Il quotidiano mostra le ricevute con cui Elisabetta Tulliani avrebbe pagato i mobili per l'appartamento monegasco. Fini: fatti irrilevanti, nessuna prova. E' solo un boomerang. FareFuturo: sempre più vicino il passaggio a una destra antiberlusconiana
“Lui querela noi mostriamo le prove”. Così Il Giornale risponde al presidente della Camera, che ha definito "delirio diffamatorio" la ricostruzione del quotidiano diretto da Vittorio Feltri, secondo cui Fini avrebbe scelto personalmente, con la compagnia Elisabetta Tulliani, i mobili per la ormai famosa casa di Montecarlo.
Il quotidiano mostra copie di ricevute che risalgono a gennaio 2010 e che attesterebbero il pagamento di una cucina da 4.523 euro da parte di Elisabetta Tulliani. Secondo il racconto di un dipendente di un mobilificio sulla via Aurelia a Roma, poi, Fini ed Elisabetta Tulliani avrebbero fatto l'acquisto insieme e avrebbero detto di dover spedire i mobili all'estero.
L'inchiesta del Giornale è ripresa anche da Libero: “Fini nega, ma c’è la ricevuta”,
e dal Tempo: "Dopo gli immobili spuntano i mobili". I mobili incriminati anche sulla prima pagina del Fatto che titola “Fini a Montecarlo, la partita si gioca in cucina”, ma che riporta la testimonianza di Paolo Spano Castellucci, responsabile del mobilificio cui si sarebbe rivolto Fini, che dice: "Non abbiamo portato i mobili all’estero".
La replica - "Il direttore del Giornale è maestro nel 'buttarla in caciara', come si dice a Roma. Ma così facendo dimostra che il rigore preteso da chi ha la sventura di finire nel mirino di Feltri (e del suo referente politico), pare essere un optional sulle colonne del Giornale". Lo afferma in una nota Farefuturo, che replica all'editoriale di Feltri sull'affaire della casa di Montecarlo ereditata da An.
"Direttore - conclude la nota del periodico on line vicino ai finiani - ci risponda, ci aiuti a capire. Perché ai nostri occhi quella per le dimissioni del presidente della Camera ha tutto l'aspetto di una battaglia politica 'su commissione', in cui la vicenda monegasca ha la funzione del classico 'paravento'. Ci risponda, anche per quei suoi lettori che (ma è solo un'ipotesi) forse non gradiscono essere strumentalizzati, quando non addirittura presi per i fondelli".
"Sempre più vicino pasasggio a destra antiberlusconiana" - E sempre su Ffwebmagazine, il suo direttore, Filippo Rossi scrive di un possibile passaggio dalla destra non berlusconinana alla destra "anti-berlusconinana".
"La destra - scrive Rossi - c'era prima di Berlusconi e ci sarà dopo di lui, su questo non ci piove. Una destra non-berlusconiana, insomma, esiste. Una destra che non vive di chiamate alle armi, di 'scelte di campo', di spettri 'comunisti'. Una destra che non confonde la politica con l'imprenditoria, che non affonda nel populismo, che accetta la divisione dei poteri, che non brama l'onnipotenza e non adotta categorie feudali come la 'fedelta' al capo' e il 'tradimento'. Una destra serena, libera, democratica, laica. Una destra che si è accorta che il Muro di Berlino non c'è più. Una destra che naviga in mare aperto. Una destra - per riprendere la provocazione di Fabio Granata - non ha nemmeno paura di immaginarsi pronta a parlare, per il bene del paese, con la tanto odiata 'sinistra'. Esiste. E abbiamo provato a darle voce, in questi lunghi mesi".
Rossi spiega poi più precisamente la dinamica di questa mutazione:, scrivendo che è "un passaggio che pesa dover fare. Un passaggio che forse si poteva evitare, limitandosi appunto a scrivere la storia di una destra non-berlusconiana. Ed è il passaggio verso una destra anti-berlusconiana. Questo sì che sarebbe un trauma, a suo modo. Eppure la deriva cui assistiamo in questi giorni, la stampa di famiglia che diventa il fuoco di fila utile a massacrare il nemico, lo svilimento della Costituzione, il fango e gli insulti personali che arrivano dai cortigiani delle ultime file, le continue intimidazioni contro i "congiurati", i dossier, le compravendite parlamentari, le velate minacce al capo dello Stato, i tristi e pericolosi richiami alla piazza, ecco, tutto questo rischia di portare proprio lì. Perché quel 'sistema'- che pure abbiamo sentito vicino, a tratti - ora lo sentiamo sulla nostra pelle. Ne odoriamo i veleni. Lo vediamo per quel che é: un sistema di potere senza contenuto, fine a se stesso".
