"Leghiste": ritratto di lady Calderoli
PoliticaOltre a essere la compagna del ministro per la Semplificazione, dal 2009 Gianna Gancia è presidente della provincia di Cuneo. La sua storia è raccontata in un saggio Marsilio di Cristina Giudici, dedicato alle donne del Carroccio. Leggine un estratto
di Cristina Giudici
Gianna Gancia ha trentasei anni, è minuta, ha i capelli neri a caschetto e al collo non porta un fazzoletto verde, ma un triplo giro di perle.
Sembra una donna schiva, che esita prima di dare una risposta, con occhi azzurro-blu, un po’ malinconici, che si velano facilmente per la commozione. Davanti a ogni segno di gratitudine dei suoi elettori, ma anche di fronte ai suoi ricordi, ogni volta che si guarda indietro per vedere la strada che ha fatto. Anche se spesso ha un’aria divertita, con cui sembra voler dire: “Che ci faccio qui?”.
Dopo diciotto anni di silenziosa e discontinua militanza nella Lega, è arrivata alla guida della provincia di Cuneo. Grazie e nonostante la presenza ingombrante del suo compagno, il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli, che più volte le ha chiesto di fare un passo indietro nella politica per non essere tacciato di familismo. Ci siamo conosciute nel giugno scorso a Pontida, dove l’ho cercata perché ero curiosa di sapere chi fosse in realtà la donna che tutti chiamano Lady Calderoli. Con quel sarcasmo che si riserva sempre alle compagne degli uomini di potere.
Lui, il ministro, era sul palco, fra la nomenclatura del Carroccio, a scaldare le pance leghiste riunite sul prato durante il rituale incontro, che l’anno scorso aveva il sapore della celebrazione di una vittoria conclamata, dopo la decisa conferma elettorale. Lei, jeans e camicetta bianca, era in disparte, lontano dai riflettori, fra i militanti della Lega di Cuneo. Volevo intervistarla per «Grazia» con lui, perché rappresentano l’unica coppia con incarichi dirigenziali nel Carroccio.
Gianna ha accolto con entusiasmo la mia proposta, anche se poi ci ho messo parecchio tempo per riuscire ad andare a trovarli a casa (e secondo me per vincere la diffidenza di Calderoli a concedermi l’incontro). Quando ci riesco, molte telefonate dopo, è una splendida domenica di settembre. Un pomeriggio, in cui vengo accolta con molta ospitalità nel giardino della sua casa di famiglia, a Narzole, affacciato su uno spettacolare panorama sulle colline delle Langhe.
Dove lei è cresciuta, con il fratello e i genitori molto ammalati. E dove ha frequentato una sezione della Lega, con lo spirito con cui i liceali, soprattutto se benestanti, fanno l’unica cosa che non ci si aspetta da loro: quella sbagliata. Seduti intorno al tavolo ci sono alcuni amici e il figlio Giampiero, che ascolta con attenzione i nostri discorsi sulla politica e sull’amore.
Calderoli affronta il supplizio dell’intervista di coppia, con placido e schivo divertimento. Finché si rilassa e mi racconta con spavalderia di quando lui e Gianna si sono conosciuti a un comizio nel 2002, ma lui non l’ha notata. Lei, che invece è timida, dice di aver capito immediatamente che Roberto sarebbe stato l’uomo giusto. Lui ricorda che all’inizio si vedevano in un castello di un amico comune e il giorno della resurrezione di Gesù le ha fatto trovare la stanza piena di uova pasquali, per conquistarla con un bizzarro gesto poetico.
Lei annuisce sorridendo, con prudenza. Ogni venerdì sera lui, che adora stare ai fornelli, andava a Narzole per passare il week-end insieme, con il cibo pronto nel portabagagli, perché l’unico piatto che Gianna sa fare «è la bresaola pronta da servire in tavola» ironizza Roberto.
