Tutti i discorsi del Presidente: l'analisi dei messaggi di fine anno di Mattarella

Dicembre tempo di bilanci… e riflessioni. L’attività politica e parlamentare chiude il cerchio con l’approvazione della Manovra… la legge regina dell’azione di governo. E la massima istituzione del Paese prova a fare il punto su quanto accaduto e su come affrontare le nuove sfide che attendono il Paese. Dal Corpo diplomatico alle Alte Cariche, fino agli italiani Un punto che riguarda più livelli, che tocca più settori nevralgici della società e che si accompagna ai consueti e tradizionali scambi di auguri al Quirinale con il Corpo diplomatico accreditato in Italia e la Conferenza degli Ambasciatori alla Farnesina , e che prosegue con l’incontro, sempre al Colle, con le Alte cariche , cui si aggiunge il saluto ai militari impegnati nelle missioni all’estero. Ma quel che spicca in assoluto è "l’incontro" con gli italiani, i cittadini… o meglio, i concittadini come ama chiamarli Sergio Mattarella: è il tradizionale messaggio di fine anno a reti unificate. Un momento unificante, sempre molto atteso, dalla politica, pronta ad ascoltare indicazioni, osservazioni, spunti di riflessione, richiami, ma atteso anche dalla classe imprenditoriale e dal mondo sindacale. Atteso e molto ascoltato però, a prova di rilevazioni demoscopiche, soprattutto dai telespettatori, da quei concittadini che di lì a poco festeggeranno la fine dell’anno tra tavolate, parenti e amici, ma che prima si fermeranno a sentire cosa il Presidente dirà. Una prassi ormai consolidata Pur non essendo previsto né dalla Costituzione né da altre norme il discorso di fine anno del Presidente della Repubblica è diventato negli anni una prassi irrinunciabile, iniziata nell’ormai lontano 1949. L’unico tipo di interventi previsti infatti dalla Carta fondamentale in capo al Presidente sono i cosiddetti messaggi alle Camere, come recita appunto l’articolo 87 della Costituzione. Bilancio, auspici, riflessioni dicevamo… ma anche uno sguardo al futuro, un incoraggiamento… uno sprone a far bene e meglio …proprio come è solito fare un buon padre di famiglia. Durata, minuti, termini utilizzati: quello che poi negli ultimi anni è diventato di fatto, nel nuovo linguaggio mediatico, il “cloud” delle parole più usate. Tutti spunti per analizzare un discorso a reti unificate che entra nelle case degli italiani alle 20.30 in punto e che va dritto al cuore dei problemi di famiglie, giovani, lavoratori, pensionati. Il messaggio nella storia repubblicana Il messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica non è previsto dalla Costituzione italiana, dicevamo, ma con il tempo ha assunto un alto valore simbolico creando un rapporto diretto tra la più alta carica dello Stato e i cittadini, uno dei momenti più importanti della vita politica del Paese con una forte valenza mediatica. Sette messaggi per ogni Capo di Stato, che corrispondono agli anni del mandato presidenziale. Ma le eccezioni non sono mancate. Antonio Segni, ad esempio, ne pronunciò solo due essendosi dimesso nel 1964 per motivi di salute. A dare l’avvio a questa tradizione fu Luigi Einaudi, nel 1949, il primo Presidente che attraverso la radio inviò gli auguri agli italiani. Messaggi che erano molto brevi e che in pratica si limitavano ai soli auguri. Non solo. Nei primi anni erano due: uno, il primo, rivolto agli italiani, l’altro, il secondo, ai connazionali all’estero. Da brevi ed essenziali a più lunghi e articolati Con Sandro Pertini la durata dei discorsi presidenziali aumenta, con una media di circa 13-14 minuti. Fino ad arrivare a quelli di Oscar Luigi Scalfaro, tra i più lunghi. Nel 1997 ad esempio la durata fu di quaranta minuti. Anche Francesco Cossiga però non fu da meno, salvo che per quello del 1991: il discorso più breve della