Riforma copyright Ue, dai filtri ai link sul web: cosa prevede

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Approvata il 26 marzo dall'Europarlamento, ha l’obiettivo di far riconoscere e pagare il lavoro dei creatori dei contenuti ai giganti come Google, Facebook e YouTube. È battaglia tra i sostenitori della libertà assoluta su internet da un lato ed editori dall'altro

Da un lato c'è la volontà di introdurre meccanismi che obblighino i giganti del web come Google, Facebook e YouTube a riconoscere e pagare il lavoro di artisti, giornalisti e creatori di contenuti che vengono pubblicati su internet. Al contempo c'è da tenere conto del diritto degli utenti a caricare liberamente materiale. Tutto ciò cercando di proteggere anche le start-up che cercano di entrare nel grande mercato dei contenuti online. L’Unione europea prova a fissare dei paletti nella giungla della Rete attraverso la riforma del copyright. Dopo il via libera dell'Europarlamento di settembre 2018 e l’accordo provvisorio approvato nella serata del 13 febbraio 2019, la plenaria di Strasburgo ha definitivamente dato l'ok alla riforma il 26 marzo 2019.

Cosa prevede la riforma del copyright sui link

Le nuove regole mirano a dare maggiori diritti agli editori di stampa (art. 11) in merito al riutilizzo dei loro materiali da parte delle piattaforme online, ma è stata alleggerita la protezione degli “snippet” (i link con titoli o frammenti di un articolo) rispetto alla posizione originaria degli eurodeputati di settembre: “parole individuali” o “estratti molto corti di articoli di stampa” sono infatti esentati dal copyright. Non c'è quindi nessuna “tassa sui link” paventata dai critici della riforma. I giornalisti dovranno  inoltre beneficiare dei maggiori introiti che gli editori avranno grazie agli accordi con le piattaforme. Una parte del materiale, come i meme o i Gif, potrà essere condiviso in modo gratuito.

Le deroghe alle start-up e i filtri

Per quanto riguarda le start-up, l’articolo 13 stabilisce che non dovranno sottostare agli obblighi sui materiali protetti da copyright ma non autorizzati le piattaforme più piccole, che esistono da meno di tre anni, con un giro d'affari annuo inferiore a 10 milioni di euro e con meno di 5 milioni di visitatori unici. Youtube e le altre “grandi”, invece, saranno d'ora in poi responsabili al posto degli utenti per i materiali caricati online senza autorizzazione, e dovranno provvedere "speditamente" alla loro rimozione su segnalazione e compiere "il massimo sforzo" per assicurare l'indisponibilità di quei contenuti privi dell'ok dei detentori dei diritti. In teoria, non c’è quindi l’obbligo di meccanismi o filtri ex-ante dei contenuti, ossia il “bavaglio” o “censura” temuto dai critici della riforma.

I dubbi sulla riforma

Tuttavia l’eurodeputata del Partito dei Pirati tedesco, Julia Reda denuncia che, anche se formalmente non vengono imposti filtri o altri meccanismi per individuare il materiale con copyright, questo meccanismo incoraggerà comunque i colossi a usare meccanismi automatici per filtrare i contenuti e a cancellare anche materiale legale perché non coperto da diritti d’autore. Quanto ai cosiddetti "snippett", il testo dell’accordo, secondo i critici, è formulato in modo molto vago: gli aggregatori di notizie come Google News o Facebook dovranno far comparire solo un testo "molto breve". Secondo Reda, si tratta comunque di una "tassa sui link", che perfino Wikipedia rischia di dover pagare. "Siamo preoccupati per la libertà di informazione online", ha detto.

Progetto faro della Commissione Ue

La direttiva sul copyright è uno dei progetti faro della Commissione Ue, presieduta da Jean-Claude Juncker, ma è diventata oggetto di un’aspra battaglia tra lobby contrapposte. Da una parte i militanti della libertà assoluta su internet alleati a colossi come Google hanno organizzato campagne per bocciare il provvedimento. Dall'altra le lobby di autori, artisti e editori hanno fatto pressioni su governi e deputati per rendere il testo il più rigido possibile. L'accordo garantisce "diritti per gli utenti, una remunerazione giusta per gli autori, e chiarezza di regole per le piattaforme", ha assicurato il vicepresidente della Commissione, Andrus Ansip. 

L’iter legislativo

Dopo il primo via libera dei deputati di Bruxelles dello scorso settembre, a febbraio ai negoziatori dell'Europarlamento e del Consiglio Ue sono state necessarie 13 ore di trattative in 3 giorni per arrivare a un compromesso che ha prodotto un accordo provvisorio. L'ok definitivo dell'Aula di Strasburgo alla riforma è arrivato il 26 marzo 2019 con 348 sì, 274 no e 36 astenuti. In Italia nel corso della discussione sono emerse posizioni divergenti tra il vicepremier Luigi Di Maio e il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani.

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