Cosa succede tra Cina e Giappone dopo le parole di Takaichi su Taiwan

Sono ore di grande tensione quelle tra Cina e Giappone, impegnate in una serie di schermaglie diplomatiche e commerciali. La ragione di tanta ostilità risiede nelle parole della neo premier giapponese Takaichi Sanae. Alcuni giorni fa, infatti, la leader, nota per le sue posizioni nazionaliste ha risposto alla domanda di un parlamentare di opposizione che le chiedeva in quali circostanze, secondo lei, il Giappone avrebbe dovuto fare ricorso alle sue forze militari di autodifesa. La risposta della premier è risuonata fino a Pechino: secondo la premier il Giappone potrebbe attivare le sue forze militari nello scenario di un ipotetico attacco cinese a Taiwan, che secondo Takaichi Sanae, potrebbe minacciare direttamente il Giappone. Queste parole, sono suonate come inaccettabili per la Cina, da sempre sensibilissima sulla questione Taiwan. E questo non solo per ragioni note e prevedibili, come quella per cui, da sempre, Pechino considera Taiwan perfettamente parte del suo territorio e non riconosce nessuna legittimità al governo di Taipei, o quelle per cui la politica estera cinese si regge sul tacito patto per cui la Cina non si intromette nelle questioni di altri stati e pretende che nessuno si intrometta nei suoi. Ma anche per ragioni più complesse e profonde, legate alla storia stessa dei rapporti tra Cina e Giappone. Specie quando di tratta di Taiwan, isola che il Giappone ha occupato tra la fine del 1800 e il 1945, dando origine a una ferita che non si è mai del tutto rimarginata. Per questo pochi giorni fa, il principale organo di stampa del Partito Comunista, il Quotidiano del Popolo , ha affermato che le dichiarazioni della signora Takaichi rappresentano una "grave sfida" all'ordine post-1945” e che le sue parole rivelavano la "pericolosa intenzione delle forze di destra giapponesi di liberarsi dai vincoli della costituzione pacifista e di aspirare allo status di 'grande potenza militare”. Non sappiamo quanto la lettura cinese delle intenzioni di Sanae siano a fuoco, ma sappiamo che è così che sono state recepite a Pechino, cioè come una indebita interferenza, se non come un’esplicita minaccia. Una sensazione accresciuta dal post del console generale cinese a Osaka, Xue Jian, che ha pubblicato su X un testo, ora rimosso, nel quale si diceva "Se infili quel collo sporco dove non dovrebbe, verrà tagliato. Sei pronto?". In conseguenza alle affermazioni della premier, negli ultimi giorni il governo cinese ha esortato i suoi cittadini a cancellare e sospendere i viaggi in Giappone, togliendo al Paese una ricca fonte di introiti , ha inoltre interrotto le importazioni di pesce e ha persino posticipato l’uscita in sala di alcuni film anime. Misure importanti, che rischiano di avere pesanti effetti sul PIL cinese, ma che potrebbero suonare irrisorie se, come si ipotizza, la Cina arrivasse a sospendere le sue esportazioni di terre rare verso Tokyo, di fatto paralizzando buona parte dell’industria del Paese. Ma al di là delle schermaglie verbali e commerciali, o delle espressioni corrive su questioni delicate, l’impressione è che siano altre, e profonde, le ragioni che contrappongono Cina e Giappone in queste ore. Come, per esempio, secondo Economist, il controllo di alcune isole nel mar della Cina, Senkaku o Diaoyu , oppure il crescente fastidio cinese per la vicinanza tra la premier giapponese e Donald Trump che lei stessa ha definito “Il mio meraviglioso alleato e amico”. Oppure ancora la volontà della premier di rafforzare esercito e armamenti, ponendo in dubbio lo strapotere cinese sull’area: “Takaichi- scrive Guardian- ha dato priorità al rafforzamento delle difese del Giappone per contrastare una Cina sempre più assertiva, concentrandosi in particolare sulle isole periferiche del Giappone nel Mar Cinese Orientale, dove si trovano le isole Senkaku. Nel suo discorso ha anche promesso di aumentare la spesa per la difesa – una politica promossa da Donald Trump, che vuole che gli alleati degli Stati Uniti nel nord-est asiatico spendano di più per la propria sicurezza – al 2% del PIL entro la fine di marzo 2026, due anni prima del previsto”. Lo scontro di queste ore potrebbe dunque essere letto nella logica di una Cina indispettita da questo rafforzamento giapponese e che, come nota Washinton Post, “non vuole che il Giappone si spinga troppo oltre nello sviluppo delle sue capacità militari”. Oppure che voglia mostrare i muscoli al Giappone per rivolgersi in realtà agli Stati Uniti e persuadere il Presidente Trump a disinteressarsi di Taiwan, una questione nella quale Pechino non vuole intromissioni.

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Luciana Grosso