storia con soli tre minuti e mezzo. "Di tradizione pur sempre si tratta - disse - e non di legge imperativa: e ad essa per seri motivi, è legittimo, anzi può essere, come nel caso presente, puranco doveroso, derogare". Poi, seguì Carlo Azeglio Ciampi, che volle fin da subito portare, o riportare, al centro i simboli della Repubblica e dell’identità nazionale, dal tricolore all’inno di Mameli. Giorgio Napolitano prima e Sergio Mattarella poi hanno sempre più tracciato un bilancio per il Paese senza però evitare di indicare un percorso politico, economico e sociale. Entrambi hanno infranto quel numero sette, con l’attuale Presidente che quest’anno arriva a dieci… record assoluto. Dalla scrivania, al salotto… oppure in piedi L’evoluzione del messaggio di fine anno la si vede anche dalla scenografia mediatica, cambiata nel tempo. Dallo studio alla Vetrata, quello cioè usato nelle Consultazioni per la formazione del Governo e per ricevere i Capi di Stato ospiti al Quirinale, allo studio privato, fino alla Loggia d’onore. Tante e nuove dislocazioni per l’incontro con gli italiani. Dopo il cambio di passo operato da Pertini prima e da Scalfaro poi, con Ciampi e Napolitano si tornò alla tradizione. Mattarella però decise fin da subito di lasciare l’istituzionale scrivania, pur presente ma non frapposta tra lui e l’interlocutore. Un modo per superare ogni “barriera” ideale o simbolica. Di simboli però non ne sono mai mancati, nonostante una scenografia estremamente sobria: il Tricolore, la Costituzione, l’albero di Natale. Anche in piedi, negli ultimi anni, Mattarella ha rivolto il suo messaggio agli italiani. Mattarella che nei suoi discorsi di fine anno si è tenuto in linea con la lunghezza media degli ultimi anni , ben più breve rispetto al suo predecessore. Parole e numeri per il “cloud” del Messaggio "Repubblica", "futuro", "giovani" e “Costituzione” sono le parole mediamente più usate. Il discorso di fine anno più lungo - come ricorda Openpolis- è stato pronunciato da Scalfaro nel 1997 , il più breve invece è di Einaudi nel 1950 . Di certo però ogni Capo dello Stato ha evidenziato i suoi tratti caratteristici, in termini politici e comunicativi. Spesso legati alle diverse fasi politiche che di volta in volta si presentavano: dalle tensioni tra partiti a quelle istituzionali, alle crisi politiche o alle elezioni ravvicinate… fino ai contesti sociali più complessi… uno su tutti… quello pandemico e post pandemico. Se la durata dei messaggi è andata via via aumentando nella sua media per poi subire qualche leggera flessione, non è stato così per la complessità delle frasi utilizzate… il cui parametro è andato oscillando a seconda dei Presidenti: più articolate per Cossiga e Napolitano, ad esempio. Il primo messaggio di Mattarella, 2015 La Repubblica da curare. “Tutti devono prendersene cura”. L’appello del suo primo discorso di fine anno, a undici mesi dall’elezione. Repubblica come punto di riferimento intorno al quale legarsi, unirsi come comunità per far fronte alle difficoltà del Paese sul fronte lavoro, che manca, per famiglie e giovani, laddove alla crisi economica e alla necessità di risorse da poter utilizzare per far fronte a queste emergenze fa da contraltare una evasione fiscale che provoca “un danno da 122 miliardi di euro l’anno”. Risorse che permetterebbero un abbassamento di tasse e imposte. Rispettare la legge, le regole, vuol dire attuare la Costituzione… Insomma, una questione morale, una battaglia per la legalità. Questione morale ma anche questione nazionale come quella dello sviluppo necessario del Mezzogiorno. 