Diversi ortodossi, dal grande ex Alessandro Di Battista ai senatori Nicola Morra, Barbara Lezzi e Emanuele Dessì, chiedono di dire no al nuovo esecutivo. Sotto accusa il quesito posto su Rousseau. Lezzi chiede un nuovo voto: “Se non si rivotasse non mi sentirei vincolata, dato che il quesito era erroneo”. Dessì: “Potrei non votare contro se ci schierassimo per l'astensione”. Crimi minaccia l’espulsione per chi non si adeguerà alla volontà espressa dagli attivisti
Continuano le tensioni nel Movimento 5 Stelle, che si avvia al voto di fiducia al governo Draghi diviso (GLI AGGIORNAMENTI LIVE SUL NUOVO GOVERNO). Diversi ortodossi, dal grande ex Alessandro Di Battista ai senatori Nicola Morra, Barbara Lezzi e Emanuele Dessì, chiedono di votare no al nuovo esecutivo. Sotto accusa finisce il quesito posto su Rousseau: “È un inganno, il super-ministero alla Transizione ecologica citato non esiste", dicono. La fronda potrebbe finire in un paradosso: votare no a Draghi violando quel voto sulla Rete che, per i dissidenti e per Davide Casaleggio, è l'eterna stella polare. Ma l'Opa dei "contras" potrebbe non essere solo parlamentare. "Vogliono prendersi il Movimento", accusa un esponente dell'ala governista. Sotto accusa è finito l'intero direttivo a Palazzo Madama, a cominciare dal capogruppo Ettore Licheri.
Le tensioni nel M5S sul governo Draghi
In particolare, una parte del M5S chiede la testa di chi ha condotto le trattative per il nuovo governo, anche se Vito Crimi ha spiegato che Draghi ha lasciato uno spazio quasi inesistente alle scelte dei partiti per i ministeri. Sul dicastero del Sud finito nelle mani di Mara Carfagna gli ortodossi gridano vendetta. E anche il fisico Roberto Cingolani, che secondo i vertici del M5S è stato voluto da Beppe Grillo, finisce sotto accusa. Sarebbero una ventina - se non 39 su 92 - gli eletti che a Palazzo Madama sarebbero orientati sul no alla fiducia. Un numero maggiore, secondo fonti qualificate quasi la metà del gruppo, se si calcolano anche i senatori orientati ad astenersi. Il capo politico Crimi, secondo quanto si è appreso, ha spiegato che chi voterà in modo difforme rispetto alla volontà manifestata dalla maggioranza degli attivisti su Rousseau verrà espulso. Ma di fronte a una fronda sempre più consistente si sta cercando una mediazione per non arrivare a mercoledì - giorno in cui Draghi presenterà il suo programma in Senato - spaccati.
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Il no dei senatori Dessì, Morra e Lezzi
Il senatore Dessì, da sempre considerato un mediatore, si è schierato apertamente sul fronte contrario al governo. "Se le cose dovessero rimanere così, voterò no", ha detto in un'intervista a La Stampa. Anche se ha riconosciuto di avere “paura dell'espulsione”, allo stesso tempo ha spiegato di non poter "pensare di perdere la mia dignità politica. Dispiace, ma non riconosco più, in alcuni nostri dirigenti, lo spirito del Movimento. Potrei non votare contro se ci schierassimo per l'astensione”. Ore prima era intervenuto anche Morra: "Non posso accettare di poter avere fiducia in un governo che mi sembra essere Jurassic Park, con il recupero di mostri che hanno popolato il passato. Il M5S deve tornare a essere una forza a difesa dei valori per cui è nato. Altrimenti sfiorirà". Lezzi, dal canto suo, guida una sorta di class action di decine di attivisti per chiedere, in una mail inviata a Grillo, Vito Crimi e al Comitato di Garanzia, che si rivoti su Rousseau. "Il quesito parlava del superministero. Gli iscritti hanno votato su altro, quindi la consultazione va ripetuta. Lo Statuto lo consente, entro cinque giorni dalla precedente votazione. Se non si rivotasse non mi sentirei vincolata, dato che il quesito era erroneo", ha detto. Anche lei, in un'intervista al Fatto quotidiano, ipotizza: "Possiamo sempre optare per l'astensione e i ministri possono fare un passo di lato. Il governo partirebbe e noi lo valuteremmo su ogni provvedimento, potendo incidere. In questo esecutivo siamo minoranza, non abbiamo peso".
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Malumore anche a Montecitorio
Intanto, il malcontento si allarga e i dubbi sul governo Draghi crescono. "Al Senato ne perdiamo la metà", è la fosca previsione di un deputato. Ma anche a Montecitorio il malumore è tangibile. Giuseppe D'Ambrosio, deputato alla seconda legislatura, ha annunciato di lasciare il Movimento: "Io non dimentico chi sono", è stato il suo messaggio d'addio. Anche un esponente vicino a Roberto Fico come Giuseppe Brescia, non nasconde i suoi dubbi sul nuovo esecutivo. Senza contare i "dibattistiani" alla Camera, da Alvise Maniero a Pino Cabras, con un piede già fuori dal gruppo.
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Grillo invita a "una transizione cerebrale"
I vertici, per ora, tengono il punto. E, soprattutto, tiene il punto Beppe Grillo. "Da oggi si deve scegliere. O di qua, o di là. Scegliere le idee del secolo che è finito nel 1999 oppure quelle del secolo che finirà nel 2099", ha scritto il Garante, invitando i suoi a "una transizione cerebrale". Anche Roberta Lombardi, membro del Comitato di Garanzia, ha provato a frenare la slavina. "Io avrei voluto il Conte Ter. Ma anche il Conte Bis mi andava bene. Ma dobbiamo giocare con le carte che abbiamo in mano", ha scritto in un post. Poi c'è Luigi Di Maio, riferimento dell'ala governista e sempre più lontano da Di Battista. Intanto, la settimana prossima c'è anche il voto sulla governance a 5, che potrebbe finire in buona parte nelle mani dei “contras”.