Meloni dagli Usa: “Italia credibile e affidabile”

Politica
Giuseppe De Bellis

Giuseppe De Bellis

Intervista alla presidente del Consiglio alla fine del viaggio a Washington con l’incontro alla Casa Bianca dal presidente Biden: "Per il futuro decisive l'amicizia e l'alleanza con gli Usa e la Nato, una nuova relazione con la Cina, il lavoro multilaterale su Africa e Mediterraneo", dice la premier. E poi: "L'intelligenza artificiale è la sfida di tutti. Ci vuole un impegno globale per regolamentarla per evitare di essere sopraffatti"

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Giorgia Meloni è soddisfatta. Molto. Si vede da lontano. Questo viaggio a Washington lo aspettava per chiudere qualche partita aperta, per mostrare la legittimazione dell’alleato degli alleati.  Joe Biden, che dice “siamo diventati amici” è più di una annotazione di colore. È un messaggio. La dichiarazione congiunta con cui si è conclusa la giornata dell’incontro con il presidente americano era tanto inattesa quanto preziosa. Messaggio al quadrato.

A Villa Firenze, la meravigliosa residenza dell’Ambasciatrice italiana a Washington, da poco è uscito Henry Kissinger dopo un lungo colloquio su molti temi e tra un po’ scopriremo che tra questi una parte consistente del tempo l’ha preso l’Intelligenza artificiale, i suoi rischi, le sue opportunità, l’assenza di regole e l’esigenza di averne. Poi gli altri: gli Usa, la Cina, l’Africa, la Nato, la guerra in Ucraina e il sostegno occidentale.

La presidente del Consiglio fa una pausa, poi arriva con il suo staff, si siede, è pronta. Parleremo per più tempo di quello concordato, e di molti temi.

Presidente Meloni, siamo a Washington. Si è conclusa la sua visita qui a Washington, negli Stati Uniti. Una visita che è andata molto bene e si è conclusa addirittura con una dichiarazione congiunta: un risultato diplomatico notevolissimo. Dieci mesi fa, però, il presidente Biden, il giorno della sua elezione, era stato un po’ scettico. Mi dice che cosa è successo in questi dieci mesi per portare a questo risultato?

È successo, banalmente, che io ero, diciamo, anticipata da una propaganda falsa che aveva raccontato l'ipotesi di un governo a guida centrodestra, a guida Meloni, come un disastro sul piano della tenuta dei rapporti internazionali, sul piano della tenuta economica per l'Italia, sul piano, diciamo così, della tenuta delle istituzioni e della nazione. Poi però nella realtà, quando non si può più mistificare - perché i fatti contano più del racconto che si fa di quei fatti - quello che è emerso è che l'ipotesi di un governo a guida centrodestra con Giorgia Meloni Presidente del Consiglio era l'ipotesi di un governo serio, di un governo che sa stare nei contesti multilaterali, di un governo affidabile, credibile, che pone con determinazione il tema dei suoi interessi nazionali senza dimenticare l'interesse nazionale degli altri. È l'unico modo serio per gestire la politica internazionale: chiedersi sempre quale sia l'interesse del proprio interlocutore e dove gli interessi, diciamo, diversi che si hanno possono convergere, che è quello che io ho fatto. Pongo delle questioni che sono di interesse per l'Italia ma cercando anche i punti di convergenza con interessi che possono essere degli altri. Quando noi, ad esempio, oggi poniamo nei contesti internazionali - penso all'Europa, penso appunto al rapporto con gli Stati Uniti - il tema del Mediterraneo o dell'Africa, questo è un tema che non riguarda solamente l'Italia ma che riguarda il ruolo dell'Occidente in una parte fondamentale dello scacchiere internazionale. E quindi la gente, cioè gli altri, i nostri partner, ci ascoltano e scoprono che siamo seri, affidabili, credibili e determinati a difendere i nostri interessi. E quindi abbiamo costruito, diciamo, rapporti che poi si solidificano anche nella dimensione personale, insomma nella capacità - e forse io sono anche aiutata dal fatto di parlare direttamente le lingue e quindi da un’umanità, questo dà un'immediatezza nei rapporti interpersonali, perché poi la politica è fatta di persone, che ha sicuramente aiutato – e credo che non sia stato difficile alla fine, diciamo, smontare la narrativa che era stata fatta.

