Afghanistan, apartheid di genere. Pangea: “No al dialogo con i Talebani. Indigniamoci”
Mondo ©Getty“La comunità internazionale continua a utilizzare due pesi e due misure: esclude i terroristi di Hamas e dialoga con i Talebani. È inaccettabile”. Spiega a Sky TG24 Simona Lanzoni, vicepresidente di Fondazione Pangea, associazione italiana che opera in Afghanistan con progetti a favore delle donne
Le donne in Afghanistan sono vittime di un vero e proprio apartheid di genere, un sistema di governo basato sulla loro subordinazione completa in tutti gli aspetti della vita. Una situazione in continuo peggioramento dalla presa di potere da parte dei Talebani, nell’agosto 2021, ad oggi. “La colpa è soprattutto del fatto che l’attenzione internazionale sull’Afghanistan non c’è più. Si continua a livello di comunità internazionale, e anche europea, a strizzare l’occhio all’attuale governo, de facto i Talebani. Ricordiamoci che sono tornati al potere con la forza delle armi e degli accordi internazionali che hanno escluso altre parti della società afghana che dialogavano per una ricostruzione del Paese in chiave moderna e senza l’uso delle armi. Ma la comunità internazionale continua a utilizzare due pesi e due misure per dialogare con i Paesi in cui vi sono gruppi del genere, escludendo completamente i terroristi di Hamas e dialogando, invece, con i Talebani, armati e estremisti, che gestiscono senza regole e nel terrore la popolazione. Questo non è accettabile, dobbiamo continuare ad indignarci quando viene messo in atto un qualsiasi tentativo di mediazione con i Talebani”. È l’appello lanciato ai microfoni di Sky TG24 da Simona Lanzoni, vicepresidente di Fondazione Pangea, associazione italiana che, dal 2003, opera in Afghanistan con progetti a favore delle donne.
Pangea: “Si pensa più a dialogare con i Talebani che ad aiutare le donne”
“I tentativi di mediazione per far accettare questo governo de facto sono correlati anche alla narrazione di facciata che i Talebani sono riusciti a costruire in questi anni. Per gli stranieri che vanno in Afghanistan sembra che da quando sono tornati loro al potere nel Paese si possa vivere al sicuro. Una reputazione di facciata, completamente distante dalla realtà, che può aver portato a pensare che in fondo i Talebani non siano così male. Ma non dobbiamo dimenticarci che uccidono persone in maniera indiscriminata perché non rispettano le regole che hanno imposto, senza alcun reale riferimento giuridico e standard internazionali”, ha aggiunto Lanzoni. E ancora: “Si pensa più a dialogare con i Talebani che ad aprire gli occhi sulle condizioni in cui vivono le donne in Afghanistan”.
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Apartheid di genere: la situazione delle donne
“Stiamo parlando di donne, come noi, letteralmente chiuse in casa da quasi 3 anni. Le afghane non possono muoversi senza l’accompagnamento di un uomo. Non possono lavorare, se non in alcuni settori, come la sanità. Non possono andare a scuola dagli 11 anni in poi, e quindi nemmeno all’università. Non possono fare niente - ha aggiunto -. Abbiamo testimonianze di donne arrestate per motivazioni morali inventate da quella società misogina. Donne che vengono arrestate, violentate, picchiate, “disonorate” per i codici di convivenza locali e poi fatte uscire dalla cella, anche solo per essersi permesse di accompagnare una sorella più piccola a scuola senza la presenza di un uomo. Donne che non possono sentirsi al sicuro nemmeno in casa, dove sono recluse, perché ci sono continue scorribande di Talebani atte a verificare se vi sono uomini in famiglia. I Talebani entrano nelle case anche solo per abusare delle donne sole”. Violenze che vanno a peggiorare ulteriormente una situazione già di per se drammatica, che vede le donne afghane affrontare una moltitudine di crisi, che contribuiscono a negare i loro diritti e soprattutto a minacciare la loro dignità: dalla crisi economica, alla fame, fino agli effetti della siccità e della mancanza di accesso all'acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari.
