Riforma Giustizia, il Csm: "Da norma su improcedibilità drammatiche ricadute sui processi"
PoliticaLa sesta commissione ha dato il suo parere sul sistema delineato con la riforma del processo penale e della prescrizione: potrebbero essere "rilevanti e drammatiche", si spiega, le "ricadute pratiche" delle misure previste sull'improcedibilità. Il parere sarà discusso in plenum giovedì 29 luglio
La sesta commissione del Csm ha dato parere negativo su alcuni aspetti della riforma della giustizia. Secondo la stessa commissione, potrebbero essere "rilevanti e drammatiche" le "ricadute pratiche" della norma sull'improcedibilità contenuta nella riforma del processo penale e della prescrizione. E la ragione è "la rilevante situazione di criticità di molte delle Corti d'appello italiane". Il Csm, in particolare, fa presente che i due anni fissati per la durata massima del giudizio di appello, oltre cui scatta l'improcedibilità, "sono largamente inferiori a quelli medi" che "oscillano dai 4 ai 5 anni". Il parere, che sarà discusso in plenum giovedì 29 luglio, è che il sistema delineato con gli emendamenti del governo al ddl penale pecchi di una "irrazionalità complessiva".
Il parere del Csm
Secondo la commissione, anche se si prende a riferimento il 2019, "si evince che, almeno in un terzo dei distretti, i tempi medi di definizione del processo sono inferiori a due anni. Nei rimanenti distretti si registrano tempi di definizione superiori a due anni, con picchi molto elevati nei distretti di Napoli (2031 giorni), Reggio Calabria (1645 giorni), Catania (1247 giorni), Roma, (1142 giorni), Lecce (1111 giorni), Sassari (1028 giorni), Venezia (996 giorni)". Per questo i consiglieri ritengono "indispensabile", se si volesse comunque mantenere l'improcedibilità, "considerare quanto meno termini più ampi, pari almeno a tre anni, congruamente prorogabili (ad esempio fino ad un biennio), in modo da allineare la previsione normativa al dato reale registrato in molte realtà giudiziarie territoriali".
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I dubbi
Al di là degli effetti pratici, per la sesta commissione, l'improcedibilità è di "dubbia compatibilità" con più principi del nostro ordinamento. È "in frizione con il principio di obbligatorietà dell'azione penale", perché "implica una ingiustificata e irrazionale rinuncia dello Stato al dovere di accertamento dei fatti e delle eventuali responsabilità sul piano penale, rispetto a un reato certamente non estinto". E "notevoli perplessità emergono anche sul piano del rispetto del principio di uguaglianza", perché la improcedibilità, spiega sempre la commissione, si applica senza tener conto né dell'effettiva durata del processo di primo grado, né della complessità degli accertamenti richiesti e della gravità dei fatti.
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Inoltre, tra i rilievi mossi dalla Sesta Commissione del Csm nel parere sulla riforma, si fa presente che la norma che affida al Parlamento i criteri generali di priorità dell'esercizio dell'azione penale è in "possibile contrasto con l'attuale assetto dei rapporti tra i poteri dello Stato". L'individuazione dei reati che i magistrati dovranno perseguire "rispecchierà, inevitabilmente e fisiologicamente, le maggioranze politiche del momento", osservano i consiglieri, formulando su questa scelta anche rilievi di tipo pratico.