 

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Ha parlato dell'Africa. È stato uno dei temi al centro - il Mediterraneo e l’Africa - della conversazione che ha avuto con il presidente Biden. Gli altri temi sono stati evidentemente la guerra in Ucraina, la NATO, l'Europa che, con la guerra in Ucraina, ha riavuto centralità. Una centralità che probabilmente non avrebbe voluto ma che poi in politica è necessaria, anche quando le cose si fanno complesse come appunto nel caso della guerra in Ucraina. Mi dice che cosa l'ha colpita del ruolo che gli Stati Uniti pensano debba avere l'Italia in tutto questo scenario?

Mi colpisce il ruolo che gli Stati Uniti pensano che l'Italia debba avere nel Mediterraneo. Cioè esattamente è quello che penso io. Io penso che il Mediterraneo debba tornare a essere centrale. Penso che nel conflitto in atto noi stiamo perdendo di vista o finora abbiamo perso di vista il ruolo, come dicevo, di un pezzo fondamentale di questa scacchiera che è l'Africa, perché come sappiamo l'Africa è un continente tutt'altro che povero. È un continente ricco di materie prime, di materie prime strategiche, su cui altri attori stanno avendo un ruolo molto importante e noi non ci siamo resi conto che questo faceva parte del gioco complessivo. Io non ho avuto difficoltà a spiegare questo problema e chiaramente lo sappiamo fare noi italiani perché essendo, diciamo, i principali dirimpettai dell'Africa conosciamo molto bene il continente e abbiamo anche una maggiore capacità di, così, di dialogare con loro. Io tento di spiegare all'Occidente che, per esempio, un certo approccio paternalistico che noi abbiamo avuto in passato - di quelli che sono più bravi a darti consigli di quanto non siano a darti una mano -, oggi non è più competitivo perché ci sono altri attori che arrivano con, diciamo, altri argomenti. Ma questo è un interesse che riguarda noi, cioè il nostro ruolo nel mondo che interessa particolarmente l'Italia per una serie di ragioni che non riguardano solo la migrazione. Lei sa del piano Mattei per l'Africa: il piano Mattei per l'Africa è come trasformi una crisi in un'opportunità. Perché le crisi hanno sempre un'opportunità al loro interno. Io continuo a dire, se oggi l'Europa ha un grande problema con l'approvvigionamento energetico, non può guardare a est, e quindi dove guarda? Deve guardare a sud. A sud l'Africa è un potenziale enorme produttore di energia. Perché l'Italia è interessata? Perché noi siamo la porta d'ingresso e possiamo diventare l'hub di approvvigionamento energetico d'Europa. Ma questo vuol dire portare investimenti in Africa, vuol dire aiutare i paesi africani in una cooperazione strategica che non è più “one shot”, cioè che non è “arrivo e faccio finta che ti voglio dare una mano o cerco di darti una mano”. È legare i propri destini su una cosa che è utile per tutti: per loro vuol dire sviluppo, per loro vuol dire posti di lavoro, vuol dire combattere anche l'immigrazione illegale perché è l'unico modo serio e strutturale per farlo è offrire alternative a chi scappa dalle proprie case e dal proprio Paese. E tiene insieme tutto. Quando tu spieghi dei progetti strategici, gli interlocutori che hanno, diciamo, visione ti ascoltano volentieri e magari sono disposti a darti una mano. E mi pare che ci sia voglia di dare una mano su un elemento, su cui noi abbiamo acceso l’attenzione, sia in Europa che negli Stati Uniti, ma su quale convergono anche gli interessi di tutti i nostri interlocutori.

US President Joe Biden (R) looks on as Italian Prime Minister Giorgia Meloni speaks during a meeting in the Oval Office of the White House in Washington, DC, on July 27, 2023. (Photo by Brendan SMIALOWSKI / AFP) (Photo by BRENDAN SMIALOWSKI/AFP via Getty Images)

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Quindi ha notato da parte del presidente Biden, e in generale negli Stati Uniti, rispetto a un decennio o forse un ventennio in cui gli Stati Uniti hanno un po’ dimenticato l'Africa - tanto che Cina e Russia hanno aumentato di molto la loro sfera di influenza- , invece, un rinnovato interesse anche grazie al fatto che l'Europa, e l'Italia in particolare , la porta alla attenzione oggi?