Lei ride e sorride, con esitante partecipazione, alla rievocazione della loro storia d’amore. Roberto Calderoli in versione privata cede all’ironia piuttosto che indugiare nelle provocazioni. È molto diverso dal personaggio pubblico, che fa comizi con toni accesi e coloriti. Guarda la sua compagna con l’aria di chi pensa: “Da te posso aspettarmi qualsiasi cosa, e mi piaci proprio per questo”. Giampiero, che chiamano Giampi, sguardo fisso su un videogame, alza gli occhi e mi dice: «Da grande voglio fare il calciatore del Manchester perché con la politica non si guadagna tanto, ma ai comizi mi diverto di più con papà perché lui arriva subito al punto, mentre la mamma gira sempre intorno alle cose».
E infatti Gianna ammette subito: «Sono una leghista posata». «Più che altro fai il tiro al piattello» sottolinea il ministro. Poi parliamo della campagna elettorale di Gianna, che è stata piena di insidie, di insinuazioni sulla sua vita privata, mentre lui, che è più incisivo, esclama: «Ma Gianna, cosa dici, ci hanno proprio sputtanato!».
Si riferisce al fatto che, in una recente fase della sua vita, Gianna ha sofferto di depressione e la sua fragilità psicologica è diventata oggetto della campagna elettorale da parte degli avversari. Poi assisto a un piccolo colpo di scena: tra una spiegazione sul federalismo e le confidenze della loro intimità familiare, Gianna si alza, sparisce e ritorna con una lettera che lui le ha scritto dopo il suo primo comizio elettorale per dirle: «Dopo tanti anni di politica, mi sono emozionato, brava, stai lavorando bene, ce la puoi fare».
Gianna la legge con le lacrime agli occhi e io mi stupisco perché ancora non so che lei si emoziona facilmente. Né so che quel comizio fu una prova difficile, lei si era aggrovigliata, lui era nervoso, perché Gianna allora faceva fatica a parlare in pubblico. I loro amici ridono, cercando di sdrammatizzare la commozione di Gianna.
Tutti meravigliati dal tono di una lettera privata, che doveva rimanere segreta. Calderoli esclama: «Gianna, ma sei matta, cosa fai? Se continui a leggere, giuro che non esco più di casa!».
Anch’io trovo la scena piuttosto suggestiva e decido che voglio andare a trovarla a Cuneo. Voglio sapere qualcosa di più di Lady Calderoli, che si è appena affacciata alla politica professionale. Mi incuriosisce questa donna affabile e fragile, che deve guidare la provincia Granda, seimila chilometri di superficie, 250 comuni e quasi 600 mila abitanti, dove tutto si perde e si disperde in un’infinità di strade che, se messe tutte di fila, dicono i cuneesi, si può arrivare fino a Mosca.
Sempre in balia di dissesti ed emergenze naturali, che l’hanno trasformata in una delle province più indebitate d’Italia, nonostante le ottantamila partite Iva e alcune note ricchezze che fanno quasi paura. Lasciata sin dalla sua fondazione, centocinquant’anni fa, ai margini del regno d’Italia, e poi della repubblica, a combattere un derby perso in partenza con Torino. Voglio vedere come se la cava senza il suo protettivo, affettuoso, potente compagno, che invece sfida la politica come se fosse un toro dentro un’arena. Anche perché lei mi ha detto che per amore ha dovuto stare nell’ombra per sette anni e rinunciare nel 2006 a candidarsi al Parlamento.
A malincuore, perché con le liste uninominali non avrebbe potuto farsi valere per le sue capacità, mi spiegherà, e quindi ha dovuto aspettare l’occasione giusta, arrivata quasi per caso, per dimostrare di avere un pedigree leghista. Di affrontare il giudizio degli elettori, di convincerli che lei non era solo Lady Calderoli.
Vado a trovare Gianna nel giorno in cui si tiene il consiglio provinciale di Cuneo. Dove il suo primo atto pubblico, appena arrivata in provincia, è stato mettere dei vasi di gerani sul terrazzo del suo ufficio.
Prima di affrontare i debiti della provincia, 190 milioni di euro più 15 milioni fra interessi e restituzione del capitale, chiudere tre aziende partecipate, eliminare, o quasi, il parco macchine delle auto blu e redigere una finanziaria di rigore.
