Tremonti e Berlusconi: se la crisi non è solo economica

Politica
ETTORE FERRARI

Il premier liquida tutto come “chiacchiere al vento”, ma non è la prima volta che i due arrivano ai ferri corti: negli ultimi 16 anni il destino politico del Cavaliere si è incrociato spesso con quello del ministro

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di Filippo Maria Battaglia


"Chiacchiere al vento". Così Berlusconi liquida i presunti scontri, avvenuti nei giorni scorsi con la Lega e, in particolare, con Tremonti: "Non c'è nulla di vero, è tutto inventato".
La smentita arriva dopo una fila serrata di rumor e ricostruzioni, soprattutto in coda alle ultime dichiarazioni dei giorni scorsi. Bossi accelera sul voto e teme l’ennesimo stop al federalismo perché ormai “siamo nella palude romana”; Berlusconi frena, cerca altri deputati, dichiara di voler continuare a governare e chiede nuovi provvedimenti fiscali; Tremonti nicchia, prende tempo e dice che di soldi, in questo momento, non ce n’è, alludendo vagamente a una (per ora fantomatica) ipotesi di crac fiscale anche per l’Italia.
Sullo sfondo, l’ombra di una crisi di governo o quella, altrettanto inquetante per il premier, di elezioni incombenti: due ipotesi che in ogni caso potrebbero mettere il Cavaliere in disparte e, magari, affidare al ministro dell’Economia il ruolo di Richelieu di un governo a trazione leghista.
Uno scenario preso sul serio anche dal Giornale, il quotidiano della famiglia Berlusconi, che con un editoriale di Mario Giordano scrive: "Caro Tremonti, ottimo lavoro, ma adesso non fare il Fini". "Se mai un giorno ti balenasse l'idea di urlare 'che fai, mi cacci?', in faccia a Berlusconi, magari dopo aver pianificato il tentativo di farlo secco - scrive l'ex direttore del quotidiano di via Negri - beh, non dimenticare che la strategia non è mai risultata vincente. Anzi: finora tutti quelli che si sono messi lì a prerparare il dopo-Silvio, si sono trovati, in realtà, a fare i conti con il dopo-se stessi".

Rompicapi, distinguo, nervi tesi. Sembra un déjà vù. In effetti, è già successo.
Sin dall’inizio della "discesa in campo" dell'attuale presidente del Consiglio: è il ‘94 e Tremonti – appena eletto nelle fila di Mariotto Segni – dopo esser passato con Forza Italia e transitato per una manciata di mesi a capo del Ministero delle Finanze diventa per Bossi il “garante del Nord”, anche dopo la lite tra il Senatùr e il Cavaliere.
Non è un caso che qualche tempo dopo sia lui stesso a farli riconciliare, ricomponendo gli stracci volati con la prima crisi di governo. Una mediazione che continua anche quando arriva alla guida del superministero dell’Economia (che riunisce per la prima volta Finanze, Tesoro e Bilancio): amato da Lega, apprezzato da Forza Italia (di cui è pur sempre un iscritto), sofferto da Fini, che dopo un lunghissimo braccio di ferro ne chiede (e ne ottiene) la testa, salvo poi arrendersi ad un suo rientro, di nuovo a capo del superministero.

Due anni di opposizione, poi ancora governo. È il 2008, Tremonti torna a capo dell'Economia e tra feste, pacche sulle spalle e compleanni (resta celebre la foto di un Tremonti paonazzo che festeggia il suo compleanno tirato per le orecchie da Calderoli e da Bossi) arriva puntuale l'aria di maretta.
Stavolta, però, l’addebito non arriva più da Fini e non ha che fare con la troppa attenzione del ministro nei confronti del Nord. L’era delle cartolarizzazioni è finita, Tremonti sulla new economy ora è molto scettico, diventa il "Cavaliere no global" e scrive un libro, “La paura e la speranza”, che diventa un best seller, nel quale sostiene che economia e liberalizzazioni devono fare i conti con morale e principi. L’Italia deve stare attenta - scrive Giulio - occhio ai conti, anche a rischio di sacrificare esenzioni e investimenti. E il nuovo scontro si consuma qui, ma con Berlusconi.

E mentre si contano appena sulle dita di una mano le uscite di Tremonti sui temi più controversi, dall’emergenza rifiuti al terremoto in Abruzzo, si ammassanno invece a decine i battibecchi riferiti (e poi smentiti) tra "Silvio e Giulio" su tasse, aliquote, tagli.
Fino agli ultimi scontri di questi giorni, con il premier che chiede un’accelerazione sul quoziente familiare e con il ministro che risponde che non si può fare: non ci sono coperture. Tocca a Bossi, stavolta, fare da terzo incomodo. Per Berlusconi, torna di nuovo l’incubo di un governo guidato dal ministro dell’economia: o attraverso le elezioni (che potrebbero non garantire al Senato una maggioranza certa al centrodestra) o, magari, attraverso un governo di transizione.  Scenari, questi, liquidati dal premier appunto come “chiacchiere al vento".
Ma nel Pdl non sono tutti così convinti.
Certo, molti dicono che no, che "Giulio non lo farebbe mai"; altri - come appunto Il Giornale - gli initmano di "non fare Fini"; qualcuno, però, ricorda lo spettro della prima crisi di governo, con un ministro (sempre del Tesoro) che diventa successore proprio di Berlusconi a Palazzo Chigi. 
"Se rifletto sul tasso di lealtà dei protagonisti dei giorni del '94 penso più a Dini che a Bossi. E' stata la sua demenziale riforma delle pensioni a scatenare lo sciopero generale e poi la crisi del governo", disse qualche tempo fa Giulio. Dovesse ripetersi un simile scenario, il superministro confermerà quella posizione o deciderà di emularla?

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