Assolutamente sì. Io ho notato una consapevolezza di un tema che, appunto, spiego o cerco di spiegare con dovizia di particolari in ogni contesto multilaterale - l'ho fatto al vertice Nato, l'ho fatto al G7, l'ho fatto al Consiglio Europeo - ma mi pare di riconoscere anche la consapevolezza che l'Italia può giocare in questo un ruolo, come posso dire, di portavoce, di leadership, di guida spero proprio per la capacità che ha anche di capire, diciamo, il punto di vista dei Paesi africani. Probabilmente senza il ruolo che l'Italia ha avuto sarebbe stato più difficile raggiungere l'accordo che è stato raggiunto tra Tunisia e Unione europea. Non solo, diciamo, per l'approccio tunisino ma anche per quello che l'Unione Europea aveva e che era all'inizio un po’ diverso da quello che noi abbiamo promosso, cioè un approccio pragmatico, capire anche quali sono i rischi che si corrono, quali sono le alternative in campo. E questo è un lavoro che abbiamo fatto noi e alla fine mi pare, cioè che abbiamo iniziato noi, e alla fine mi pare abbia portato i propri risultati. La conferenza sulle migrazioni, un'altra iniziativa sulla quale anche gli Stati Uniti sono stati molto interessati, ci hanno fatto i complimenti. Insomma, ritengono che possa essere molto utile mettere insieme tutti i Paesi del Mediterraneo allargato - quindi non solamente Paesi africani, Unione europea ma anche i Paesi arabi - nel ragionare insieme su come si fermano i flussi. Perché poi, purtroppo, attraverso le reti di trafficanti – chi conosce la materia sa - che non corre solamente, diciamo, la mercificazione degli esseri umani, dei migranti. Spesso le stesse organizzazioni organizzano tratte di droga, di organi, di esseri umani. E quel potere che queste organizzazioni criminali stanno assumendo si rivolta anche contro gli Stati, contro la loro stabilità, particolarmente in Africa. Quindi tutto diventa, in una guerra che è sempre più ibrida, un problema che noi dobbiamo focalizzare. Questo, quindi, riguarda l'Alleanza Atlantica per esempio, riguarda i nostri partner, riguarda noi, riguarda i Paesi europei. Ma, ripeto, è un approccio che - per carità - noi abbiamo posto per primi con questa, diciamo, decisione ma che alla fine mi pare stia passando nelle risposte.

Parlando delle alleanze e delle visioni strategiche: Lei è stata molto chiara dicendo che l'Italia è partner degli Stati Uniti e ovviamente si rifà a un'alleanza storica con l'Occidente. Questo evidentemente è un messaggio anche per Pechino. Lei ha detto, però, anche che Pechino è, altrettanto, un partner importante e vuole incontrare la leadership cinese. Possono stare insieme queste due cose o è difficile?

Certo che possono stare insieme. È importante riuscire a farle stare insieme. Delle volte io leggo delle semplificazioni in politica estera che non sono utili. Cioè, questa idea della politica estera per la quale noi dobbiamo parlare solamente con quelli che sono proprio identici noi e che dobbiamo stare seduti come se fossimo un club a guidare il mondo, temo che sia perdente. La base della politica estera è riuscire a parlare con tutti, difendendo i propri interessi, capendo quali sono i limiti e dicendo le cose con chiarezza.  Perché ovviamente qualcosa non funziona: per esempio, non ha funzionato in passato nel rapporto con la Cina rispetto al tema delle catene approvvigionamento. Tema sul quale, apro e chiudo parentesi: Direttore, chi mi segue da qualche anno ricorderà che queste materie, quando qualcuno le poneva - cioè controllare le catene approvvigionamento fondamentali - venivano bollate come “tardo tentativo autarchico” . In realtà non era così: non era “l'autarchia”, questi slogan che piacciono tanto a certi osservatori e a certi partiti politici. È la lucidità di capire che se tu devolvi completamente le cose strategiche a, diciamo, realtà sulle quali, diciamo, non puoi avere certezze, rischi. E se non controlli le tue catene di approvvigionamento perché diventano troppo lunghe, accade che il primo shock che si materializza dall'altra parte del mondo coinvolge anche il tuo sistema. Perché noi lo diciamo oggi con il tema energetico dopo la guerra e l’invasione della Russia, ma lei ricorderà che quando ci fu la pandemia e noi avevamo appaltato completamente all'Asia tutta la materia della produzione dei chip e dei semiconduttori e la Cina ha deciso di privilegiare il mercato interno perché aveva le sue difficoltà, a noi si sono fermate intere catene approvvigionamento 