Nella speranza di trasformare la provincia in ente meno assistenzialista e magari trovare i fondi di garanzia per aiutare le piccole e medie imprese, indebitatesi a causa della crisi economica. O almeno questo è il suo obiettivo.
In una città che non voleva cedere il passo a una donna giovane, che era una perfetta sconosciuta. E infatti a ogni incontro con i suoi elettori ha dovuto spiegare che, anche se era timida, apparentemente incerta, non era lì per fare Lady Calderoli. Che non apparteneva alla categoria delle donne che sfruttano il potere dei loro uomini, ma il suo scopo era rilanciare la Lega di Cuneo. Finalmente riemersa, tra molte difficoltà, con una piccola e ancora acerba classe dirigente. Decimata dopo la ribellione (ed espulsione) del segretario della Lega piemontese, Domenico Comino, che nel 1996 tentò la scalata all’Olimpo per detronizzare Umberto Bossi.
Perché allora, con spirito di adattamento sabaudo – quello che lo storico Aldo Mola definisce «duttile e plastico ad ogni tipo di governo» –, quasi tutti i militanti sono passati a Forza Italia.
Candidandosi, Gianna aveva fatto una scommessa che non poteva perdere. Sfidando a suo modo quei politici che hanno cercato di sbarrarle il passo divulgando le sue ombre private, anche se lei le ha ammesse pubblicamente all’inizio della campagna elettorale per trasformare una debolezza privata in pubblica virtù.
Una cosa non facile in una città lunga e stretta, chiusa al mondo, abituata al rispetto delle regole. E un po’ ottusa, se è vero, come dicono le leggende locali, che i primi lampioni elettrici sono stati inaugurati di giorno e che quando il re Vittorio Emanuele ha chiesto ai cuneesi una pianta della città, loro gli hanno mandato un pioppo. Gianna prende sempre appunti e cerca di non distrarsi mai. Prima del consiglio provinciale spiega ai suoi assessori che, riguardo all’interpellanza sui respingimenti dei clandestini, possono citare alcuni passi di un discorso del ministro dell’Interno Roberto Maroni, «ma senza leggerlo tutto, altrimenti fate figuracce» scherza.
Il consiglio provinciale discute il primo successo politico di Gianna Gancia: 13 milioni di euro portati a casa grazie a un provvedimento straordinario del consiglio dei ministri per far fronte ai danni creati dall’alluvione e dalle nevicate del 2008.
Ottenuti grazie al sostegno dello staff governativo della Lega, però rappresentano una vittoria inedita per un territorio abituato a ricevere le briciole dei fondi pubblici che passano prima dalla regione, a Torino, e spesso lì si fermano, dicono i cuneesi.
I suoi oppositori protestano in modo sobrio, perché a Cuneo esistono ancora le mezze stagioni e le mezze misure, e per urlare la parola bastardo bisogna andare allo stadio dove si può sentire lo slogan: «Meglio bastardo che juventino ». Un esponente del Pd esclama: «La forma è sostanza, la sostanza è democrazia» e lei sorride, perché sa che per una volta la partita con Torino l’ha vinta Cuneo, o meglio lei, che è ancora una perfetta sconosciuta, anche se è Lady Calderoli.
Ottenuta anche per i buoni uffici governativi, infatti Gianna non ha problemi ad ammetterlo: «Ci sono riuscita anche grazie all’interessamento di Roberto, del sottosegretario Michele Davico e del mio assessore al Bilancio, che è una macchina da guerra». Perché alla fine ciò che conta per il pragmatismo leghista non è la forma, ma il risultato. E cioè i 13 milioni di euro, arrivati direttamente a Cuneo.
© 2010 by Marsilio editori s.p.a. in Venezia Published by arrangement with Marco Vigevani Agenzia Letteraria
Tratto da Cristina Giudici, Leghiste. Pioniere di una nuova politica, Marsilio, pp.176, euro 13
Cristina Giudici, milanese, giornalista. Ha iniziato a Radio Popolare e al settimanale «Vita». Ha collaborato con «Panorama» e «Anna». Oggi scrive su «Grazia» e «Il Foglio» reportage e inchieste di attualità. Si è occupata di carcere, terrorismo, multiculturalismo, crisi economica, questione settentrionale. Nel 2005 ha pubblicato il saggio L'Italia di Allah, nato da un'inchiesta per «Il Foglio», che ha vinto il premio Maria Grazia Cutuli.