Donne single, le ultime a ricevere gli aiuti umanitari
E non è tutto. Perché le donne, senza marito, sono anche le ultime a ricevere gli aiuti umanitari. Chi non ha marito, o perde il consorte, deve sposarsi per forza, e anche il prima possibile, per non essere invisibile, per non morire di stenti e per poter sopravvivere. “Anche questo aspetto fa parte delle conseguenze dell’apartheid di genere - ha riferito la vicepresidente Lanzoni -. Chi non ha un uomo in casa, che può essere il marito o il figlio più grande che rappresenti la famiglia, non ha un facile accesso agli aiuti umanitari”. Ennesima discriminazione che Pangea cerca di combattere grazie a una mappatura delle donne in difficoltà e senza marito, e progetti mirati ad arrivare alle afghane “invisibili”. Mappatura frutto di una rete di solidarietà femminile che l’associazione è riuscita a costruire, soprattutto a Kabul, dal 2003 ad oggi, appoggiandosi e collaborando con tutte quelle donne finora coinvolte nei loro progetti.
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La rete di solidarietà femminile creata da Pangea
“In 20 danni di lavoro a Kabul - ha sottolineato la vicepresidente Lanzoni di Pangea -, abbiamo conquistato la fiducia delle donne con cui abbiamo lavorato. Anche dopo la presa di potere dei Talebani, siamo riusciti a ricominciare a lavorare sul territorio grazie all’aiuto delle donne che avevamo coinvolto nei nostri progetti. Il nostro lavoro ci ha restituito una fiducia smisurata, che ora ci consente di fare arrivare gli aiuti alimentari alle donne sole con figli, anche tramite il passaparola tra le famiglie. Sappiamo esattamente dove vivono le donne in difficoltà e ci adoperiamo per aiutarle”.
Salute mentale: in crescita la depressione tra le donne
Un’altra emergenza che riguarda le donne afghane è il crescente tasso di disturbi mentali, dalla depressione all’ansia, che contribuiscono al comportamento suicidario. “La salute mentale di tutte le donne afghane è a rischio, oltre ovviamente alla salute in generale - ha aggiunto -. Perché la loro è una vita senza speranza nel futuro. Speranza ridotta anche dall’Occidente che si mette a dialogare con i Talebani. Si sentono inutili e non viste, in una società che le opprime. Per questo, è importante lavorare per attivare progetti che abbiano al centro la salute mentale. Oltre alla crisi della fame, ai crampi allo stomaco causati dalla mancanza di cibo, c’è la crisi della ‘fame mentale’ per mancanza di stimoli e di immaginazione del proprio futuro. Stiamo svolgendo un’ulteriore mappatura in merito, per individuare i bisogni delle donne, sia in tema di salute mentale, che di salute in generale, in base anche alla loro età”. L’intento di Pangea è quello di aiutare le donne a formarsi per diventare operatrici di primo livello sanitario e poter così essere registrate come “personale di Ong”. In quanto, al momento, le uniche professioni concesse alle donne sono quelle che riguardano l’ambito sanitario. “Per questo cerchiamo di accelerare lo sforzo nel riuscire a collegare le donne che hanno importanti bisogni sanitari e di salute mentale con i pochi servizi esistenti. Vogliamo creare una nuova rete di servizi nei territori e sostenere le donne nel coprire le spese mediche sul lungo periodo, con progetti anche porta a porta. Le donne formate potranno, per esempio, bussare nelle case e ascoltare i problemi delle donne, per poi portarle nelle strutture che offrono il servizio di cui hanno bisogno, che possono essere, per esempio, l’ospedale o una clinica se hanno problemi di salute riproduttiva o ginecologici”. Infine, l’appello: “Non dimentichiamo l’Afghanistan, queste popolazioni e queste donne sono allo stremo. Chi ci vuole aiutare a sostenere i nostri progetti, può farlo anche tramite il 5x1000 indicando il CF 97321620151”.
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