Senza fondi Usa rischiamo 3,9 milioni di nuove infezioni HIV: i dati

Le immagini avevano fatto il giro del mondo, lo scorso febbraio: a poche settimane dall'insediamento del presidente Donald Trump, centinaia di dipendenti di USAID, l’agenzia degli aiuti umanitari statunitensi, lasciavano gli uffici in lacrime, con gli scatoloni in mano. Il taglio drastico di fondi aveva portato prima al licenziamento di 1600 funzionari, e la sospensione di altri 4200, e poi, di fatto, la chiusura dell’agenzia. “Eliminati 5200 contratti, costati miliardi di dollari, che non hanno servito, e in alcuni casi hanno persino danneggiato, gli interessi nazionali degli Stati Uniti“, aveva scritto il segretario di stato Marco Rubio su X, rivendicando la visione “America First” di Trump, e mettendo in discussione il valore della spesa internazionale per gli aiuti. Il problema è che questa visione ha un costo molto elevato in termini di vite umane. E, tra le conseguenze già documentate anche su queste pagine, arriva questa settimana il rapporto di UNAIDS, l’agenzia ONU incaricata di combattere HIV e AIDS, dal titolo “Overcoming Disruption”. Pubblicato per la Giornata mondiale contro l’AIDS del 1 dicembre, in mezzo ai dati si moltiplicano le testimonianze di cliniche costrette a chiudere, di operatori sanitari mandati a casa e servizi interrotti, diventati la normalità in decine di paesi a basso reddito. “È come se ci avessero strappato la terra da sotto i piedi”, ha raccontato all’UNAIDS una donna mozambicana che vive con l’HIV. “Prima avevamo luoghi dove andare, persone con cui parlare, e sapevamo che qualcuno si prendeva cura di noi. Mi sentivo sostenuta quando c’erano i gruppi di pari e i consulenti comunitari.” Con la chiusura di USAID sono stati infatti chiusi anche storici programmi destinati a prevenzione, test e servizi comunitari, come il PepFar, un programma del governo degli Stati Uniti per la lotta all'HIV/Aids a livello globale. Secondo il PepFar impact tracker, strumento che monitora l'impatto della cessazione dei finanziamenti, il congelamento dei fondi potrebbe aver già causato 132933 morti di persone adulte e 14150 morti infantili . Il fatto che la chiusura da parte di un singolo paese abbia fatto emergere questi problemi è il segnale di un sistema costruito su fondamenta fragili: la prevenzione dell’HIV, più ancora della terapia, dipende quasi ovunque da fondi esterni. Quando quei fondi scompaiono, la capacità di raggiungere le persone più vulnerabili evapora nel giro di pochissimi giorni. Il crollo della prevenzione proprio mentre servirebbe di più L’allarme più grave riguarda la prevenzione: secondo i dati presentati nel rapporto sono circa 2,5 milioni le persone che nel 2024 assumevano la PrEP - i farmaci che prevengono l’infezione - e che hanno dovuto interrompere la cura nel 2025. In alcuni paesi la riduzione è drammatica: -64% in Burundi in cura, -38% in Uganda, -23% in Ucraina, -21% in Vietnam. È crollata anche la distribuzione dei preservativi: in Nigeria -55% in tre mesi, mentre diversi paesi hanno segnalato “diffuse carenze di test HIV, profilattici e trattamenti per le infezioni sessualmente trasmissibili”. Una sex worker sudafricana, madre di tre figli, ha perso l'accesso alla terapia antiretrovirale per quattro mesi: “L'unica cosa a cui riuscivo a pensare erano i miei figli, e che stavo per morire”. La prevenzione della trasmissione da madre a figlio, uno dei pilastri dei progressi degli ultimi anni, ha subito interruzioni preoccupanti: in Ghana il numero di donne HIV-positive che hanno ricevuto antiretrovirali in gravidanza è sceso del 29% in sei mesi. Eppure proprio ora servirebbe fare il contrario, cioè aumentare la disponibilità degli strumenti più efficaci, inclusi i nuovi farmaci “long-acting”, in grado di offrire protezione per sei mesi con una sola iniezione. Il report ricorda che gli accordi con i produttori generici dovrebbero renderli disponibili a 40 dollari l’anno, un prezzo mai visto prima per una tecnologia così avanzata. Ma senza sistemi di prevenzione funzionanti, anche le innovazioni rischiano di restare sulla carta e non poter salvare vite umane. Le previsioni per il 2030: dieci anni di progresso cancellati Il dato più preoccupante è la proiezione al 2030: senza un’inversione immediata, nei prossimi cinque anni ci saranno fino a 3,9 milioni di nuove infezioni in più rispetto allo scenario in cui il mondo raggiunge gli obiettivi fissati dalle Nazioni Unite. Con il rischio di tornare ai livelli del 2020, ben un decennio di progressi cancellati.

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