Gianna Gancia ha trentasei anni, è minuta, ha i capelli neri a caschetto e al collo non porta un fazzoletto verde, ma un triplo giro di perle.
Sembra una donna schiva, che esita prima di dare una risposta, con occhi azzurro-blu, un po’ malinconici, che si velano facilmente per la commozione. Davanti a ogni segno di gratitudine dei suoi elettori, ma anche di fronte ai suoi ricordi, ogni volta che si guarda indietro per vedere la strada che ha fatto. Anche se spesso ha un’aria divertita, con cui sembra voler dire: “Che ci faccio qui?”.
Dopo diciotto anni di silenziosa e discontinua militanza nella Lega, è arrivata alla guida della provincia di Cuneo. Grazie e nonostante la presenza ingombrante del suo compagno, il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli, che più volte le ha chiesto di fare un passo indietro nella politica per non essere tacciato di familismo. Ci siamo conosciute nel giugno scorso a Pontida, dove l’ho cercata perché ero curiosa di sapere chi fosse in realtà la donna che tutti chiamano Lady Calderoli. Con quel sarcasmo che si riserva sempre alle compagne degli uomini di potere.
Lui, il ministro, era sul palco, fra la nomenclatura del Carroccio, a scaldare le pance leghiste riunite sul prato durante il rituale incontro, che l’anno scorso aveva il sapore della celebrazione di una vittoria conclamata, dopo la decisa conferma elettorale. Lei, jeans e camicetta bianca, era in disparte, lontano dai riflettori, fra i militanti della Lega di Cuneo. Volevo intervistarla per «Grazia» con lui, perché rappresentano l’unica coppia con incarichi dirigenziali nel Carroccio.
Gianna ha accolto con entusiasmo la mia proposta, anche se poi ci ho messo parecchio tempo per riuscire ad andare a trovarli a casa (e secondo me per vincere la diffidenza di Calderoli a concedermi l’incontro). Quando ci riesco, molte telefonate dopo, è una splendida domenica di settembre. Un pomeriggio, in cui vengo accolta con molta ospitalità nel giardino della sua casa di famiglia, a Narzole, affacciato su uno spettacolare panorama sulle colline delle Langhe.
Dove lei è cresciuta, con il fratello e i genitori molto ammalati. E dove ha frequentato una sezione della Lega, con lo spirito con cui i liceali, soprattutto se benestanti, fanno l’unica cosa che non ci si aspetta da loro: quella sbagliata. Seduti intorno al tavolo ci sono alcuni amici e il figlio Giampiero, che ascolta con attenzione i nostri discorsi sulla politica e sull’amore.
Calderoli affronta il supplizio dell’intervista di coppia, con placido e schivo divertimento. Finché si rilassa e mi racconta con spavalderia di quando lui e Gianna si sono conosciuti a un comizio nel 2002, ma lui non l’ha notata. Lei, che invece è timida, dice di aver capito immediatamente che Roberto sarebbe stato l’uomo giusto. Lui ricorda che all’inizio si vedevano in un castello di un amico comune e il giorno della resurrezione di Gesù le ha fatto trovare la stanza piena di uova pasquali, per conquistarla con un bizzarro gesto poetico.
Lei annuisce sorridendo, con prudenza. Ogni venerdì sera lui, che adora stare ai fornelli, andava a Narzole per passare il week-end insieme, con il cibo pronto nel portabagagli, perché l’unico piatto che Gianna sa fare «è la bresaola pronta da servire in tavola» ironizza Roberto.
Lei ride e sorride, con esitante partecipazione, alla rievocazione della loro storia d’amore. Roberto Calderoli in versione privata cede all’ironia piuttosto che indugiare nelle provocazioni. È molto diverso dal personaggio pubblico, che fa comizi con toni accesi e coloriti. Guarda la sua compagna con l’aria di chi pensa: “Da te posso aspettarmi qualsiasi cosa, e mi piaci proprio per questo”. Giampiero, che chiamano Giampi, sguardo fisso su un videogame, alza gli occhi e mi dice: «Da grande voglio fare il calciatore del Manchester perché con la politica non si guadagna tanto, ma ai comizi mi diverto di più con papà perché lui arriva subito al punto, mentre la mamma gira sempre intorno alle cose».
