Messina, 8 anni per corruzione all'ex presidente del consiglio comunale

Sicilia
Foto di archivio (Fotogramma)

La condanna di primo grado per Emilia Barrile è arrivata nell’ambito del processo "Terzo Livello", che ha accertato l’esistenza di un comitato d’affari composto da professionisti, politici ed esponenti della criminalità che gestivano la cosa pubblica 

L’ex presidente del consiglio comunale di Messina, Emilia Barrile, è stata condannata in primo grado a 8 anni e 3 mesi di carcere per corruzione nell’ambito del processo “Terzo Livello”, che ha accertato l’esistenza di un comitato di affari composto da professionisti, politici ed esponenti della criminalità che gestivano la cosa pubblica della città. La procura, guidata da Maurizio De Lucia, ipotizzò a carico dei 17 rinviati a giudizio, a vario titolo, i reati di associazione a delinquere, corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, induzione indebita, accesso abusivo a un sistema informatico e intestazione fittizia di bene. Tra tutti, un solo imputato è stato assolto.

La vicenda e l’inchiesta

Secondo i pm imprenditori, funzionari comunali, costruttori e manager delle municipalizzate avrebbero fatto parte di un gruppo d'affari che condizionava a fini privati l'attività del comune. Al centro di esso ci sarebbe stato l'ex presidente del consiglio comunale Emilia Barrile. Tra i coinvolti ci sarebbero anche il direttore generale dell'azienda di trasporti Atm (che sarebbe stato favorito dalla Barrile in cambio dell'assunzione nella società di un autista che non aveva i requisiti per svolgere il lavoro) e di un costruttore a cui Barrile avrebbe fatto acquistare, grazie alla complicità di un funzionario comunale, il terreno comunale dove doveva realizzare una palazzina. Tra i condannati spuntano un commercialista (secondo gli inquirenti vicino alla cosca dei Mancuso fino dagli anni ‘90) e due titolari di una società di vigilanza che svolgeva l'attività in occasione di eventi allo stadio. In cambio di agevolazioni nelle pratiche amministrative, l’ex presidente del consiglio comunale avrebbe ottenuto l'assegnazione a una cooperativa che controllava della gestione dei punti di ristoro nell’arena di gioco.

I presunti rapporti con il clan Mancuso

Barrile, approfittando del suo ruolo politico, avrebbe fatto avere a una coop che controllava il servizio di pulizie dell'Amam, l'Azienda meridionale delle acque. Alle dipendenze della società è stato assunto con un ruolo di vertice Carmelo Pullia, membro del clan Mancuso recentemente scarcerato dopo una detenzione ventennale. Le cooperative riconducibili alla ex presidente del consiglio comunale, anche grazie a una alternanza tra periodi di lavoro e periodi di disoccupazione gestiti tramite patronati compiacenti, venivano usate come strumento per dare posti di lavoro e acquisire diffuso "consenso popolare". Dall'inchiesta sarebbe emerso anche il tentativo di un costruttore vicino alla mafia di Barcellona Pozzo di Gotto, e sottoposto a misura di prevenzione, di sottrarre, attraverso la complicità di familiari e persone di fiducia, il suo patrimonio al sequestro antimafia e di evitare il recupero del credito erariale (che ammonta a quasi un milione di euro), da cui le sue società erano gravate. Avrebbe insomma inscenato fittizie controversie con dipendenti di fiducia per svuotare fraudolentemente le società di beni e capitali.

Le condanne

In totale, su 17 indagati e contando anche la pena inflitta all’ex presidente del consiglio comunale di Messina, 16 persone sono stati condannate in primo grado a un complessivo di 53 anni e 10 mesi di carcere. Uno dei coinvolti, invece, è stato assolto.

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