Il quotidiano mostra copie di ricevute che risalgono a gennaio 2010 e che attesterebbero il pagamento di una cucina da 4.523 euro da parte di Elisabetta Tulliani. Secondo il racconto di un dipendente di un mobilificio sulla via Aurelia a Roma, poi, Fini ed Elisabetta Tulliani avrebbero fatto l'acquisto insieme e avrebbero detto di dover spedire i mobili all'estero.
L'inchiesta del Giornale è ripresa anche da Libero: “Fini nega, ma c’è la ricevuta”,
e dal Tempo: "Dopo gli immobili spuntano i mobili". I mobili incriminati anche sulla prima pagina del Fatto che titola “Fini a Montecarlo, la partita si gioca in cucina”, ma che riporta la testimonianza di Paolo Spano Castellucci, responsabile del mobilificio cui si sarebbe rivolto Fini, che dice: "Non abbiamo portato i mobili all’estero".
La replica - "Il direttore del Giornale è maestro nel 'buttarla in caciara', come si dice a Roma. Ma così facendo dimostra che il rigore preteso da chi ha la sventura di finire nel mirino di Feltri (e del suo referente politico), pare essere un optional sulle colonne del Giornale". Lo afferma in una nota Farefuturo, che replica all'editoriale di Feltri sull'affaire della casa di Montecarlo ereditata da An.
"Direttore - conclude la nota del periodico on line vicino ai finiani - ci risponda, ci aiuti a capire. Perché ai nostri occhi quella per le dimissioni del presidente della Camera ha tutto l'aspetto di una battaglia politica 'su commissione', in cui la vicenda monegasca ha la funzione del classico 'paravento'. Ci risponda, anche per quei suoi lettori che (ma è solo un'ipotesi) forse non gradiscono essere strumentalizzati, quando non addirittura presi per i fondelli".
"Sempre più vicino pasasggio a destra antiberlusconiana" - E sempre su Ffwebmagazine, il suo direttore, Filippo Rossi scrive di un possibile passaggio dalla destra non berlusconinana alla destra "anti-berlusconinana".
"La destra - scrive Rossi - c'era prima di Berlusconi e ci sarà dopo di lui, su questo non ci piove. Una destra non-berlusconiana, insomma, esiste. Una destra che non vive di chiamate alle armi, di 'scelte di campo', di spettri 'comunisti'. Una destra che non confonde la politica con l'imprenditoria, che non affonda nel populismo, che accetta la divisione dei poteri, che non brama l'onnipotenza e non adotta categorie feudali come la 'fedelta' al capo' e il 'tradimento'. Una destra serena, libera, democratica, laica. Una destra che si è accorta che il Muro di Berlino non c'è più. Una destra che naviga in mare aperto. Una destra - per riprendere la provocazione di Fabio Granata - non ha nemmeno paura di immaginarsi pronta a parlare, per il bene del paese, con la tanto odiata 'sinistra'. Esiste. E abbiamo provato a darle voce, in questi lunghi mesi".
Rossi spiega poi più precisamente la dinamica di questa mutazione:, scrivendo che è "un passaggio che pesa dover fare. Un passaggio che forse si poteva evitare, limitandosi appunto a scrivere la storia di una destra non-berlusconiana. Ed è il passaggio verso una destra anti-berlusconiana. Questo sì che sarebbe un trauma, a suo modo. Eppure la deriva cui assistiamo in questi giorni, la stampa di famiglia che diventa il fuoco di fila utile a massacrare il nemico, lo svilimento della Costituzione, il fango e gli insulti personali che arrivano dai cortigiani delle ultime file, le continue intimidazioni contro i "congiurati", i dossier, le compravendite parlamentari, le velate minacce al capo dello Stato, i tristi e pericolosi richiami alla piazza, ecco, tutto questo rischia di portare proprio lì. Perché quel 'sistema'- che pure abbiamo sentito vicino, a tratti - ora lo sentiamo sulla nostra pelle. Ne odoriamo i veleni. Lo vediamo per quel che é: un sistema di potere senza contenuto, fine a se stesso".