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La storia di Unabomber, da Theodore Kaczynski al criminale italiano mai identificato

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13 ott 2022 - 19:27 16 foto
Ansa/Ipa

Due persone fra la fine degli anni ’70 e i primi anni 2000 terrorizzarono gli Stati Uniti e il Nordest dell’Italia: il primo era un matematico, il secondo - forse un emulatore - non è ancora stato trovato. Theodore Kaczynski mandava pacchi bomba in nome di una guerra personale contro la tecnologia, attaccò in alcune Università e cercò di compiere una strage su un aereo. Le azioni dell’uomo che compì decine di attentati fra il Veneto e il Friuli invece seguivano un filo che non è mai stato del tutto compreso

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Unabomber: un nome per due persone, una americana e l'altra italiana, le cui azioni hanno occupato la cronaca e i giornali di tutto il mondo tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni 2000. L'Unabomber americano era Theodore Kaczynski e mandava pacchi bomba in nome di una guerra personale contro la tecnologia. L'Unabomber italiano, la cui identità non è mai stata scoperta, non rivendicava gli attentati, agiva con motivazioni misteriose colpendo anziani, donne e persino bambini, forse spinto da un meccanismo di emulazione dell'omologo americano

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"Unabomber" è un acronimo che sta per University and Airline Bomber, nome in codice dato dall'Fbi perché Kaczynski colpiva nelle Università e aveva cercato di compiere una strage su un aereo in volo. Kaczynski, genio della matematica di origine polacca affetto da schizofrenia, a 27 anni si dimette dal corpo insegnanti dell'Università di Berkley e alla fine degli anni ‘70 esegue i primi attentati, che proseguono fino al 1995, con un bilancio di 3 vittime e 23 feriti

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La prima bomba fu spedita per posta nel maggio 1978 al professor Buckley Crist della Northwestern University e fu trovata in un parcheggio della University of Illinois a Chicago, con l'indirizzo di Crist come mittente. Il pacco venne "rimandato" a Crist, ma quando lo ricevette si accorse che quella non era la sua grafia e chiamò Terry Marker, un agente di polizia. Quando arrivò al campus, Marker aprì il pacco, che esplose. Riportò delle ferite lievi, perché la bomba era stata preparata in modo rudimentale

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Il primo attentato fu seguito da bombe inviate a comandanti aerei e nel 1979 un’altra fu messa nella stiva del volo 444 della American Airlines, un Boeing 727 Chicago-Washington D.C. L'ordigno iniziò a emettere fumo costringendo il pilota a un atterraggio di emergenza ma un timer difettoso impedì alla bomba di esplodere

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Negli Stati Uniti esplode il panico e l'Fbi scatena la più grande caccia all'uomo della storia americana, che si conclude con l'arresto di Kaczynski nell'aprile del 1996. A mettere in scacco il "lupo solitario" che col suo folle gesto voleva scatenare negli Usa una rivoluzione antitecnologica, fu l'agente dell'Fbi Jim Fitzgerald: basandosi sul "Manifesto" lucido e delirante scritto da Kaczynski e inviato ai giornali, creò il profilo psicologico grazie al quale si arrivò alla cattura

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Mentre i giornali di tutto il mondo parlavano dell'Unabomber americano, nel 1994 in Italia iniziava a colpire l'attentatore del Nordest. Le azioni dell'Unabomber italiano cominciano senza clamori, seguendo un filo rosso noto solo a lui, gettando nel panico il Paese intero. Tra il 1994 e il 2006 Unabomber ha fabbricato più di 30 ordigni esplosivi, sempre più sofisticati e pericolosi, seminando terrore nelle sagre di paese, sulle spiagge dell'adriatico, nei supermercati, nei cimiteri, nelle chiese. Nel 2006 l'ultimo attentato, lungo l'argine del fiume Livenza

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Il primo attentato dell’Unabomber italiano è del 21 agosto 1994: alla Sagra degli Osei, a Sacile (Pordenone) esplode un tubo-bomba, riempito con polvere da sparo e biglie di acciaio, provocando tre feriti. Altri tubi-bomba esplodono davanti alla Standa, a Pordenone (17 dicembre) e il giorno successivo sul sagrato della chiesa di Aviano (Pordenone) senza provocare feriti. Poi altri due ordigni il 5 marzo 1995 ad Azzano Decimo (Pordenone) e il 30 settembre ancora a Pordenone (nella foto)

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Il 4 agosto 1996 sulla spiaggia di Lignano (Udine), lo scoppio di un tubo-bomba ferisce gravemente un villeggiante, Roberto Curcio, 33 anni, di Domodossola. Pochi giorni dopo, sulla spiaggia di Bibione (Venezia) è un bagnino a trovare un altro ordigno, che fa solo una fiammata. Seguono quattro anni di ''silenzio'', poi il 6 luglio 2000 un carabiniere in pensione di Bologna trova, sempre sulla spiaggia di Lignano, un ''tubo-bomba'' che esplode ferendolo gravemente al viso (nella foto)