E infatti Gianna ammette subito: «Sono una leghista posata». «Più che altro fai il tiro al piattello» sottolinea il ministro. Poi parliamo della campagna elettorale di Gianna, che è stata piena di insidie, di insinuazioni sulla sua vita privata, mentre lui, che è più incisivo, esclama: «Ma Gianna, cosa dici, ci hanno proprio sputtanato!».
Si riferisce al fatto che, in una recente fase della sua vita, Gianna ha sofferto di depressione e la sua fragilità psicologica è diventata oggetto della campagna elettorale da parte degli avversari. Poi assisto a un piccolo colpo di scena: tra una spiegazione sul federalismo e le confidenze della loro intimità familiare, Gianna si alza, sparisce e ritorna con una lettera che lui le ha scritto dopo il suo primo comizio elettorale per dirle: «Dopo tanti anni di politica, mi sono emozionato, brava, stai lavorando bene, ce la puoi fare».
Gianna la legge con le lacrime agli occhi e io mi stupisco perché ancora non so che lei si emoziona facilmente. Né so che quel comizio fu una prova difficile, lei si era aggrovigliata, lui era nervoso, perché Gianna allora faceva fatica a parlare in pubblico. I loro amici ridono, cercando di sdrammatizzare la commozione di Gianna.
Tutti meravigliati dal tono di una lettera privata, che doveva rimanere segreta. Calderoli esclama: «Gianna, ma sei matta, cosa fai? Se continui a leggere, giuro che non esco più di casa!».
Anch’io trovo la scena piuttosto suggestiva e decido che voglio andare a trovarla a Cuneo. Voglio sapere qualcosa di più di Lady Calderoli, che si è appena affacciata alla politica professionale. Mi incuriosisce questa donna affabile e fragile, che deve guidare la provincia Granda, seimila chilometri di superficie, 250 comuni e quasi 600 mila abitanti, dove tutto si perde e si disperde in un’infinità di strade che, se messe tutte di fila, dicono i cuneesi, si può arrivare fino a Mosca.
Sempre in balia di dissesti ed emergenze naturali, che l’hanno trasformata in una delle province più indebitate d’Italia, nonostante le ottantamila partite Iva e alcune note ricchezze che fanno quasi paura. Lasciata sin dalla sua fondazione, centocinquant’anni fa, ai margini del regno d’Italia, e poi della repubblica, a combattere un derby perso in partenza con Torino. Voglio vedere come se la cava senza il suo protettivo, affettuoso, potente compagno, che invece sfida la politica come se fosse un toro dentro un’arena. Anche perché lei mi ha detto che per amore ha dovuto stare nell’ombra per sette anni e rinunciare nel 2006 a candidarsi al Parlamento.
A malincuore, perché con le liste uninominali non avrebbe potuto farsi valere per le sue capacità, mi spiegherà, e quindi ha dovuto aspettare l’occasione giusta, arrivata quasi per caso, per dimostrare di avere un pedigree leghista. Di affrontare il giudizio degli elettori, di convincerli che lei non era solo Lady Calderoli.
Vado a trovare Gianna nel giorno in cui si tiene il consiglio provinciale di Cuneo. Dove il suo primo atto pubblico, appena arrivata in provincia, è stato mettere dei vasi di gerani sul terrazzo del suo ufficio.
Prima di affrontare i debiti della provincia, 190 milioni di euro più 15 milioni fra interessi e restituzione del capitale, chiudere tre aziende partecipate, eliminare, o quasi, il parco macchine delle auto blu e redigere una finanziaria di rigore.
Nella speranza di trasformare la provincia in ente meno assistenzialista e magari trovare i fondi di garanzia per aiutare le piccole e medie imprese, indebitatesi a causa della crisi economica. O almeno questo è il suo obiettivo.
