Quirinale, Marini non passa. Bersani: “Ora fase nuova”

Politica

Nulla di fatto nel primo giorno di votazioni per il nuovo Presidente. Dopo la spaccatura il Pd convoca un’assemblea e chiede il rinvio della quarta votazione. Ma il Pdl non ci sta. Grillo insiste per Rodotà: “Arrendetevi”. Berlusconi contestato a Udine

Dopo il primo giorno di votazioni, un presidente della Repubblica ancora non c'è. La candidatura di Franco Marini al Colle si arena poco prima delle 14.30 del 18 aprile quando la presidente della Camera Laura Boldrini legge il 'verdetto' dei 1007 grandi elettori: 521 voti contro gli almeno 672 necessari per essere eletti al Quirinale con i due terzi del Parlamento in seduta comune. E' una doccia fredda sulle speranze di una presidenza all'insegna della convergenza di Pdl, Lega, Fdi e Sc sul candidato del Pd. Mentre Sel e M5S lanciano Stefano Rodotà che ottiene 240 preferenze, proprio il Pd, come evidenziato nell'assemblea dei parlamentari, si spacca. Lo dimostrano i voti a favore di Sergio Chiamparino (41) oltreché di Romano Prodi (14) mentre 12 voti vanno a Massimo D'Alema e 7 ad Anna Finocchiaro. Il nome di Marini viene definitivamente travolto da una valanga di schede bianche nel secondo scrutinio. Fuori da Montecitorio piccoli gruppi manifestano per tutto il giorno.

Bersani: “Ora fase nuova” - Pier Luigi Bersani archivia dunque Marini (che tuttavia non si ritira, supportato dal Pdl) e, dopo la spaccatura profonda del Pd dice: "Bisogna prendere atto di una fase nuova. Tocca al Pd la responsabilità di avanzare una nuova proposta a tutto il Parlamento", rilancia. I democrat sono convocati per la mattina di venerdì 19 aprile con l'idea di cercare una convergenza sul nome di D'Alema o su quello di Prodi, favorito dei renziani e alternativo allo schema delle larghe intese. Per uscire dal tunnel il vertice del Pd decide di puntare su 'primarie' tra i suoi Grandi Elettori che - dopo lo psicodramma te al cinema 'Capranica' - riattivi il circuito della 'democrazia' interna e metta il Pdl di fronte a una scelta (D'Alema o Prodi, o anche giuristi e professori come Gallo o Cassese).



Renzi: “L’obiettivo non era fa fuori Marini” - Quella del 18 aprile è anche la giornata del trionfo di Matteo Renzi, che in serata arriva in treno a Roma per gestire il finale di partita, dopo aver dimostrato a Bersani che è difficile fare un Capo dello Stato (e anche un governo) prescindendo dal peso ormai acquisito nel partito dal 'rottamatore' (VIDEO). Sta per aprirsi una notte di riunioni e trattative, per le correnti del Pd. Non è sfuggita a nessuno, infatti, l'operazione chiusa oggi dal sindaco di Firenze, che ha messo in pista un suo candidato, Sergio Chiamparino, facendo convergere sul suo nome i 41 voti dei renziani nel primo voto, lievitati a 90 nel secondo voto, con una convergenza di 25 parlamentari di Scelta Civica. Voti che Renzi in realtà è intenzionato a far pesare preferendo Prodi a D'Alema. “L'obiettivo non era abbattere Marini ma dare all'Italia un presidente che durerà fino al 2020" dice Renzi che non nega la spaccatura che si è consumata nel Pd.



M5S festeggia, “Rodotà scelta vincente” - Piccola vittoria anche per Beppe Grillo, che mette in rete l'autodafé del Pd con i militanti che bruciano le tessere e imbarazza Bersani, rimarcando il no del Pd a Stefano Rodotà (uomo delle battaglie sui diritti, garante dell'intesa di governo con Sel e M5s) a fronte dell'accordo sul candidato 'scelto' con Berlusconi, Marini. La foto di un abbraccio in Aula tra Bersani ed Alfano fa il resto, ed i grillini hanno gioco facile per gridare all'inciucio.



Berlusconi: “Mai fatto in 20 anni quello che ha fatto il Pd”
- Intanto Silvio Berlusconi si allontana dalla scena delle trattative e del caos e va in Friuli, ad aprire di fatto la campagna elettorale. "Non abbiamo mai fatto in 20 anni ciò che fanno questi signori - arringa la folla nel comizio, dove lo contestano (VIDEO) -. C'era l'intesa su Marini, ma il Pd è diviso da lotte interne. Scaldate i motori perché o c'è un governo forte o meglio votare a giugno". Berlusconi riabbraccia poi Pier Ferdinando Casini: "Mettiamo una pietra sopra al passato", propone al leader Udc. Il Cavaliere, ora che il nome di Marini non è più spendibile, teme che le lacerazioni del Pd portino alla scelta di Romano Prodi, il nome a lui più sgradito.



Scontro sul rinvio della quarta votazione - Venerdì 19 aprile alle dieci si riparte con la terza votazione (certamente non risolutiva) ed il Pd chiede che sia concessa qualche ora in più prima di arrivare alla quarta, quella dove basta la maggioranza semplice di 504 voti per eleggere il Presidente della Repubblica. Ma il Pdl pone un fermo veto al posticipo: se salta l'intesa, non darà agli avversari nuovi spazi di manovra.

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