2016, l’invito al confronto politico Nel 2016, c’è un netto “No all’odio come strumento di lotta politica”… e, di contro, un invito al confronto pubblico civilizzato, dopo un anno di tensioni, vissuto soprattutto all’insegna del referendum costituzionale voluto — e perso — da Matteo Renzi. Per Mattarella "una società divisa, rissosa e in preda al risentimento, smarrisce il senso di comune appartenenza, distrugge i legami, minaccia la sua stessa sopravvivenza. Tutti, particolarmente chi ha piu' responsabilità, devono opporsi a questa deriva" che viaggia anche via web. Mattarella spiega chiaramente perché, dopo le dimissioni del governo in seguito all’esito della consultazione, ha deciso di non sciogliere le Camere: "Non vi è dubbio che, in alcuni momenti particolari, la parola agli elettori costituisca la strada maestra. Ma chiamare gli elettori al voto anticipato è una scelta molto seria. Occorre che vi siano regole elettorali chiare e adeguate perchè gli elettori possano esprimere, con efficacia, la loro volonta' e questa trovi realmente applicazione nel Parlamento che si elegge". E ancora aggiunge: "Queste regole, oggi, non ci sono: al momento esiste, per la Camera, una legge fortemente maggioritaria e, per il Senato, una legge del tutto proporzionale". Ma accanto alle motivazioni politiche riguardo a una decisione presa seppur complessa, il Presidente nel suo discorso parte dalle tante persone incontrate nelle sue visite alle citta' italiane e racconta di donne e uomini pieni di "energie positive". "Il problema numero uno del Paese resta il lavoro", che deve assicurare una vita dignitosa. Il 2017 e l’appello al voto rivolto ai ragazzi Con la fotografia scattata dal Censis emerge l'immagine di una nazione "quasi preda del risentimento", cui Sergio Mattarella contrappone "un Paese diverso, in larga misura generoso e solidale". Ma accanto ai temi mai dimenticati del lavoro, delle famiglie e dei giovani, nel terzo discorso di fine anno del suo mandato, il Capo dello Stato rivolgendo i suoi auguri in diretta televisiva si concentra sull’appuntamento elettorale che si svolgerà tre mesi dopo. Passaggio fondamentale per costruire il domani. Dallo studio alla Vetrata del Quirinale, ricorda innanzitutto la Costituzione prossima ai 70 anni, la "cassetta degli attrezzi" che contiene i valori, i principi e le regole con cui i cittadini, la politica e le istituzioni devono affrontare la vita di ogni giorno. La parola passa a partiti e Parlamento, che insieme scriveranno la "pagina bianca" che si aprirà dopo il voto. Pagina Bianca che dovrà essere scritta e fatta di contatto con la realtà, di "proposte realistiche e concrete". Ma l’appello forte è al voto, che e' un diritto. I giovani nati nel 1999 voteranno per la prima volta, saranno artefici del loro futuro. E il parallelo storico corre ai giovani del 1899 che un secolo fa furono invece chiamati a combattere nella grande guerra. È dunque bene "non dimenticare mai che stiamo vivendo il più lungo periodo di pace in Italia e, non a caso, in tutta Europa". Parole poi, a distanza di pochi anni, rivelatesi profetiche. 2018, l’Italia da ricucire e il no all’insulto come arma di lotta Il 2018, è stato l’anno politico forse più difficile, quello in cui i 5 Stelle hanno minacciato di metterlo in stato d’accusa per alto tradimento , ma il Presidente punta tutto sui buoni sentimenti che rendono migliore la nostra società. Fiducia ed esortazione a rompere la spirale di rancori di chi esprime solo “astio, intolleranza, insulto”. Quelli che hanno superato il limite della decenza, anche politica. Cambiare registro e darsi una tregua, quindi. A cominciare, ad esempio, dai pericoli della Rete e dei social, con molti che vivono connessi comunicando di continuo e alimentando magari un racconto non reale e, anzi, sporcato da macchine del fango create ad hoc, manipolando l’opinione pubblica. Il 2019 e la fiducia come obiettivo Sergio Mattarella nel suo quinto discorso di fine anno non nasconde i limiti e le criticità che