 

E non sono ripartite del tutto poi…

E non sono ripartite del tutto. Adesso l'Europa è corsa ai ripari con il Chips Act eccetera, ma qualcuno tentava di segnalare dall'alto della “sua impresentabile autarchia” questi temi da qualche tempo. Noi abbiamo oggi questo problema, cioè eravamo convinti che la globalizzazione e il libero mercato senza regole avrebbe risolto tutti i nostri problemi, democratizzato i processi, distribuito la ricchezza e non è andata così. È andata che noi ci siamo indeboliti perché controlliamo ormai quasi nulla, perché non controlliamo le nostre cose strategiche. Gli altri hanno guadagnato campo nel mondo ma non si sono democratizzati. Loro si sono rafforzati, noi ci siamo indeboliti. Oggi bisogna sicuramente ripensare questo modello. E come si ripensa questo modello: la prima regola è che il mercato non può essere libero, se non è anche equo. Perché altrimenti noi rischiamo di devastare, diciamo, il nostro sistema economico e industriale perché i nostri standard sono alti, quando gli altri non hanno gli stessi standard alti. È un tema che non vuol dire ovviamente muovere guerra a nessuno, che non vuol dire decoupling ma che vuol dire de-risking, cioè abbassare il rischio nella definizione delle proprie catene di approvvigionamento. Oggi è un tema da G7, da Consiglio europeo, è un tema da dialogo bilaterale con gli Stati Uniti, è un tema che noi porteremo alla Presidenza del G7 - in continuità con quello che è già stato fatto in Giappone - ma è un dibattito che va fatto insieme alla Cina. Non va fatto contro la Cina. E che va fatto da, diciamo, persone che dialogano ma che devono ovviamente ciascuna lavorare per il proprio interesse insomma poi…

 

Anche in questo caso è una crisi che ha portato a un'opportunità…

Certo. Diciamo che in questo caso forse non serviva proprio la crisi per arrivarci, qualcuno c'era arrivato anche senza dover affrontare le difficoltà che noi siamo affrontando all'indomani della crisi ma meglio tardi che mai. Certo, sicuramente. Quello che è accaduto negli ultimi anni - la lettura della crisi che dà Papa Francesco, insomma, è sempre la mia preferita - la crisi è alla fine un'occasione perché impone di scegliere, che è la base della politica ed è quello che la politica deve fare: scegliere. E oggi se la politica è chiamata a fare delle scelte è anche perché ci sono state delle crisi. Abbiamo avuto dei periodi nei quali ci siamo potuti prendere il lusso di non scegliere, di non assumerci delle responsabilità - non io direttamente ma, insomma, la politica - oggi non è più così ed è un bene. 

 

Ha parlato anche di questo e di questi temi con Kissinger? C'è stato un incontro molto lungo.

Sì, abbiamo parlato di questo e di molto altro come di intelligenza artificiale, altra questione sulla quale, diciamo, io sono molto attenta. Materia che ho portato anche già, appunto, al G7 in Giappone, che porterò al G7 a guida italiana il prossimo anno, che ho portato anche al Consiglio d'Europa dove si tratta di diritti, perché probabilmente noi non ci stiamo rendendo conto dei rischi che stiamo correndo. Se facessimo lo stesso errore che abbiamo fatto con la globalizzazione, cioè lasciar correre e poi trovarci a rincorrere, in questo caso l'impatto potrebbe essere irrecuperabile.

 

Ma in questo lei è più timorosa delle conseguenze o vede anche l'opportunità, in questa grande tecnologia?

Io, allo stato, sono più timorosa per le conseguenze. Perché quello che vedo io è che, mentre noi abbiamo sempre avuto diciamo un progresso che bene o male serviva a migliorare le nostre competenze, che alla fine era al servizio dell'uomo ma non è mai stata in discussione la centralità dell'uomo. Quando le macchine arrivano a pensare, tu capisci che il progresso rischia di diventare un sostituto dell’uomo. E questo deve fare paura. Deve fare paura per l'impatto che può avere nel mercato del lavoro, per esempio. Nel mercato del lavoro può avere un impatto devastante. Non puoi non governare un processo del genere. E siccome il processo corre molto più velocemente dei tempi che le scelte politiche hanno soprattutto a livello multilaterale - ma questa non è una materia che si può governare a livello di Stato nazionale, è una materia che si deve governare a un livello molto più ampio - c’è da stare preoccupati e penso che non si possa perdere tempo su questa materia. Che vuol dire esplorare la realtà di una materia estremamente complessa. Ecco Kissinger offre da questo punto di vista molti spunti intelligenti, lui sta lavorando molto con i massimi esperti del settore perché la materia chiaramente è complessa e non è la nostra materia, quindi anche per noi diventa difficile capire quali sono le frontiere verso le quali questo mondo ci porta e agire di conseguenza anche, dove è necessario, governando il sistema e mettendo le limitazioni che sono necessarie. 

