
Crisi governo, oggi voto di fiducia al Senato: Draghi in Aula alle 9:30. Il programma
Dopo l’intervento del premier ci sarà la discussione generale, la presentazione di risoluzioni di fiducia e infine il voto con chiama uninominale. Diversi gli scenari che possono aprirsi

Mercoledì 20 luglio, sarà una giornata cruciale per il futuro del governo Draghi. Si voterà, infatti, la fiducia all’esecutivo
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Il presidente di Montecitorio Roberto Fico ha chiarito alla Conferenza dei capigruppo che, a fronte di un rinvio alle Camere da parte del presidente della Repubblica, quelle che terrà Draghi mercoledì in Parlamento saranno "comunicazioni fiduciarie"
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Ci sarà, quindi, l’intervento del presidente del Consiglio, poi la discussione generale, la presentazione di risoluzioni di fiducia e infine il voto con chiama uninominale
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Le comunicazioni del presidente del Consiglio e il successivo dibattito sulla fiducia con il voto partiranno dunque da Palazzo Madama. A stabilirlo è stato un accordo tra i presidenti del Senato Elisabetta Casellati e della Camera Roberto Fico
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Draghi, quindi, parlerà prima al Senato e poi depositerà il testo del discorso alla Camera, dove invece si recherà giovedì 21 alle ore 9. Sarà l’Aula di Palazzo Madama ad esprimersi per prima sulla fiducia
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Nelle scorse ore c’è stato qualche dubbio su quale dei due rami del Parlamento avrebbe ospitato per primo Draghi. Poi, come detto, è stato scelto il Senato. Una decisione presa anche in base alla prassi secondo cui le comunicazioni vengono rese nel ramo in cui il governo ha ottenuto la prima volta la fiducia e dove si sono manifestate le condizioni che hanno portato all'apertura della crisi

Il centrosinistra, invece, aveva chiesto che si partisse da Montecitorio, sostenendo che lì, con il non voto del M5S nella votazione finale al decreto Aiuti, si sia aperta politicamente la crisi. Una posizione che era stata appoggiata anche da Davide Crippa, capogruppo del M5S alla Camera, e che è stata criticata durante l’assemblea congiunta dei Parlamentari pentastellati

Diversa la valutazione di Casellati e Fico, che hanno ritenuto il Senato la “culla” del dibattito sulla fiducia. Anche nella nota del Quirinale di giovedì scorso, comunque, si faceva riferimento alla situazione al Senato: "Il presidente della Repubblica non ha accolto le dimissioni e ha invitato il presidente del Consiglio a presentarsi al Parlamento per rendere comunicazioni, affinché si effettui, nella sede propria, una valutazione della situazione che si è determinata a seguito degli esiti della seduta svoltasi oggi presso il Senato della Repubblica”

Si parte, quindi, dal Senato, dove i parlamentari 5 Stelle esprimono l'ala dura e pura del Movimento, quella che vuole l'uscita dal governo. Come recita l'articolo 94 della Costituzione, “il governo deve avere la fiducia delle due Camere. Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale”. Prima i senatori e poi i deputati, al momento della "chiama" del proprio nome, dovranno quindi sfilare uno per uno sotto il banco della presidenza e dire ad alta voce "sì" oppure "no" alla fiducia

Il governo, anche senza il M5S, avrebbe i numeri per ottenere la fiducia in Parlamento. Il Movimento, comunque, appare ancora diviso sulla linea da tenere. C’è poi l’incognita del centrodestra, con Salvini e Berlusconi che hanno fatto sapere di non voler continuare a governare coi pentastellati. In ogni caso, bisogna vedere cosa dirà Draghi, se deciderà di ritirare le dimissioni e continuare alla guida dell’esecutivo

Dopo il voto al Senato e alla Camera, Draghi dovrebbe salire al Colle per riferire l'esito del voto: a quel punto potrebbe ritirare le sue dimissioni, presentate a Mattarella una settimana fa, oppure confermarle. Gli scenari sono diversi. Se il M5S deciderà di appoggiare il governo, il premier non si dimetterebbe. Se il M5S si spaccherà, Draghi - che ha sempre detto di non considerare un governo senza 5S - potrebbe decidere di rimanere visto il pressing di questi giorni

Più difficile che Draghi rimanga, poi, se il M5S voterà compatto contro la fiducia. I numeri per governare ci sarebbero lo stesso, a meno che la Lega e Forza Italia non decidano di sfilarsi dalla maggioranza per andare alle urne. Il premier, in ogni caso, potrebbe decidere di consegnare a Mattarella dimissioni "irrevocabili": si aprirebbe, così, la crisi, con il presidente della Repubblica che dovrebbe avviare le consultazioni. Si andrebbe poi con ogni probabilità verso le elezioni a settembre-ottobre