In una città che non voleva cedere il passo a una donna giovane, che era una perfetta sconosciuta. E infatti a ogni incontro con i suoi elettori ha dovuto spiegare che, anche se era timida, apparentemente incerta, non era lì per fare Lady Calderoli. Che non apparteneva alla categoria delle donne che sfruttano il potere dei loro uomini, ma il suo scopo era rilanciare la Lega di Cuneo. Finalmente riemersa, tra molte difficoltà, con una piccola e ancora acerba classe dirigente. Decimata dopo la ribellione (ed espulsione) del segretario della Lega piemontese, Domenico Comino, che nel 1996 tentò la scalata all’Olimpo per detronizzare Umberto Bossi.
Perché allora, con spirito di adattamento sabaudo – quello che lo storico Aldo Mola definisce «duttile e plastico ad ogni tipo di governo» –, quasi tutti i militanti sono passati a Forza Italia.
Candidandosi, Gianna aveva fatto una scommessa che non poteva perdere. Sfidando a suo modo quei politici che hanno cercato di sbarrarle il passo divulgando le sue ombre private, anche se lei le ha ammesse pubblicamente all’inizio della campagna elettorale per trasformare una debolezza privata in pubblica virtù.
Una cosa non facile in una città lunga e stretta, chiusa al mondo, abituata al rispetto delle regole. E un po’ ottusa, se è vero, come dicono le leggende locali, che i primi lampioni elettrici sono stati inaugurati di giorno e che quando il re Vittorio Emanuele ha chiesto ai cuneesi una pianta della città, loro gli hanno mandato un pioppo. Gianna prende sempre appunti e cerca di non distrarsi mai. Prima del consiglio provinciale spiega ai suoi assessori che, riguardo all’interpellanza sui respingimenti dei clandestini, possono citare alcuni passi di un discorso del ministro dell’Interno Roberto Maroni, «ma senza leggerlo tutto, altrimenti fate figuracce» scherza.
Il consiglio provinciale discute il primo successo politico di Gianna Gancia: 13 milioni di euro portati a casa grazie a un provvedimento straordinario del consiglio dei ministri per far fronte ai danni creati dall’alluvione e dalle nevicate del 2008.
Ottenuti grazie al sostegno dello staff governativo della Lega, però rappresentano una vittoria inedita per un territorio abituato a ricevere le briciole dei fondi pubblici che passano prima dalla regione, a Torino, e spesso lì si fermano, dicono i cuneesi.
I suoi oppositori protestano in modo sobrio, perché a Cuneo esistono ancora le mezze stagioni e le mezze misure, e per urlare la parola bastardo bisogna andare allo stadio dove si può sentire lo slogan: «Meglio bastardo che juventino ». Un esponente del Pd esclama: «La forma è sostanza, la sostanza è democrazia» e lei sorride, perché sa che per una volta la partita con Torino l’ha vinta Cuneo, o meglio lei, che è ancora una perfetta sconosciuta, anche se è Lady Calderoli.
Ottenuta anche per i buoni uffici governativi, infatti Gianna non ha problemi ad ammetterlo: «Ci sono riuscita anche grazie all’interessamento di Roberto, del sottosegretario Michele Davico e del mio assessore al Bilancio, che è una macchina da guerra». Perché alla fine ciò che conta per il pragmatismo leghista non è la forma, ma il risultato. E cioè i 13 milioni di euro, arrivati direttamente a Cuneo.
© 2010 by Marsilio editori s.p.a. in Venezia Published by arrangement with Marco Vigevani Agenzia Letteraria
Tratto da Cristina Giudici, Leghiste. Pioniere di una nuova politica, Marsilio, pp.176, euro 13
Cristina Giudici, milanese, giornalista. Ha iniziato a Radio Popolare e al settimanale «Vita». Ha collaborato con «Panorama» e «Anna». Oggi scrive su «Grazia» e «Il Foglio» reportage e inchieste di attualità. Si è occupata di carcere, terrorismo, multiculturalismo, crisi economica, questione settentrionale. Nel 2005 ha pubblicato il saggio L'Italia di Allah, nato da un'inchiesta per «Il Foglio», che ha vinto il premio Maria Grazia Cutuli.