto alcuna remora" nel portare a termine lo stupro e l'omicidio. Nel provvedimento sono citate anche alcune testimonianze. "Meglio che muore lei che noi in galera": è la frase che secondo alcuni testimoni avrebbero pronunciato tre dei quattro accusati. Gli indagati inoltre "impedirono di chiamare i soccorsi per aiutare" la giovane.