Riforma della Giustizia, quando entrerà davvero in vigore? Le prossime tappe

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Il 29 maggio è arrivato il via libera dal Cdm, ma è solo un primo passo. Trattandosi di una legge di modifica della Costituzione, il testo ha bisogno di essere approvato da ciascuna Camera con due successive deliberazioni a un intervallo di almeno tre mesi. La riforma potrà dirsi approvata se nella seconda votazione entrambe le Camere approvano la legge con una maggioranza dei due terzi dei rispettivi componenti. Se il ddl non raggiungerà questi numeri, la legge sarà sottoposta a un referendum

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Carriere separate per i magistrati, distinti tra quelli giudicanti e quelli requirenti, con due diversi Csm e il sorteggio per la nomina dei suoi membri, oltre a un'Alta corte come organo di disciplina delle toghe. Sono questi i tre pilastri della nuova riforma della Giustizia approvata in Consiglio dei ministri il 29 maggio. Ma quando entrerà effettivamente in vigore? I tempi non saranno certo brevi.

Le tappe

Trattandosi di una legge di modifica della Costituzione, il testo ha bisogno di essere approvato da ciascuna Camera con due successive deliberazioni a un intervallo di almeno tre mesi. La riforma potrà dirsi approvata se nella seconda votazione entrambe le Camere approvano la legge con una maggioranza dei due terzi dei rispettivi componenti. Se il ddl non raggiungerà questi numeri, la legge sarà sottoposta a un referendum popolare che - secondo gli annunci del governo Meloni - sarà distinto dall'eventuale tornata referendaria sul premierato.

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Le tempistiche con un eventuale referendum

Se si dovesse aprire lo scenario del referendum per la riforma della Giustizia, questo andrà fatto entro tre mesi dalla pubblicazione della legge, da parte di un quinto dei membri di una Camera, 500mila elettori o cinque consigli regionali. Molto probabilmente, dunque, la riforma non sarà approvata prima del 2026. Ma per il sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano "non è comunque così certo che si arrivi al referendum".

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Cosa prevede la riforma

Con la riforma, fin dall'inizio della propria carriera, al magistrato spetta una scelta definitiva sulla sua funzione: requirente (ovvero i pubblici ministeri che conducono le indagini) oppure giudicante (quindi i giudici di tribunale o corti) attraverso due concorsi separati. Ne deriva la costituzione di due Consigli superiori della magistratura, anziché uno solo, com'è attualmente previsto, che continueranno ad essere composti da tre membri di diritto (il Presidente della Repubblica, il primo presidente della Corte di Cassazione e il procuratore generale della Cassazione) e da altri 30 componenti: due terzi di questi sono rappresentati da 20 membri togati - ovvero appartenenti alla magistratura ed attualmente eletti da magistrati ordinari - e 10 membri laici attualmente eletti in seduta comune dei due rami del Parlamento, scelti tra professori ordinari in materie giuridiche o avvocati con almeno 15 anni di esercizio della professione. Con la riforma la nomina dei 30 membri, sia per i togati che per i laici, avverrà con il meccanismo del sorteggio, eliminando così il rischio che le correnti all'interno della magistratura possano influenzarne le nomine. Attualmente il Csm si occupa anche di procedimenti disciplinari, ma con la riforma sarà un'Alta corte, composta da 15 giudici (tre nominati dal Presidente della Repubblica, tre estratti a sorte dal Parlamento, sei magistrati giudicanti e tre requirenti estratti a sorte tra gli appartenenti alle rispettive categorie), ad assumere il ruolo di organo disciplinare, le cui sentenze si possono impugnare dinanzi alla stessa corte.

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