ci frenano, ma cerca di mettere in luce gli elementi positivi e sprona tutti gli italiani a non demoralizzarsi o denigrarsi. Del resto "il mondo ci riconosce grandi meriti, dobbiamo essere orgogliosi di un'identità che è sinonimo di sapienza, genio, armonia, umanità". Se dunque è vero che "l'Italia riscuote fiducia, quella stessa fiducia deve indurci ad averne di piu' in noi stessi”… è il suo messaggio. Avere "fiducia" dunque nell'Italia, in un Paese che, pur tra tanti problemi, ha le risorse necessarie per un futuro di speranza e coesione. Un controcanto positivo il suo, che racconta poi i molti esempi di altruismo e solidarietà. Come il sacrificio dei vigili del fuoco di Alessandria o del sindaco di Rocca di Papa. Le istituzioni devono però aiutare, evitando sterili polemiche, a "favorire la coesione sociale" attraverso il buon funzionamento della cosa pubblica. La pandemia del 2020, l’Italia in crisi e il coraggio necessario Difficile trovare parole adatte, confessa il Capo dello Stato nel suo messaggio al termine di un anno drammatico. Lutti e ferite non si contan, ma anche le troppe polemiche. La memoria innanzitutto è doverosa verso chi non ce l’ha fatta. Monito per chi c’è, deve agire, e per chi deve collaborare innanzi a una crisi totale, sanitaria, economica e politica, che sta colpendo il Paese. I vaccini sono l’unica strada, quella proposta dalla scienza. La stessa scienza che ha fatto progredire l’umanità nei secoli. Scienza che al fronte negazionista, a ignoranza e pregiudizi, contrappone dati e ricerca. Vaccinarsi è una scelta di responsabilità, un dovere. Tutto senza nascondere limiti, ritardi e anche errori, nell’affrontare una realtà improvvisa e sconosciuta. Sul piano economico Mattarella torna poi a ricordare l’occasione storica del Recovery Fund messo a disposizione dall’Europa. Occasione che non ammette distrazioni, perché questo - dice - deve essere in tutti i sensi “il tempo dei costruttori”. Il 2021, l’ultimo discorso che poi non è più stato tale È il messaggio del grazie agli italiani e alle istituzioni che hanno evitato "un salto nel buio", mostrando tutti insieme in questi anni difficili che l'unità e la solidarietà sono il vero patriottismo su cui si fonda la Repubblica. A due mesi dalla fine del mandato, è uno dei suoi discorsi più brevi, e ricorda i sette anni intensi e difficili, ringraziando per non essersi "mai sentito solo". Senza alcun riferimento a successori o predecessori, si limita a notare i due principali doveri cui si è attenuto e cui si augura si attenga qualunque Presidente: "spogliarsi di ogni precedente appartenenza" per non guardare ad altro che al bene comune e "salvaguardare ruolo, poteri e prerogative dell'istituzione”. Il Presidente ripercorre soprattutto gli anni della sua presidenza, "impegnativi, complessi, emozionanti". Crisi di governo, terrorismo, catastrofi naturali, pandemia, ma anche le migliaia di incontri tra paesi, comunità e cittadini. E se l’Europa resta un tema caro… Mattarella non manca ancora di dedicare un lungo passaggio ai giovani: "non fermatevi, non scoraggiatevi, prendetevi il vostro futuro perchè soltanto cosi' lo donerete alla societa'". E cita "la commovente lettera" del professor Pietro Carmina, vittima del crollo di Ravanusa: "Non siate spettatori ma protagonisti della storia che vivete oggi. Infilatevi dentro, sporcatevi le mani, mordetela la vita". 