Il 20 novembre inizia la ventiduesima edizione della Coppa del Mondo, in un Paese che negli ultimi anni è stato più volte criticato per le condizioni dei lavoratori impiegati nell’edificazione degli impianti e delle strutture per i tifosi
Il 20 novembre prende ufficialmente il via la ventiduesima edizione della Coppa del Mondo di calcio, che quest'anno si disputa in Qatar. Per la prima volta la manifestazione si tiene in un Paese mediorientale e non sono mancate le polemiche relative al numero di operai morti nella costruzione degli stadi e di tutte le strutture collegate, predisposte per ospitare e intrattenere i tifosi. Da tempo si parla di un dato: 6.500 operai morti negli ultimi undici anni, da quando cioè il Paese ha iniziato una frenetica attività edilizia in preparazione al Mondiale (LO SPECIALE MONDIALI DI SKY TG24 - IL SONDAGGIO SU CHI VINCERÀ).
Da dove arriva il dato
Il dato delle 6.500 vittime è stato riportato dal Guardian che, a febbraio 2021, titolava così un’inchiesta sull’argomento: “Svelato: 6.500 lavoratori migranti sono morti in Qatar dall’assegnazione dei mondiali in poi”. Un numero relativo a un periodo di tempo breve, considerando che soltanto nel dicembre 2010 Doha si è vista riconoscere l’organizzazione della Coppa del Mondo. Per giunta il dato fa riferimento soltanto al lavoratori provenienti da 5 Paesi, India, Bangladesh, Sri Lanka, Pakistan e Nepal, che hanno raccolto e comunicato i dati ufficiali attraverso le rispettive ambasciate. La stima reale è, molto probabilmente, decisamente più alta, considerando che Stati come Kenya e Filippine, che hanno inviato un gran numero di lavoratori, non hanno raccolto dati, e che la stima non include anche gli operai morti alla fine del 2020. Ciò che si sa è che sono 5.927 i decessi avvenuti tra i lavoratori dei Paesi asiatici citati escluso il Pakistan, che ne conta da solo ben 824. Sono perciò più di 6.700 le persone decedute durante questi ultimi undici anni, un valore da considerarsi stimato per difetto.
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Le ragioni
Secondo le statistiche ufficiali del Qatar, riportate dal Guardian, fino a febbraio 2021 le morti direttamente collegabili alla costruzione degli stadi sarebbero state soltanto 37, di cui però 34 definite “non legate al lavoro”, una definizione criticata dalle organizzazioni umanitarie in quanto piuttosto ambigua. La gran parte però dei decessi sarebbe attribuibile a “cause naturali”, la ragione usata nel 69% delle morti: in questa casistica rientrano spesso gli infarti o l’insufficienza respiratoria. Cause che però non sembrano probabili per degli individui di giovane età e di buona salute, caratteristiche necessarie per un lavoro nel settore dell’edilizia. A contribuire c’è sicuramente il clima torrido presente in Qatar in estate come accaduto ad esempio nel 2019, quando si sono toccati i 45°C. Una condizione molto difficile secondo l’ILO, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro delle Nazioni Unite, che ha evidenziato come i lavoratori siano stati costretti per almeno quattro mesi all'anno ad affrontare un notevole stress da calore quando lavoravano all'aperto. A ciò si aggiungono anche altre tipologie di decessi, come incidenti stradali, suicidi o infortuni sul lavoro. Non sono rare storie come quella di Madhu Bollapally, un uomo indiano trovato morto per “cause naturali” mentre lavorava in Qatar: il suo corpo venne rinvenuto disteso sul pavimento della sua stanza del dormitorio. Come evidenzia il Guardian, le cause di tale decesso non sono mai state approfondite.
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Le risposte del Qatar e della Fifa
“Seimila persone potrebbero essere morte nella costruzione di altre opere. La FIFA non è la polizia del mondo o responsabile di tutto ciò che accade nel mondo. Ma grazie alla FIFA, grazie al calcio siamo stati in grado di affrontare lo stato di tutti gli 1,5 milioni di lavoratori che lavorano in Qatar”. Le parole sono di Gianni Infantino, numero uno della Fifa, a margine di un evento del Milken Institute a Los Angeles di maggio 2022. Una risposta che non si discosta molto da quella che hanno spesso dato tanto il governo del Qatar quanto i massimi organismi del calcio mondiale. In un Paese con un sistema sanitario altamente avanzato resta un mistero come la maggior parte dei decessi sia stato definito “naturale”, un segno della mancanza di autopsie approfondite. “Il tasso di mortalità tra queste comunità rientra nell'intervallo previsto per le dimensioni e la demografia della popolazione. Tuttavia, ogni vita persa è una tragedia e nessuno sforzo viene risparmiato nel tentativo di prevenire ogni morte nel nostro Paese”, ha dichiarato un portavoce del Qatar, come riferito anche dal Guardian. La cifra dei morti è contestata anche dal comitato organizzatore: “Siamo profondamente dispiaciuti per tutte queste tragedie e abbiamo indagato su ogni incidente per assicurarci che le lezioni fossero apprese. Abbiamo sempre mantenuto la trasparenza su questo problema e contestiamo affermazioni inesatte sul numero di lavoratori che sono morti sui nostri progetti”. Le pressioni internazionali hanno obbligato la FIFA ad adottare i principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani nel 2016 e a promulgare una politica sui diritti umani nel 2017, senza però chiedere mai al Qatar di seguirne i princìpi, come ha evidenziato anche Human Rights Watch. Per l’assegnazione delle prossime edizioni il massimo organismo del calcio mondiale ha previsto di chiedere ai Paesi candidati di rispettare i diritti umani dei lavoratori impiegati ma, finora, non ha dato risposte esaurienti sull'edizione che sta per cominciare. La FIFA avrebbe tutti i mezzi per risarcire le famiglie delle vittime di questa Coppa del Mondo, che ancora oggi sono tenute all’oscuro delle cause di morte dei propri cari e non hanno ricevuto alcun risarcimento per la loro perdita.