 

Lei vede un intervento degli Stati, delle organizzazioni internazionali?

Io vedo un intervento degli stati e delle organizzazioni internazionali e spero che siamo d'accordo sul fatto che, diciamo, al centro del nostro mondo dovrebbe rimanere l'essere umano. 

 

Sarà interessante capire come questo Paese, che il Paese in cui tutte le tecnologie più importanti degli ultimi decenni sono nate - anche l'intelligenza artificiale - reagirà e che cosa deciderà di fare.

Questo è ovviamente molto importante e molto interessante però io credo che anche quel coloro che, insomma diciamo, sono stati i pionieri in questa materia a un certo punto abbiano cominciato a rendersi conto. Elon Musk ne è un esempio, io ho parlato a lungo con Elon Musk del tema dell'intelligenza artificiale e diciamo che non ha contribuito a tranquillizzarmi perché come lei sa, conoscendo meglio di noi la materia…

 

Ne vede molto vicino i rischi…

È anche lui molto critico, molto preoccupato, ne vede da vicino rischi quindi questa materia è secondo me una materia che sembra oggi la questione filosofica ma non lo è…

 

È la questione decisiva.

Esatto.

 

Le chiedo, invece, una cosa più legata alla politica americana. Lei è stata definita un'amica, con grande trasporto dal presidente Biden, poi le hanno fatto una domanda in conferenza stampa e lei ha detto che, però, idealmente si sente più vicina al partito repubblicano. Quattro anni fa ha partecipato anche a dei momenti importanti della campagna elettorale del presidente Trump. Siamo già in campagna elettorale negli Stati Uniti. Come sarà mantenere questo equilibrio tra le necessità del dialogo governativo e un'ideale che la spinge da un'altra parte?

Sono due materie molto diverse, ovviamente. Questo è, diciamo, un altro caso in cui la politica estera secondo me delle volte si legge in modo un po’ superficiale. Cioè anche qui, qualcuno ritiene davvero che quando si guida una nazione si possa parlare solamente con i propri omologhi che hanno le stesse idee? Sarebbe devastante per la politica estera della nazione che si rappresenta. E quindi torno al punto: bisogna saper parlare con tutti e saper comprendere quali sono gli interessi per i quali gli altri si muovono.  Ma, vede, la politica e la dimensione del governo dello Stato sono due cose diverse. Perché quando tu rappresenti la nazione e parli con un tuo omologo, quello che muove è unicamente la difesa dell'interesse nazionale, certo, su una base di una visione. Perché io guido l'Italia sulla base della mia visione conservatrice e quindi faccio le scelte che devo fare. Ma ovviamente questo mi porta a parlare con tutti, ad avere rispetto del punto di vista degli altri e a cercare ovviamente quelli che possono essere i punti di contatto. E io non ho avuto problemi - pur essendo una persona che ha un'identità molto definita e non nasconde quell'identità, la dichiara e ne è orgogliosa - a dialogare con tutti e ad avere buoni rapporti alla fine.  Proprio perché sono una persona che capisce cos'è la politica, che cosa significa avere una visione, che cosa significa credere in qualcosa e rispettare gli altri che credono in qualcosa anche quando il mio punto di vista è diverso. Però se si pensa davvero che le due cose, diciamo, siano la stessa si fa una cosa che è “stupida”, ecco, per come la vedo io nella politica estera. Per cui, da una parte io guido l'Italia e chiaramente difendo gli interessi della mia nazione e faccio del mio meglio per portare a casa dei risultati per la mia nazione -  dialogo con tutti, ho ottimi rapporti devo dire con tutti praticamente, non ho problemi a farmi capire e a cercare di capire gli altri - dall'altra, tutti sanno che cosa rappresento politicamente, io sono anche presidente dei conservatori europei, sanno tutti che farò la mia parte insomma per aiutare la mia famiglia politica, ma è un altro livello della politica. Le due cose non si mischiano e non si devono mischiare perché sarebbe un errore madornale. E chi lo ha fatto - perché in passato è stato fatto nella politica estera italiana, il pensare di poter parlare solamente con quelli che consideri amici, pensare di poter dividere il mondo tra buoni e cattivi, pensare che l'Unione Europea fosse un club nel quale ci sono le nazioni di serie A e le nazioni di serie B - non è l'approccio giusto. E la centralità che l'Italia riesce ad assumere delle volte è proprio per la sua capacità di parlare con tutti. Lo abbiamo visto nell'ultimo Consiglio europeo, dove c'erano da una parte 25 nazioni che sul patto di migrazione e asilo che erano, diciamo, su una posizione, altre due che erano su un'altra posizione e alla fine l'interlocutore che riusciva a dialogare con tutti eravamo noi.