2022, il voto e la democrazia matura “Un anno addietro, rivolgendomi a voi in questa occasione, definivo i sette anni precedenti come impegnativi e complessi. Lo è stato anche l’anno trascorso, così denso di eventi politici e istituzionali di rilievo. L’elezione del Presidente della Repubblica, con la scelta del Parlamento e dei delegati delle Regioni che, in modo per me inatteso, mi impegna per un secondo mandato. Lo scioglimento anticipato delle Camere e le elezioni politiche, tenutesi, per la prima volta, in autunno”. Parole che segnano un nuovo inizio quelle di Mattarella il 31 dicembre 2022. “Il chiaro risultato elettorale - dice - ha consentito la veloce nascita del nuovo governo. La nostra democrazia si è dimostrata dunque, ancora una volta, una democrazia matura. Nell’arco di pochi anni si sono alternate al governo pressoché tutte le forze politiche presenti in Parlamento, in diverse coalizioni parlamentari”, ricorda. “Quanto avvenuto le ha poste, tutte, in tempi diversi, di fronte alla necessità di misurarsi con le difficoltà del governare. Riconoscere la complessità, esercitare la responsabilità delle scelte, confrontarsi con i limiti imposti da una realtà sempre più caratterizzata da fenomeni globali: dalla pandemia alla guerra, dalla crisi energetica a quella alimentare, dai cambiamenti climatici ai fenomeni migratori”. Parole chiare. Che spiegano come la concretezza della realtà abbia convocato ciascuno alla responsabilità. Giusta dialettica, rispetto delle regole e comune visione del sistema: questi gli strumenti che ci sono dati dalla Costituzione. Pronta a compiere 75 anni e che resta la nostra bussola: il suo rispetto -spiega- è il nostro primario dovere, anche il mio, dice. Il pensiero va poi alla guerra tornata nel Continente. “Non ci rassegniamo a questo presente. Il futuro non può essere questo. La speranza di pace è fondata anche sul rifiuto di una visione che fa tornare indietro la storia”. Il 2023 e la cultura della pace Tanti i temi toccati nel messaggio di fine 2023: dalla guerra e la necessaria cultura della pace, all’evasione fiscale danno per la comunità, dalla violenza sulle donne all’appello ai giovani, fino all’invito alla partecipazione democratica. Più che di un bilancio dell’anno trascorso si è trattato di uno sguardo al futuro e alle sfide difficili che ci sono e non vanno negate. La preoccupazione per le incognite che attendono il Paese c’è. Ma accanto alla fiducia - spiega - servono unità e coesione. Un appello alla partecipazione il suo, all’impegno civico. Un no all’indifferenza e alla rassegnazione. 16 minuti, in piedi, nella loggia alla Vetrata, al piano terra della parte più antica del Quirinale, con l’albero di Natale sullo sfondo, Sergio Mattarella nel suo nono messaggio apre un filo diretto con i concittadini. Dai timori per lo scenario internazionale e le sue ricadute sociali, umanitarie ed economiche all’appello a non abituarsi agli orrori dei conflitti. Dalla vicina Ucraina a quello in Medio Oriente. Per questo - avverte - è indispensabile fare spazio alla cultura della pace, a una mentalità della pace: il che - specifica - non è astratto buonismo ma realismo. Pace che vuol dire dialogo e confronto in ogni campo. Partecipare attivamente significa esserci, votare e non semplicemente rispondere a un sondaggio, o stare sui social. Un messaggio che pare rivolto a tutti, istituzioni politiche, sociali e cittadini. Proprio quei social dove corre troppo odio, troppa rabbia, con una tendenza -nota Mattarella - a identificare avversari o addirittura nemici. Verso i quali praticare forme di aggressività. Tutte modalità che distraggono o aggravano la difficoltà di occuparsi efficacemente dei problemi e delle emergenze quotidiane di cittadini e famiglie: dal lavoro che manca alle differenze di retribuzione, alle disparità. Ma la forza della Repubblica - ricorda - era e resta l’unità… Non come risultato di un potere che si impone, bensì come modo di essere, fatto di valori fondanti quali solidarietà, libertà, uguaglianza, giustizia, pace. Tutti valori della nostra Costituzione - rimarca ancora - e che appartengono all’identità stessa dell’Italia.

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