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Corte Costituzionale, la firma storica di tre donne sulla sentenza del Jobs Act

Politica

Sono la presidente Marta Cartabia, la giudice relatrice Silvana Sciarra e la cancelliera Filomena Perrone. È la prima volta che questo avviene in un atto della Consulta

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La sentenza n.150 depositata dalla Corte Costituzionale sul Jobs Act è firmata, per la prima volta nella storia, da tre donne: sono la presidente Marta Cartabia, la giudice relatrice Silvana Sciarra e la cancelliera Filomena Perrone. Si tratta della prima volta che questo avviene in un atto della Consulta. Con la sentenza tutta al femminile di oggi, i giudici costituzionali hanno bocciato la norma contenuta nel Jobs act che ancorava alla sola anzianità di servizio l'indennità di licenziamento illegittimo per vizi formali.

Le motiviazioni della sentenza

Il "criterio di commisurazione dell'indennità da corrispondere per i licenziamenti viziati sotto il profilo formale o procedurale, ancorato in via esclusiva all'anzianità di servizio, non fa che accentuare la marginalità dei vizi formali e procedurali e ne svaluta ancora  più la funzione di garanzia di fondamentali valori di civiltà giuridica, orientati alla tutela della dignità della persona del lavoratore", si legge nella sentenza. Soprattutto nei casi di anzianità modesta, "si riducono in modo apprezzabile sia la funzione compensativa sia l'efficacia deterrente della tutela indennitaria". Con la sentenza n. 150, la Corte costituzionale ha accolto le questioni sollevate dai Tribunali di Bari e di Roma sul carattere rigido e uniforme dell'indennità, ancorato alla mera anzianità di servizio (le censure non si soffermavano sui limiti minimo e massimo della stessa, stabiliti dal legislatore).

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Ieri la nomina di Margherita Cassano alla Cassazione

La notizia arriva a un giorno di distanza dalla nomina, anche questa epocale, del primo presidente aggiunto donna della Corte di Cassazione. Margherita Cassano, 55 anni (CHI È), mercoledì 15 è stata votata dai colleghi del Consiglio Superiore della Magistratura. La proposta del suo nome era arrivata all'unanimità dalla Commissione direttivi. 

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