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Dal 31 ottobre 2000 Unabomber cambia strategia e ''mimetizza'' gli ordigni in oggetti di uso comune: inizia con una confezione di uova nel supermercato “Continente” di Portogruaro (Venezia), inesplosa. Nello stesso supermercato, il 7 novembre, Nadia Ros, 37 anni, di Cordignano (Treviso), acquista un tubetto di pomodoro che le esplode fra le mani. Il 18 novembre è la volta di un tubetto di maionese, inesploso. Il 2 novembre 2001 nel cimitero di Motta di Livenza (Treviso) esplode una bomba nascosta in un lumino e Anita Buosi, 63 anni, rimane gravemente ferita

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Il 24 luglio 2002 a Pordenone esplode un barattolo di Nutella, e il 2 settembre fra le mani di un bambino scoppia un tubetto di bolle di sapone. A Natale 2002 nel Duomo di Cordenons (Pordenone, nella foto) c'è un'altra esplosione, mentre il 24 marzo 2003 scoppia lo sciacquone di un bagno nel Palazzo di Giustizia di Pordenone. Il 25 aprile, sul greto del fiume Piave, in un pennarello evidenziatore di colore giallo è nascosta una bomba che ferisce gravemente una bambina di 9 anni, Francesca, che perde la vista di un occhio e tre dita di una mano

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Nel 2004, il 2 aprile, nella chiesa di Sant'Agnese a Portogruaro (Venezia), sotto il rivestimento in pelle di un inginocchiatoio viene scoperto un oggetto simile a un accendino, avvolto in nastro adesivo nero, con fili elettrici e un innesco di una carica a base di nitroglicerina. Poi il 26 gennaio 2005 a Treviso, vicino al Tribunale, uno studente dà un calcio a un contenitore cilindrico che esplode senza danni. Il 13 marzo, scoppia una candela elettrica che una bambina stava cercando di accendere nel duomo di Motta di Livenza (Treviso, nella foto)

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Durante lo stesso anno un ordigno viene trovato dentro una scatoletta di sgombri acquistata in Veneto e spedita in Romania e lì rimasta per mesi prima di venire aperta. Il 30 aprile 2006 nei pressi della stazione ferroviaria di Portogruaro (Venezia) cade, senza scoppiare, un ordigno nascosto sotto il sellino di una bicicletta. Il 6 maggio, a Caorle (Venezia), l'ultimo episodio: una bottiglia con un biglietto all'interno viene raccolta dal fiume Livenza (nella foto) da un infermiere, Massimiliano Bozzo, 28 anni, ed esplode

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A oggi, Unabomber non ha ancora un volto. Molti furono però i sospettati nel corso degli anni, fra cui Andrea Agostinis (nella foto), insegnante di disegno di Tolmezzo. Poi un giovane avianese, ferito da una bomba che egli stesso stava confezionando e trovato in possesso di istruzioni per costruire ordigni nel periodo tra gli attentati di Claut e di Bannia, un uomo di Sacile la cui ex fidanzata lavorava all'ipermercato di Portogruaro e un insegnante pordenonese che aveva lavorato in varie località colpite, benché in momenti diversi da quelli degli attentati

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Uno dei principali sospettati fu però l’ingegnere Elvo Zornitta (nella foto), per le sue competenze tecniche, l'area dei suoi spostamenti lavorativi, corrispondente al raggio d'azione di Unabomber, e il rinvenimento di piccoli oggetti compatibili con quelli usati dall'attentatore. Zornitta fu messo sotto sorveglianza per due anni, ma i suoi alibi erano sempre molto solidi

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Nel 2006 sembrava che gli inquirenti avessero una prova schiacciante: la compatibilità tra le lame di un paio di forbici sequestrate e i tagli sul lamierino dell'ordigno rinvenuto nella chiesa di Sant'Agnese a Portogruaro. L’anno dopo però una perizia dimostrò che una piccola striscia del lamierino era stata tagliata con le stesse forbici dopo il sequestro, circostanza che fece finire sotto inchiesta il poliziotto Ezio Zernar, accusato di aver "truccato" la prova allo scopo di incastrare Zornitta

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Il fascicolo contro Zornitta fu archiviato nel 2009, mentre nel novembre 2014 la Cassazione ha definitivamente condannato Zernar (nella foto). Zornitta ha lamentato seri danni personali e patrimoniali, tra cui la perdita del lavoro, a causa delle indagini a suo carico e delle continue dichiarazioni fatte dagli organi inquirenti e dalla stampa a suo carico. In particolare si è costituito parte civile nel processo contro Zernar, chiedendo un ingente risarcimento

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