Secondo le indagini un agente di polizia Penitenziaria, già sospeso dal servizio, avrebbe accettato somme di denaro per introdurre uno smartphone e due miniphone all'interno del penitenziario. Scoperto anche un giro di spaccio
Cinque persone, tra cui un agente di polizia penitenziaria, sono state arrestate con le accuse, a vario titolo, di corruzione e commercio illecito di sostanze stupefacenti all'interno del carcere dell'Ucciardone di Palermo. Secondo quanto ricostruito, nel penitenziario entravano droga e mini telefonini anche attraverso lanci di sacchetti che riuscivano a superare le mura di cinta del carcere. L'operazione, denominata 'Mobile phones in cell', è stata coordinata dalla Procura.
Le indagini
Secondo le indagini, l'agente di polizia Penitenziaria, già sospeso dal servizio, avrebbe accettato somme di denaro per introdurre uno smartphone e due miniphone all'interno del carcere. I tre dispositivi erano destinati a uno dei detenuti, condannato con sentenza della Corte di Appello di Palermo per l'omicidio di Andrea Cusimano nel 2017. L'agente avrebbe ricevuto la somma di 500 euro dalla moglie del detenuto, avvalendosi della mediazione di un altro carcerato. La consegna dei telefonini al detenuto è stata sventata grazie all'intervento del servizio investigativo della polizia penitenziaria che ha sequestrato gli apparecchi.
Il giro di spaccio
Attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali sono stati acquisiti ulteriori elementi di prova relativi a un commercio illecito di sostanze stupefacenti. È stato, infatti, possibile documentare alcuni episodi in cui telefonini illecitamente introdotti in carcere sono stati utilizzati dai detenuti per la vendita di droga. Di uno di questi episodi si è reso responsabile un detenuto che ha trattato telefonicamente con un'altra persona, rinchiusa nel carcere di Augusta, la vendita a dei complici in libertà di una partita di circa cinque chili di droga.
Telefoni e droga venivano lanciati dall'esterno superando le mura di cinta
Telefonini e droga arrivavano dentro al carcere anche attraverso lanci di sacchetti che riuscivano a superare le mura di cinta. Le immagini dei sistemi di videosorveglianza hanno permesso di immortalare diversi lanci commissionati dai detenuti comunicando telefonicamente con l'esterno. Secondo le accuse, dentro al carcere c'era un vero e proprio commercio di miniphone e Sim card, con tanto di "tariffari". Nel registro degli indagati sono stati iscritti anche due reclusi che avrebbero promesso all'agente di polizia penitenziaria tra i 1000 e i 1.500 euro per avere un telefonino in cella. Il cellulare serviva per mantenere il controllo delle attività illecite anche dall'interno del carcere e di godere di maggior prestigio tra i detenuti.