 

Lei tornerà in Italia tra poche ore e troverà un Paese in cui la questione PNRR è stata definita, è arrivata certezza…

La “benedetta” (ride)

 

E anche le modifiche alla quarta rata e troverà anche all'apparenza un'opposizione più dialogante rispetto a qualche settimana fa, qualche mese…

Lei crede?

 

Chiedo a lei: lei ci crede? 

Ehm no, no….

 

Quindi non incontrerà Elly Schlein?

Bè, sono io che ho aperto al dialogo, se lei si riferisce al tema del salario minimo…

 

E anche sulla riforma della giustizia invece con un altro pezzo dell'opposizione.

Io ho fatto l'opposizione, come Lei sa, per tanti anni. Non ho mai avuto problemi a proporre un dialogo, a dialogare, quando alcune cose le condividevo. Questo fatto, diciamo, di buona parte dell'attuale opposizione per cui qualsiasi cosa tu faccia non va bene niente, è un approccio che io considero sbagliato e che anche non è stato il mio. Voglio dire, votammo il taglio del numero dei parlamentari proposto dall'allora Movimento 5 Stelle senza che nessuno neanche ce lo chiedesse. Così come quando c'era il governo Mario Draghi sull’Ucraina, noi abbiamo, diciamo, aiutato il governo perché era anche la nostra posizione. Quando io vedo un approccio da parte dell'opposizione che non è pregiudiziale - è stato il caso per esempio dell'appello che ha fatto Carlo Calenda sul salario minimo - poiché il tema del salario minimo chiaramente io capisco, cioè si figuri se io e noi che abbiamo abbassato di 6 punti il cuneo contributivo per i redditi fino a 35.000 € e di 7 punti fino a 25.000 €, si figuri se non è un tema per me sensibile quello di garantire salari adeguati. Ho detto e ribadisco che il dubbio che io ho sul tema del salario minimo per legge in una nazione che ha un'altissima quota di contrattazione sindacale possa diventare un parametro sostitutivo e non aggiuntivo. Siccome è difficile mettere, diciamo, un salario minimo più alto di buona parte di quelli che sono oggi i contratti rischiamo di arrivare a un livellamento verso il basso. Questo è il dubbio che ho. Ma, siccome ovviamente è un tema che interessa anche a me quello di aiutare i salari degli italiani, se ci sono soluzioni possibili su una materia del genere sono disponibile e aperta a parlarne. Perché ho visto una parte dell'opposizione che non faceva una battaglia pregiudiziale su questo e che cercava un dialogo e penso sia giusto darlo, indipendentemente dal fatto che poi si trovi una soluzione condivisa. Ma è importante, è la democrazia parlamentare. Io l'ho fatta per tanti anni e ne ho grande rispetto. Per cui spero sempre di trovare un'opposizione dialogante, anche se guardi, io sono stata all'opposizione e non sono stata, diciamo, un membro dell'opposizione che la mandava a dire, io ho fatto anche una opposizione anche molto dura, rispetto l'opposizione anche quando viene fatta in modo duro e non mi spaventa e non mi crea problemi, penso che ognuno debba fare bene il suo lavoro insomma - poi mi può diciamo più dispiacere ecco il fatto che anche proprio sulle cose che vanno proprio bene loro devono trovare la cosa che ecco… questo lo trovo un approccio non produttivo, anche per l'opposizione. 

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